La paura delle parole arriva al parossismo. E lo fa proprio dove tutti in massa hanno detto Je suis Charlie. A Nizza infatti è stato interrogato Ahmed, un bambino di 8 anni che aveva ‘osato’ giustificare gli assassini di Charlie Hebdo. Non solo: «D’après le directeur départemental de la sécurité publique, Marcel Authier, l’enfant avait déjà refusé de participer à la minute de silence et de prendre part à une ronde de solidarité dans l’école au lendemain de l’attaque de Charlie Hebdo» («Apologie du terrorisme : pourquoi un enfant de 8 ans a-t-il été entendu par la police ?», Le Monde, 29.1.2015). A quanto pare, la polizia ha poi affermato di non aver formalizzato nessuna accusa a carico del bambino (e dei suoi genitori) perché Ahmed ‘non capiva il significato di ciò che ha detto’. Se invece lo avesse capito, sarebbe stato diverso? Portare davanti alla polizia un bambino o chiunque altro per aver soltanto detto ‘Io sto con i terroristi’, questo è fascismo, sì, questo è stalinismo, questo è Inquisizione. Quanti in Italia dicevano di non voler stare «né con lo Stato né con le Brigate Rosse» -compresi Alberto Moravia, Leonardo Sciascia e altri- meritavano dunque di essere sospettati, solo per aver detto quelle parole, di essere pronti a prendere le armi? È la conferma che quando si comincia ad aver paura delle parole non si sa dove si possa finire, o meglio lo si sa benissimo. E dunque Je suis (aussi) Ahmed.
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6 commenti
agbiuso
Giustamente irruenti e per nulla lunghi, cara Adriana, i suoi interventi qui.
La ringrazio per il link a questo documento, che mi era già stato segnalato ma che non ho ancora avuto modo di vedere. Adesso sarà più semplice farlo.
Qualche giorno fa avevo -in un’altra pagina- segnalato un documentario dedicato anch’esso alla Grecia, Il cielo sopra l’Acropoli, di Aldo Piroso.
Per lei, come per me, chi ci tocca la Grecia ci tocca la madre.
Adriana Bolfo
Il documentario contiene interviste fatte per lo più ad Atene a cittadini di diverse condizioni, tra cui il fondatore di Syriza Alavanos, e a due economisti italiani i cui studi sono alla base del documentario stesso.
http://www.ilpiugrandesuccessodelleuro.it/
Se il link che vorrei attivo non funzionasse per mia maldestrezza, la pagina Facebook “La Grecia è il più grande successo dell’euro” contiene più in basso a sinistra il link in questione, che rimanda al sito del film.
Grazie, come sempre, dell’ospitalità a mie esternazioni irruenti e lunghette…:-)
Adriana Bolfo
@diego
L’ultima frase me la segno, ché molto mi piace e molto mi verrà bene, penso, come anche l’osservazione sul francese.
Improvvisamente mi torna il ricordo di una banale pubblicità di auto francese, sbarcata dalla quale l’allora finissima ed elegante Catherine Deneuve comunicava appunto la banalità “Je suis Catherine Deneuve”, peraltro conosciutissima, per segnare, con la presunta propria, l’eccezionalità dell’auto pubblicizzata.
Si vede che l’affermazione di sé, cioè della propria importanza, ce l’hanno davvero, come si vede pure dalla cura con cui tengono i “beni culturali” e soprattutto dalla cura che hanno nel ricordarli agli altri.
Meritoriamente, dico. Un qualunque piccolo museo neppur tanto guarnito, una piccola mostra in un convento francescano su Francesco, l’ordine e quello specifico convento, mostrava che necessariamente aveva riproduzioni di affreschi di Assisi e non gli affreschi veri – e aveva le solite celle e i soliti sai e il solito arredo da convento – sembrava la quintessenza del francescanesimo, nemmeno l’avessero inventato in Francia.
Come non ricordare, inoltre, quando, molti anni addietro ci fu per un po’ il tormentone martellante su cioccolato genuino – cioccolato fatto di surrogati, si sentivano roboanti dichiarazioni francesi sulla genuinità del “loro” cioccolato, nemmeno avessero avute piantagioni di cacao nelle pur produttive campagne e fin sulla Tour Eiffel? (del tutto tralasciando che i “cioccolatieri belgi” sono quelli famosi).
Per dire che questo è l’esatto opposto dell’autorazzismo italiano su cui molti, in primis i politici nostrani campano, e molti all’estero, per instillare sensi di colpa.
Lo stesso, mi spiace, che porta all’affermazione della trascurabilità o inesistenza del nostro Paese (@Pasquale D’Ascola) il cui tessuto economico, per inciso, è stato distrutto anche dai virtuosi “esteri”, in primis, tedeschi, che si sono accapparrati tante belle industrie italiane come la Ducati comprata dalla Audi.
Se “italiano” fa(ceva) così schifo, perché venire a comprarselo?
Tralascio il discorso/discredito più generale che il Nord Europa ha gettato sul Sud Europa, anche qui in maniera MOLTO interessata e forse meno virulenta man mano che la crisi colpisce anche i nordici laboriosi, risparmiatori, calvinisti, biondi e pertanto virtuosi (mica come gli scialacquatori GRECI – scrivo il tutto maiuscolo per sistema da quando si è cominciato a screditare e martirizzare la GRECIA che in Italia è finita all’attenzione di qualcuno di sinistra, e nemmneno tanti, solo quando il divo Tsipras ha cominciato a sembrare vincente, diciamo, solo un poco prima delle elezioni colà.
Prima del prima, la GRECIA NON aveva fame, tanti bambini NON mangiavano solo una volta al giorno nelle mense scolastiche, i malati NON erano a corto di soldi per le medicine anche quelle oncologiche, le Università NON avevano ridotto il personale amministrativo, l’orchestra di stato GRECA NON era stata soppressa…
Quando si tratta della tragedia vicina a noi e da noi ignorata, mi lascio prendere la mano; scusate il lungo inciso).
Di fatto, si getta guano solo su ciò che si vuole screditare perché lo si riconosce importante.
Fermo restando che difetti gestionali ce ne sono pure tanti e diffusi, dei quali abbiamo l’esclusiva mondiale SOLO nei media orientati (tutti) all’attuale discredito economico-politico del Paese; fermo restando che bisognerebbe limitarli il più possibile: c’erano anche quando il Paese non era in recessione, per dire.
Qui mi fermo.
Per eventuali interessati alla situazione GRECA, esiste un recente documentario (2014) di due giovani registi italiani prodotto in crowdfunding, reperibile on line, di cui spero di rintracciare e postare il link.
diego
Grazie caro Alberto e ancor più caro Pasquale per la non banalità, mai tempo perso a leggervi.
Debbo confessare che non ho simpatia per tutte quegli slogan dove si scrive «je suis questo» o «je suis quello». Sono sempre semplificazioni ad effetto, declamazioni di collettiva presunta intimità che mi ricordano la celebre «scarica» del mai abbastanza letto Canetti. Io sono Diego, e basta, in tutta la mia umile e contraddittoria lettura del mondo, se possibile alla larga dagli slogan Prêt-à-porter (bello il francese, qualunque fesseria diventa elegante). Non mi piacciono i fenomeni di massa, io sono cretino per conto mio.
Pasquale D'Ascola
Dimenticai. Naturalmente continuo a servirmi dal mio alimentari egiziano, perché è onesto, e la mia vecchia skoda andrà in mano a un meccanico marocchino, solo perché è bravo. P.
Pasquale D'Ascola
Absolument mon ami.
Vengo dalla visione di un filmetto standard francese. Ben confezionato come un pure chèvre da supermercato in offerta. Interessa poco la storia policière ma il crew; non gli attori, il crew. Si legge Assam, Ahmed, Noussour, Yasmina, Di CIaccio, Zweig, ah, e naturalmente qualche Bertier e Du Bois.
Non credo che andare avanti giovi.
Io credo che in quello e in altro elenchi simili, di fonici, focus pullers, make up artists, gente di cinema insomma di ogni origine, gente molto preparata di solito, stia l’epitome di una civiltà; non della Merkel non di Obama,. Non di Maomettto non di coglioncelli in kippa, non di Lor signori quella di Voltaire. Dell’Italia taccio.
L’Italia non è nemmeno un ‘espressione geografica.
Punto.