Il primo atto di intelligenza politica è stato non aver giurato sulla Bibbia e aver in questo modo dato un segnale di coerenza simbolica e di autonomia dalla potentissima Chiesa ortodossa. Il secondo atto è rappresentato dall’immediata alleanza con i Greci Indipendenti di Anel, vale a dire «con un partitino anti-Memorandum e anti-troika, ma pur sempre di destra, conservatore sui temi dei diritti civili e chiuso su quelli dell’immigrazione» (Tsipras, l’azzardo di un programma radicale, di Angelo Mastrandrea, il manifesto, 27.1.2015). Un gesto dettato da necessità ma che certifica anche -insieme a innumerevoli altri eventi- l’inevitabile declino della diade nata nell’Assemblea Nazionale Costituente francese del 1789: la contrapposizione destra/sinistra. Un declino che può -certo- assumere i tratti della complicità nel malaffare, come nell’Italia governata dal Partito Democraticoforzuto di Renzi e Berlusconi, ma che può anche diventare, come sta accadendo in Grecia, la testimonianza che rispetto al XIX e al XX secolo gli scenari sono cambiati, che parole come Destra e Sinistra significano ormai ben poco e che la contrapposizione reale è tra i popoli e la finanza internazionale dei Lehman Brothers; tra i lavoratori e le multinazionali che vorrebbero farli tornare alla condizione servile degli inizi della Rivoluzione Industriale, anche tramite l’immissione massiccia di migranti disposti ad accettare qualunque salario di miseria pur di andar via dai loro territori d’origine; tra i cittadini che si informano, cercano di capire, di dire no all’ideologia ultraliberista e chi invece la sostiene fanaticamente: vale a dire i grandi partiti sempre più corrotti, l’informazione mainstream, il dominio totalizzante della Société du Spectacle.
Quanto sta accadendo in Grecia rappresenta anche un segnale importante che non tutto è perduto rispetto al dominio delle multinazionali, dei distruttori dell’ambiente, delle agenzie di rating, delle troike non elette da nessuno ma che controllano i governi. Temo che ΣΥΡΙΖΑ e Alexis Tsipras subiranno l’attacco concentrico e radicale della Commissione Europea, della Banca Centrale e del Fondo Monetario Internazionale, con i loro servi/complici nei governi europei. E questo sarà la certificazione che l’Unione Europea semplicemente non esiste, che chi ama l’Europa -io sono tra questi- deve riferirsi ad altre concezioni della vita collettiva rispetto a quelle imposte come naturali e inevitabili dalle banche dell’UE, deve riferirsi ad altri programmi politico-economici. Programmi che Tsipras ha annunciato e che così il manifesto riassume: blocco delle aste delle prime case pignorate; ridare forza ai contratti collettivi nazionali e salario minimo di 700 euro al mese; vincoli ai licenziamenti («In buona sostanza, il contrario del Jobs Act di Renzi e Giuliano Poletti»); ripristino del minimo non tassabile; trasporti gratis per alcune categorie; assicurare l’assistenza sanitaria a tutti; intervenire sulle insolvenze economiche dei privati cittadini; ricostituire una tv pubblica rispetto al dominio di quelle private.
Non so se e fino a che punto il nuovo governo greco riuscirà a realizzare tale programma. Ma è ciò che auguro a ΣΥΡΙΖΑ e all’Europa.
26 commenti
agbiuso
Il ministro greco Kammenos ha dichiarato che “il popolo greco ha dimostrato che non può essere ricattato, non può essere terrorizzato, né minacciato. La democrazia ha vinto”.
È probabile che ora la Germania scateni la propria potenza contro una piccola nazione. Sarebbe la terza volta in 100 anni, sarebbe gravissimo.
agbiuso
Sì, Diego, e infatti l’editoriale odierno sul manifesto è di mito che parla. Non soltanto perché si tratta della Grecia ma anche e soprattutto perché gli archetipi del potere e della giustizia mutano nei secoli linguaggio ma non mutano sostanza.
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La sfida greca ai filistei
di Norma Rangeri
Può suonare retorico dire che oggi la Grecia sarà teatro di un avvenimento storico. Ma così è. Il risultato del referendum influirà sul futuro stesso dell’Unione europea e su quello di uno dei paesi più piccoli della Comunità.
E proprio questa particolarità merita una prima riflessione. Come è possibile che un paese tanto piccolo possa, non dico tenere in scacco, ma condizionare il domani di altri 27 stati? Non è strano che il voto di dieci milioni di persone possa influire sulla vita di altri quattrocento? Lo sarebbe se questa vicenda non rappresentasse la quintessenza della globalizzazione.
Dagli Stati uniti alla Cina tutti seguono con attenzione quanto sta accadendo nella terra degli dei dell’Olimpo. Perciò il voto di oggi è qualcosa di più e di diverso della sfida simbolica di Davide contro Golia, anche se la grande disparità di forze può ben suggerire l’accostamento perché in questo cimento del piccolo contro il gigante non sono certo i filistei di Bruxelles ad aver dovuto sfidare nella vita quotidiana gli orsi e i leoni della lunga, infinita crisi che ha buttato donne, uomini, bambini, anziani nella battaglia contro le bestie nere della povertà, della fame, della mancanza di medicinali, della depressione che ha fatto impennare le percentuali dei suicidi.
Il cittadino greco per lunghi anni ha sopportato l’assedio e quando il Golia di Berlino lo ha inchiodato all’ultimo duello, il piccolo Davide ha tirato fuori la fionda del referendum cogliendo tutti di sorpresa.
Atene mette oggi in evidenza non solo la sproporzione delle forze in campo ma le contraddizioni forti e divisive della Ue.
Sono lì a dimostrarlo i politici italiani che, da sinistra a destra — da Vendola a Brunetta a Salvini passando per Grillo — tifano, pur tra molti distinguo, per la battaglia del piccolo Davide. Sicuramente perché molti vorrebbero usare il voto greco a fini di politica interna. E non è curioso che grandi economisti, quasi tutti nobel e liberal si siano pronunciati per il “No”, posizione mal digerita da tutte le grandi firme del giornalismo nostrano, scritto e televisivo?
Abbiamo assistito a una straordinaria opera di manipolazione dell’informazione, particolarmente sfrontata nell’impegno profuso a dare per verità sondaggi smentiti dalle stesse fonti, a censurare notizie importanti, come la critica del congresso Usa, recapitata, nero su bianco, alla signora Lagarde.
Questo voto mette strappa i veli alle magnifiche e progressive sorti della Ue a trazione tedesca. Denuncia il difetto di nascita, una Unione calata dall’alto senza nulla chiedere ai cittadini, contraddicendo lo spirito dell’Europa pensata da Altiero Spinelli.
Scopre un’Unione costruita su un’impalcatura economico-finanziaria che sostituiva alla valvola di sfogo della svalutazione delle monete nazionali l’impressionante svalutazione del lavoro sottomesso alle durissime leggi dell’eterna precarietà.
Tuttavia la tensione e la passione che viviamo nel giorno in cui ci sentiamo tutti greci è così forte non solo perché abbiamo imparato a memoria i numeri del disastro provocato dalla cieca austerità, fino all’ultimo paradosso del mancato rimborso di 1,6 miliardi non pagato da Atene che ha provocato il falò di 287 bruciati dalle borse il giorno dopo. Perché i mercati si erano «spaventati», così titolavano i giornali con la consueta banalità invece di raccontare a lettori e telespettatori l’assurdità della situazione.
E non si venga a dire che tagliando e dilazionando il debito greco verrebbe annullato il principio fondamentale della Ue, cioè il rispetto delle regole.
Se rispettarle significa danneggiare l’intera comunità, allora è solo un braccio di ferro politico quello in corso, una pura guerra di potere con la volontà di arrivare allo scontro frontale.
Ed eccolo lì il nostro Renzi, fin dal primo momento lesto a nascondersi dietro lo scudo tedesco, pronto ad accusare Tsipras di voler tornare alla dracma, non solo una bugia ma una meschineria che spiega molte cose sulla stoffa del personaggio. Naturalmente in ottima compagnia di cuori coraggiosi come Hollande, Gabriel, Schulz…
C’è di più, è in gioco qualcosa di più profondo.
Oltre alla testa, alla razionalità, c’è in ballo il cuore acceso dalla sfida democratica, c’è la lezione di un grande popolo capace di sopportare e tenere a bada la fortissima tensione del momento. Tutti gli italiani, giovani e vecchi, che danno lezioni sulle regole da rispettare sarebbero stati capaci di mettersi in fila così dignitosamente davanti ai bancomat vuoti?
E, infine, nello scontro frontale gioca una partita molto rischiosa anche lo stesso Tsipras.
Aveva già vinto le elezioni con un programma molto chiaro, no all’austerità, sì, moderato, all’Europa. Oggi il giovane leader tenta il tutto per tutto, il numero secco alla roulette, dove i punti quello che hai. Se perdi è un disastro, se vinci sei più forte ma non hai risolto i tuoi problemi. Che sono comuni a molti altri paesi. Italia compresa, come già dice l’Istat a proposito del rallentamento di una ripresa già debolissima.
Da questo punto di vista il voto di Atene ha un significato storico, unico. Nella mitologia greca ci sono numerosi esempi di uomini abbandonati dagli dei. Tsipras deve sperare che gli dei dell’Olimpo — e il popolo greco — oggi siano con lui.
diegod56
L’Europa è figlia della Grecia, e una madre antica, anche se zoppica, non si uccide, ma si prende per mano.
agbiuso
La lettera di Tsipras al popolo greco
Greche e greci,
da sei mesi il governo greco conduce una battaglia in condizioni di asfissia economica mai vista, con l’obiettivo di applicare il vostro mandato del 25 gennaio a trattare con i partner europei, per porre fine all’austerity e far tornare il nostro paese al benessere e alla giustizia sociale. Per un accordo che possa essere durevole, e rispetti sia la democrazia che le comuni regole europee e che ci conduca a una definitiva uscita dalla crisi.
In tutto questo periodo di trattative ci è stato chiesto di applicare gli accordi di memorandum presi dai governi precedenti, malgrado il fatto che questi stessi siano stati condannati in modo categorico dal popolo greco alle ultime elezioni. Ma neanche per un momento abbiamo pensato di soccombere, di tradire la vostra fiducia.
Dopo cinque mesi di trattative molto dure, i nostri partner, sfortunatamente, nell’eurogruppo dell’altro ieri (giovedì n.d.t.) hanno consegnato una proposta di ultimatum indirizzata alla Repubblica e al popolo greco. Un ultimatum che è contrario, non rispetta i principi costitutivi e i valori dell’Europa, i valori della nostra comune casa europea. È stato chiesto al governo greco di accettare una proposta che carica nuovi e insopportabili pesi sul popolo greco e minaccia la ripresa della società e dell’economia, non solo mantenendo l’insicurezza generale, ma anche aumentando in modo smisurato le diseguaglianze sociali.
La proposta delle istituzioni comprende misure che prevedono una ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro, tagli alle pensioni, nuove diminuzioni dei salari del settore pubblico e anche l’aumento dell’IVA per i generi alimentari, per il settore della ristorazione e del turismo, e nello stesso tempo propone l’abolizione degli alleggerimenti fiscali per le isole della Grecia.
Queste misure violano in modo diretto le conquiste comuni europee e i diritti fondamentali al lavoro, all’eguaglianza e alla dignità; e sono la prova che l’obiettivo di qualcuno dei nostri partner delle istituzioni non era un accordo durevole e fruttuoso per tutte le parti ma l’umiliazione di tutto il popolo greco.
Queste proposte mettono in evidenza l’attaccamento del Fondo Monetario Internazionale a una politica di austerity dura e vessatoria, e rendono più che mai attuale il bisogno che le leadership europee siano all’altezza della situazione e prendano delle iniziative che pongano finalmente fine alla crisi greca del debito pubblico, una crisi che tocca anche altri paesi europei minacciando lo stesso futuro dell’unità europea.
Greche e greci,
in questo momento pesa su di noi una responsabilità storica davanti alle lotte e ai sacrifici del popolo greco per garantire la Democrazia e la sovranità nazionale, una responsabilità davanti al futuro del nostro paese. E questa responsabilità ci obbliga a rispondere all’ultimatum secondo la volontà sovrana del popolo greco.
Poche ore fa (venerdì sera n.d.t.) si è tenuto il Consiglio dei Ministri al quale avevo proposto un referendum perché sia il popolo greco sovrano a decidere. La mia proposta è stata accettata all’unanimità.
Domani (oggi n.d.t.) si terrà l’assemblea plenaria del parlamento per deliberare sulla proposta del Consiglio dei Ministri riguardo la realizzazione di un referendum domenica 5 luglio che abbia come oggetto l’accettazione o il rifiuto della proposta delle istituzioni.
Ho già reso nota questa nostra decisione al presidente francese, alla cancelliera tedesca e al presidente della Banca Europea, e domani con una mia lettera chiederò ai leader dell’Unione Europea e delle istituzioni un prolungamento di pochi giorni del programma (di aiuti n.d.t.) per permettere al popolo greco di decidere libero da costrizioni e ricatti come è previsto dalla Costituzione del nostro paese e dalla tradizione democratica dell’Europa.
Greche e greci, a questo ultimatum ricattatorio che ci propone di accettare una severa e umiliante austerity senza fine e senza prospettiva di ripresa sociale ed economica, vi chiedo di rispondere in modo sovrano e con fierezza, come insegna la storia dei greci. All’autoritarismo e al dispotismo dell’austerity persecutoria rispondiamo con democrazia, sangue freddo e determinazione.
La Grecia è il paese che ha fatto nascere la democrazia, e perciò deve dare una risposta vibrante di Democrazia alla comunità europea e internazionale.
E prendo io personalmente l’impegno di rispettare il risultato di questa vostra scelta democratica qualsiasi esso sia.
E sono del tutto sicuro che la vostra scelta farà onore alla storia della nostra patria e manderà un messaggio di dignità in tutto il mondo.
In questi momenti critici dobbiamo tutti ricordare che l’Europa è la casa comune dei suoi popoli. Che in Europa non ci sono padroni e ospiti. La Grecia è e rimarrà una parte imprescindibile dell’Europa, e l’Europa è parte imprescindibile della Grecia. Tuttavia un’Europa senza democrazia sarà un’Europa senza identità e senza bussola.
Vi chiamo tutti e tutte con spirito di concordia nazionale, unità e sangue freddo a prendere le decisioni di cui siamo degni. Per noi, per le generazioni che seguiranno, per la storia dei greci.
Per la sovranità e la dignità del nostro popolo.
Alexis Tsipras
agbiuso
La questione greca -vale a dire la questione europea- non è più questione finanziaria; è una questione totalmente politico-ideologica.
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Un referendum per salvare l’Europa
di Marco Bascetta, il manifesto, 4.7.2015
Qualunque sarà l’esito della vicenda greca se ne possono già trarre numerosi insegnamenti. Per l’oggi e per il tempo a venire. Nonostante una martellante campagna mediatica che mira ad annoverare il governo di Atene tra i populismi antieuropei, affiancandolo alla Polonia o a Marine Le Pen (qualcuno ha voluto perfino scomodare l’impero d’Oriente e la fede ortodossa), quella greca è probabilmente la prima lotta democratica europea e per l’Europa alla quale abbiamo assistito.
La prima volta in cui la tenuta dell’Unione viene affrontata nella sua dimensione politica, economica e sociale. E l’occasione nella quale è venuto pienamente in luce il rifiuto delle istituzioni e dei governi europei di fare i conti con questa “totalità”, nonostante gli enormi rischi che incombono sul processo di unificazione.
Il lungo processo negoziale tra Atene e le “istituzioni” non è stato che un esasperante gioco di finzioni poiché i dogmi, com’è noto, non sono negoziabili e l’Europa è prigioniera di una dogmatica neoliberista che, per definizione, non può essere smentita dai suoi effetti nella realtà. Per quanto disastrosi possano rivelarsi.
Soprattutto nella sua ultima fase la trattativa ha assunto i tratti inconfondibili della lotta di classe: i conti non devono tornare in un modo o nell’altro, ma solo mantenendo inalterati (e possibilmente ancor più squilibrati) i rapporti tra le classi sociali. Le correzioni del Fmi al piano proposto da Atene non mostrano il minimo sforzo di mascherare questa circostanza. Si ricorderà che in anni ormai piuttosto lontani, nella tradizione socialdemocratica, le “riforme di struttura” indicavano una trasformazione in senso sociale e maggiormente inclusivo del sistema economico e politico. Oggi significano l’esatto contrario. Ragion per cui devono essere messe al riparo da possibili interferenze dei processi democratici.
Le socialdemocrazie europee, enfatizzando i lati peggiori della loro storia, coniugando l’autoreferenzialità burocratico-amministrativa con la zelante adesione ai principi dell’accumulazione neoliberista sono diventate il principale nemico della democrazia. In un duplice senso: o occupandone direttamente lo spazio con il proprio decisionismo tecnocratico, o consegnando i ceti popolari alle destre nazionaliste. Non si richiedono particolari doti profetiche per immaginare nullità quali Hollande e Renzi mendicare ben presto il “voto utile” di fronte all’onda montante delle destre. In uno scontro imminente, dagli esiti incerti, tra una Unione insostenibile e i nemici giurati dell’Europa.
Di fronte a questo probabile scenario dovrebbe essere chiaro che Tsipras rappresenta per ora, nel suo isolamento, (almeno a livello di governi) l’unica chance disponibile in difesa dell’Unione europea. Tanto si discute dei rischi di un Grexit sul fronte della speculazione finanziaria, tanto poco se ne ragiona su quello della speculazione politica. Salvo abbandonarsi di tanto in tanto alle solite scemenze retoriche sulla “culla della civiltà occidentale”. Sta di fatto che le istituzioni europee (e i governi nazionali che impongono loro di rispettarne la gerarchia e i rapporti di forze) condividono con le destre nazionaliste un punto decisivo: non può esservi altra Europa all’infuori di questa e dei suoi equilibri di potere. Tanto che la si difenda quanto che la si avversi. Di qui la conclusione che il tentativo della Grecia è contro il principio di realtà.
Tuttavia, poiché nell’opinione pubblica del vecchio continente, e in non poche iniziative di lotta, i dogmi della governance neoliberista europea cominciano a perdere credito, sulla vicenda greca (e non solo) piovono le più incredibili menzogne. I greci che vanno tutti in pensione a 50 anni (misura circoscritta che riguarda soggetti analoghi ai nostri esodati in un paese dove il 26 per cento di disoccupazione rende le pensioni un sostanziale strumento di sopravvivenza) fanno il paio con i “clandestini” negli alberghi a 5 stelle. Ai cittadini europei, presi ormai per scemi dalla mattina alla sera, si lascia intendere che recuperare l’irrecuperabile debito greco, riporterà quei soldi (sia pure indirettamente) nelle loro tasche e non in quelle della grande rendita finanziaria. Bisogna essere ottenebrati dalla birra e dalla televisione per considerarsi “azionisti” del proprio (avarissimo) stato nazionale, secondo la mitologia attribuita al contribuente tedesco. Quanto agli altri paesi indebitati (con tassi di disoccupazione che non si muovono di una virgola) è una gran corsa a taroccare improbabili risultati per dimostrare quanto siano distanti dalla Grecia, se non addirittura in una botte di ferro.
Questo terrorismo ci sospinge a pensare che a vincere (si fa per dire) la partita sarà chi è in grado di incutere maggiore paura. Del resto non è una novità. Le classi subalterne non hanno mai ottenuto nulla se non quando sono state in condizione di terrorizzare la classe dominante. Tutta la storia del Novecento ne è testimone. Da molto tempo non accade. Governi e governati, lavoratori e precari sotto ricatto non rappresentano più una minaccia per le oligarchie. Ma, per la prima volta, la vittoria di Syriza, il braccio di ferro con le “istituzioni”, infine il Referendum, fanno paura. Talmente tanta paura che anche i falchi si affrettano a sostenere che una vittoria del no non significherà necessariamente la fine del negoziato, anche se lo renderebbe sempre più difficoltoso. Certo, la paura crescerebbe, trasformandosi in una forza vincente, se in tutta Europa si cogliesse l’occasione per mobilitarsi contro l’ideologia e la pratica del neoliberismo che oggi la governa negando ogni alternativa. Non è insomma questo un nuovo accenno di “grande politica”? Quella che investe gli interessi dominanti caparbiamente incapaci di ogni compromesso? Se, tra tante, vi è una ragione sintetica per dire no ai diktat è che questo “no” incute finalmente timore a quanti desiderano e concepiscono la “stabilità” come tacita sottomissione alle oligarchie e alla rendita finanziaria. Un no per l’Europa.
agbiuso
Sulla Grecia Renzi è un irresponsabile allo sbaraglio
di Tommaso Di Francesco, il manifesto, 3.7.2015
“È sbagliato pensare che i protagonisti dello scontro sulla crisi greca siano da una parte il governo di Atene e dall’altra la troika tornata in carica anche nominalmente, rappresentata da Merkel e Fmi. No, perché c’è anche il terzo «comodo» dell’Italia governata da Matteo Renzi. Un governo che grazie all’esilarante lavorio «giornalistico» di distratti e accodati commentatori (da Repubblica al Corriere della Sera, passando per la nuova gestione di Rainews24) è stato fatto passare addirittura per «mediatore». Un’invenzione di sana pianta, resa evidente dalle parole del presidente del Consiglio alla conferenza con Merkel. Così tutti di corsa a scoprire quello che era già luminoso: che il twittatore fiorentino, presunto mediatore, tra via greca e via germanica pende proprio per la linea dura, autoritaria e ricattatoria di Angela Merkel.
In linea del resto con la socialdemocrazia europea, visto che ieri Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento, ha vergognosamente dichiarato a soli due giorni dal referendum: «Via Syriza dal governo, servono i tecnocrati». E magari tacendo una malcelata ammirazione per il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker che si è «democraticamente» rivolto al popolo greco invitandolo a votare sì.
Matteo Renzi non ha neppure bisogno delle rivelazioni di Wikileaks, com’è accaduto in queste ore per la premier tedesca spiata dalla Nsa americana mentre mostra crepe nelle sue convinzioni sulla crisi greca.
Renzi ha solo certezze: «Rispetto la decisione del referendum presa dal governo greco, ma io non l’avrei fatto». Almeno è sincero. Ci troviamo di fronte all’unica decisione democratica, dentro la crisi del sistema Europa. Una decisione che fa parte della strategia politica, oltre che del partito di Syriza, di un governo — entrato in carica per volontà popolare solo 5 mesi fa, dopo il fallimento della destra — che amministra l’esecutivo per rispondere alle esigenze popolari chiamando a decidere i cittadini.
È sicuro che Renzi «non l’avrebbe fatto»: governa infatti senza mai essere stato eletto democraticamente (vantando i risultati delle elezioni europee che non riguardavano l’esecutivo) in virtù dello spirito santo che lo ha nominato dall’alto: l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Sorprendente poi l’affermazione, fatta sempre all’ombra di Merkel che non sappiamo se più arrogante o idiota (con tutto il rispetto per la figura mito-poietica dell’idiota): «Appena avremo finito di parlare della Grecia bisogna parlare dell’economia europea». Come se la Grecia non fosse Europa. Come se l’esplosione della crisi greca non rendesse evidente che l’Unione è ormai ridotta solo ad una moneta amministrata dai paesi più forti.
Intanto la crisi di Atene chiama in causa subito altri Paesi passati già sotto i diktat della troika come Portogallo e Spagna. E immune non è l’Italia che vanta, per bocca dei colonnelli renziani, di avere fatto «riforme» sulla pelle dei lavoratori e sfotte le cosiddette «minipensioni» greche: dimentica che anche il governo Renzi propone i prepensionamenti e che oggi in Grecia, grazie alla cura dell’austerità della Troika accettata dal governo Samaras le pensioni sono state tagliate quasi della metà, come i salari: insomma sono diventate tutte minipensioni da fame.
Ultima, in ordine di arrivo, la telefonata di Obama (a tutti i leader europei).
Per l’informazione di Palazzo Chigi è stata su «Grecia, Libia e lotta al terrorismo». Le parole sono pietre: ecco che la crisi greca viene derubricata e inserita nell’agenda accanto al prossimo intervento militar-navale in Libia e alla lotta allo Stato islamico. La verità non velinara è che Obama è seriamente preoccupato che la Grecia, isolata a ovest, diventi un’Ucraina alla rovescia e possa rivolgersi alla Russia e alla Cina (come ha cominciato a fare per ora solo economicamente); Obama ha compreso che anche con una deposizione da Bruxelles di Tsipras (se malauguratamente vincesse il sì, invece della svolta epocale per tutta l’Europa dell’augurabile vittoria del no) la crisi greca rimarrebbe sempre più aperta e dentro un precipizio politico e sociale.
Terreno fertile della destra estrema razzista, non solo di Alba Dorata, e della sua ricetta ipernazionalista e autoritaria come insegna il regime di Orbán in Ungheria, mentre il vento delle piccole patrie torna a spirare nel Vecchio continente.
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La Grecia di Tsipras e di ΣΥΡΙΖΑ è in ogni caso un Paese democratico e intriso di dignità.
L’Italia di Renzi e del PD-Nuovo Centrodestra è in ogni caso un Paese governato da miserabili cialtroni.
diego
sinceramente però, caro Alberto, a me pare un azzardo il referendum;
se la gente, come ben possibile, presa dalla paura (immaginati un attimo di non poter andare in banca a prendere lo stipendio), votasse a maggioranza «Sì»? Io temo che Tsipras confidi troppo nell’orgoglio e nella dignità dei singoli cittadini. Sia chiaro, spero non accada, ma se accade?
lui, Tsipras, la faccia la salva, la sua dignità è comunque salva, ma la sconfitta, bruciante, rimarrebbe
comunque, vedremo, spero di essere, come mi capita spesso, troppo pessimista
agbiuso
Da un articolo di Alberto Burgio sul manifesto di oggi
“Anche se televisioni e giornali di tutto il mondo fanno a gara per nascondere la realtà descrivendo i greci come un gregge di bugiardi parassiti (e attenzione: vale per i greci oggi quel che ci si prepara a dire domani sul conto di spagnoli, portoghesi e italiani, sudici d’Europa), è abbastanza chiaro il motivo per cui Ue, Bce e Fmi hanno deciso di scatenare la guerra contro la Grecia. I soldi (pochi) sono più che altro un pretesto. La sostanza è il modello sociale che deve prevalere.
[…]
I creditori vogliono essere certi che a pagare il «risanamento» e la permanenza nell’eurozona sia la grande massa proletarizzata dei lavoratori dipendenti, costretti a vivere stabilmente in miseria e in schiavitù. Se a pagare fossero i grandi capitali, i conti tornerebbero ugualmente. E solo così l’economia greca potrebbe per davvero risanarsi. Ma il prezzo politico sarebbe esorbitante, tale da vanificare quanto è stato sin qui fatto, per mezzo della crisi, al fine di «riformare» i paesi europei e conformarli finalmente al modello neoliberale di «società aperta»
agbiuso
NO alla menzogna, NO alla schiavitù, NO a ciò che Platone chiamava “timocrazia“, il governo del denaro, NO alla Troika, NO all’Euro
agbiuso
«Il governo greco partecipa ai negoziati avendo con sé un piano con controproposte pienamente valutate. Aspetteremo pazientemente che le istituzioni adottino uno spirito realista. Ma se alcuni scambiano per debolezza il nostro sincero desiderio di trovare una soluzione e i passi che abbiamo fatto per coprire le differenze, deve avere in testa questo: non portiamo sulle nostre spalle solo una pesante storia di lotte. Portiamo sulle spalle la dignità di un popolo ma anche le speranze dei popoli europei. E’ un carico troppo pesante per essere ignorato. E’ una questione di democrazia. Non abbiamo il diritto di seppellire la democrazia nel paese in cui è nata»
Alexis Tsipras, 14 giugno 2015
agbiuso
Consiglio vivamente la visione di Il cielo sopra l’Acropoli, di Aldo Piroso.
Una serie di interviste a esponenti di ΣΥΡΙΖΑ e ad altri intellettuali, militanti e giornalisti che mostrano grande consapevolezza, pacatezza e insieme determinazione.
E mostrano soprattutto la dignità di questo grande popolo di fronte alla devastazione che gli oligarchi, i burocrati e i banchieri di Bruxelles portano nelle loro case e nelle loro strade. Devastazione rispetto alla quale i Black Bloc sono degli innocui ragazzini.
diego
In effetti, caro Alberto, condivido le impressioni su Syriza. Credo abbia trovato un equilibrio imperfetto certo ma il migliore possibile fra le esigenze economico-finanziarie dalle quali è molto difficile divincolarsi e un’azione di governo connotata ad un’attenzione ai ceti meno abbienti. Per ora sembra che la partita con la troika sia finita in un non disonorevole pareggio. Vedremo nei mesi a venire, per ora il peggio è stato evitato.
agbiuso
Grecia, il parlamento trasforma in leggi gli slogan
di Argiris Panagopoulos, il manifesto, 1.3.2015
Al primo sondaggio dopo gli accordi di Bruxelles, la popolarità di Tsipras e del suo partito smentiscono clamorosamente chi puntava sulla delusione dei greci e sull crollo di Syriza. «Non sfuggiremo di fronte alle difficoltà dei nostri impegni», così ieri Tsipras di fronte al Comitato centrale di Syriza, riunito per l’elezione di Tasos Koronakis, nuovo segretario del partito. E, dalla settimana prossima il parlamento presenterà le nuove leggi per cominciare a cancellare dalla vita dei cittadini quelle dei Memorandum e della Troika.
Un mese dopo le elezioni del 25 gennaio il partito di Tsipras ha guadagnato più del 10%, arrivando al 47,6% nella propensione di voto, mentre secondo il primo sondaggio post elettorale realizzato dalla Metron Analysis per il giornale “Parapolitika”, la Nuova Democrazia con il 20,7% si tiene lontana di ben 26,7 punti. Da questa analisi inoltre il populista To-Potami (“Il Fiume”) sarebbe al 6,4%, i neonazisti di Alba Dorata al 5,9%, il Kke al 4,7%, i Greci Indipendenti al 4,3%, i socialisti del Pasok al 3,4%, l’Unione di Centro al 2,8%, il Movimento di Papandreou all’1,6% e la sinistra extraparlamentare di Antarsya all’1,3%.
Il premier Tsipras, con il 55% dei consensi conferma la fiducia al suo ruolo di primo ministro, spiazza Samaras, che crolla al 13%, e attira più del 50% dei probabili elettori di Nuova Democrazia.
Il 68% della popolazione è d’accordo con le trattative intraprese dal governo e solo il 23% se ne dichiara “scontento”. Gli elettori dei due partiti di governo sono compatti: sia l’85% degli elettori di Syriza sia i Greci Indipendenti sono concordi con i punti della trattativa. La sinistra radicale assalta anche le roccaforti conservatrici e perfino reazionarie: il 64% degli elettori del Fiume, il 53% del Pasok e il 55% di Nuova Democrazia si dichiarano in accordo con le trattative del governo, percentuale che arriva al 53% tra gli elettori di Alba Dorata. Ma il risultato più imprevisto a favore delle azioni del governo proviene dagli elettori del partito comunista ortodosso (aveva votato contro il governo di Tsipras insieme ai neonazisti di Alba Dorata, Nuova Democrazia e Pasok): il 67% approva la trattativa con Bruxelles. Percentuali confortanti anche nel giudizio sul governo. Il 78% considera positivo il suo lavoro e solo il 18% no. Per il 59% Tsipras ha ottenuto dall’Europa più del governo di Samaras, il 19% meno e il 12% lo stesso.
Rimarrà delusa anche la fabbrica della paura sull’uscita dall’eurozona. Grazie alla politica europeista di Tsipras, l’81% dei greci vuole restare nell’eurozona e solo il 15% preferisce il ritorno alla dracma. I greci hanno raccolto la sfida di riscrivere i trattati, piuttosto che vedere svalutate le loro vite. Per Tsipras «nei prossimi 4 mesi dobbiamo dare battaglia giorno per giorno». E da domani inizia uno tzunami di vere riforme per ridare alla gente colpita dalla crisi la dignità distrutta dalla Troika.
«Nessuna casa nelle mani dei banchieri» non è più uno slogan elettorale, la prossima settimana è atteso il disegno di legge per la protezione della prima casa. Subito dopo toccherà alla regolazione dei “debiti rossi” dei cittadini e delle imprese (fino ad oggi a 85 miliardi di euro). Il governo vuole creare un ente pubblico che comprerà dalle banche questi debiti, in primis quelli sulla prima casa, per garantire alle famiglie la loro sicurezza abitativa. Anche per i debiti delle piccole e medie imprese e dei lavoratori indipendenti ci saranno facilitazioni mentre probabilmente accelera la riforma del diritto fallimentare. Con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita dei pensionati è in arrivo la legge per il ripristino della tredicesima alle pensioni minime.
Subito dopo toccherà alla legge per la riapertura della radiotelevisione di stato con il nome e il logo di Ert: si parte da zero riassumendo i suoi ex dipendenti. E stop allo sfruttamento delle miniere d’oro a Skouries in Calcidika, la Val di Susa greca.
agbiuso
La strategia negoziale della farfalla ateniese
di Dimitri Deliolanes, il manifesto 21.2.2015
Appena lunedì scorso il presidente dell’eurogruppo Dijesslbloem si era permesso di leggere davanti alle telecamere un ultimatum verso il governo greco: Atene doveva richiedere l’estensione del programma di assistenza finanziaria e accettare in blocco le condizioni che vi erano allegate, sottoscritte dal precedente governo di centrodestra.
Già prima dell’ultimatum, lo stesso Dijesslbloem aveva fatto un piccolo «golpe» sostituendo il documento del commissario europeo Moscovici con un documento scritto in tedesco, con condizioni inaccettabili. In pratica, era in forma scritta quello che Schäeuble aveva dichiarato a voce: il nuovo governo greco doveva fare come il vecchio, eseguire gli ordini.
È passata solo una settimana e quell’ultimatum è stato dimenticato. Venerdì sera i 19 ministri dell’eurozona hanno discusso ma sono arrivati anche a delle conclusioni. Berlino spesso si è trovata isolata e le sue richieste massimaliste rifiutate.
Trattative, compromesso, accordo, ecco la strategia di Tsipras contro l’Europa dell’austerità. È una sorpresa, un cedimento?
Sicuramente sì, se si considera l’obiettivo finale del governo della sinistra greca: togliersi dalle spalle il peso del debito e rilanciare la crescita dell’economia reale.
Ma attribuire a Tsipras la promessa che l’economia greca avrebbe cambiato corso in un giorno è una grossolana falsificazione. Per chi aveva orecchie per sentire e buona volontà per capire, la strategia di Syriza girava per intero attorno a una parola: negoziare.
Cosa ha vinto e cosa ha perso Atene venerdì sera?
Ha vinto in credibilità politica: il nuovo governo greco ha tutta la responsabilità della politica economica e i creditori hanno il diritto di controllare l’andamento dell’economia. Lo faranno attraverso una nuova «troika». Non più emissari della Bce, della Commissione e del Fmi che detteranno la linea alla politica greca ma tecnocrati che interverranno a livello di amministrazione. Le questioni di politica economica saranno dibattute solo tra governi.
Atene ha anche ottenuto di abbattere il rigido 4,5% di avanzo primario per l’anno in corso, previsto dal vecchio memorandum. Ora viene riconosciuto un margine di «flessibilità» da lasciar gestire ai greci. Molto probabilmente, una parte di quel surplus sarà indirizzato verso gli interventi di emergenza alle famiglie senza reddito, costrette a nutrirsi alle mense.
Tsipras non potrà invece tenere fede da subito alla sua promessa di ripristinare il salario minimo del periodo pre-crisi e forse neanche di restuire la 13sima mensilità ai pensionati.
Già domani Varoufakis dovrà presentare ai creditori l’elenco dei punti del vecchio memorandum che Atene accoglie e si impegna a realizzare. È escluso che nel suo elenco siano compresi i nuovi tagli alle pensioni e agli stipendi pubblici e l’ennesima ondata di licenziamenti sottoscritti dal precedente governo.
L’enfasi, lo sappiamo già, sarà data alle vere riforme: del sistema fiscale, dell’amministrazione pubblica e dell’apertura del mercato, combattendo posizioni monopoliste.
Saranno sufficienti? Probabilmente no e Varoufakis ha già annunciato che là ci saranno «grossi problemi».
Per come ha funzionato finora l’eurozona, bisogna parlare solo di cifre: quanto si incasserà dalla lotta all’evasione fiscale? Cosa pensate di incassare al posto dell’imposta sulla prima casa, ora in via di abolizione? Perché avete bloccato le privatizzazioni degli aeroporti che portavano alle casse dello stato ben 10 miliardi?
Probabilmente quindi ci stiamo avviando a un nuovo psicodramma: Varoufakis che insiste su un progetto strategico di stimolo dell’economia reale greca e i creditori, tedeschi in testa, che «non capiranno» di cosa sta parlando, chiedendo in cambio i numeri di futuri incassi.
Ma sono battaglie di retroguardia. Tsipras ha promesso che l’austerità è finita e non è disposto a fare un passo indietro.
Ancora una volta, ci vorrà fantasia e creatività per trovare un nuovo compromesso. E così fino a quando la diga non crollerà del tutto.
agbiuso
Sulla Grecia l’Ue cambi rotta
il manifesto, 19.2.2015
La richiesta dell’Unione europea alla Grecia di proseguire con le catastrofiche politiche di austerity degli ultimi cinque anni, è uno schiaffo alla democrazia e ai sani criteri economici.
Il popolo greco attraverso elezioni democratiche ha rifiutato queste azioni, che hanno portato alla contrazione del 26% della propria economia, al 27% del tasso di disoccupazione e hanno portato il 40% della popolazione a vivere sulla soglia di povertà.
Continuare con l’austerity significa tradire la Ue e tradire i principi di democrazia, prosperità e solidarietà. Il rischio è che l’austerity finisca per dare fiato a forze antidemocratiche tanto in Grecia, quanto in altri paesi.
Chiediamo alla leadership europea di rispettare la decisione del popolo greco e di concedere al nuovo governo il tempo per rimediare alla crisi umanitaria e ripartire con la necessaria ricostruzione della devastata economia nazionale.
Costas Douzinas, Jacqueline Rose, Giorgio Agamben, Slavoj Zizek, Lynne Segal, Gayatri Spivak, Etienne Balibar, Judith Butler, Jean-Luc Nancy, Chantal Mouffe, David Harvey, Eric Fassin, Joanna Bourke, Immanuel Wallerstein, Wendy Brown, Sandro Mezzadra, Marina Warner, Drucilla Cornell
agbiuso
Da Atene assediata
di Marco Bascetta, il manifesto, 6.2.2015
Se governi come quelli italiani e francesi, che certo non sono avvantaggiati dalle attuali politiche europee, plaudono al rigore di Draghi è perché piegare la Grecia rappresenta una mossa decisiva in difesa del sistema liberista, concorrenziale e privatizzatore in cui pienamente si riconoscono, «parlando la stessa lingua» di Merkel.
I greci mettono sul tavolo europeo il proprio programma di risanamento e di riforme. Ma è esattamente quello che la governance europea, pilotata da Berlino, non vuole. C’è da scommettere che la riforma fiscale elaborata da Syriza non assomiglierà in nulla a quella prevista da Renzi. Che la Grecia riesca ad uscire in qualche modo dalle condizioni catastrofiche in cui versa non è ciò che rileva. Non è il fine che conta, ma i mezzi e cioè le «riforme» in versione Troika.
Questi mezzi non possono essere messi in discussione perché così si aprirebbe una breccia nella dottrina liberista e nel dispositivo di comando che la incarna a garanzia della rendita finanziaria.
agbiuso
Rodolfo Ricci
Diffondere una Campagna europea a sostegno della Grecia e del suo governo democratico nella difficile negoziazione per il ripristino dei diritti del popolo greco e dei popoli europei
E’ importantissimo far sentire in questi giorni, la voce dei cittadini europei a favore delle posizioni del legittimo e democratico governo greco che si sta battendo per una revisione e del debito. Un debito che è nato privato ed è diventato “pubblico” solo per salvare banche e istituzioni finanziarie (nord europee) che hanno speculato e giocato col fuoco dei derivati.
La battaglia della Grecia è la battaglia di tutti i cittadini europei contro le elites nazionali e internazionali dell’1-10% che negli anni della crisi si sono arricchiti oltre ogni limite a danno dei lavoratori, dei precari dei disoccupati.
L’Europa avrà un futuro solo se sarà ripristinato un equilibrio sostenibile tra paesi del nord e paesi del sud, solo se la ricchezza sarà ridistribuita all’interno dei singoli paesi, solo se le istituzioni finanziarie torneranno a rispondere ai governi democratici.
Lanciamo e diffondiamo una campagna europea a sostegno del governo greco. Dagli esiti della negoziazione in corso, dipenderà il futuro del nostro continente e delle generazioni future.
agbiuso
Ricchi e ingrati
agbiuso
Come era facilmente prevedibile:
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COSI’ DRAGHI SPINGE LA GRECIA #FUORIDALLEURO
Draghi getta la maschera. Con la mossa di impedire alle banche greche di poter utilizzare i bond ellenici come garanzia per rifinanziarsi, la Banca Centrale Europea impone il suo aut-aut: o Troika o morte. Draghi ubbidisce ossequiosamente alla linea tedesca e si dimostra, in questa Europa governata dall’egoismo, debole con i forti e forte con i deboli.
La Merkel vuole il rispetto del Memorandum, vuole imporre le sue misure di austerità, tra cui il licenziamento degli impiegati statali, la riforma delle pensioni e la vendita di porti e centrali elettriche.
L’irrequietezza dei mercati e il crollo delle Borse rappresentano una indebita pressione sulle libere decisioni che deve prendere il nuovo governo greco. A chi appartiene la sovranità in Grecia? Ai greci o al duo Merkel-Draghi? Non ci sono le baionette dei Colonnelli, ma in un’altra epoca questo si chiamerebbe tentativo di colpo di Stato…
Piuttosto che accettare la continuazione del piano che ha già messo sul lastrico la Grecia, il nuovo premier Tsipras dovrebbe accelerare l’uscita del proprio Paese dall’eurozona. Uscire dall’euro conviene all’economia greca.
Secondo le ultime previsioni dell’agenzia Moody’s, nel medio-lungo periodo, fuori dall’area euro la Grecia crescerebbe di più rispetto ai Paesi rimasti nella moneta unica.
Per il parlamentare europeo del Movimento 5 Stelle Marco Valli: “l’euro indebolito dalle economie del sud in crisi sta infatti favorendo da tempo la bilancia commerciale tedesca, tutto ciò in violazione delle regole europee. Questa non è una vera Unione”.
Per Marco Zanni la decisione della BCE “è uno schiaffo al popolo greco che con le recenti elezioni aveva dato un segnale forte di cambiamento. In questa Europa non contano i cittadini e le elezioni, ma siamo tutti schiavi di decisioni prese a Berlino o Francoforte. Questa azione della BCE rischia di minare alle basi il concetto stesso di democrazia”.
Biuso
Il governo del Partito Democratico – Nuovo Centrodestra contro la Grecia e a favore della troika. Il presidente del consiglio ha infatti dichiarato che la «decisione della Bce è giusta e opportuna».
Ecco un tipico servo (dunque un tipico italiano?)
agbiuso
Il ministro delle Finanze greco: «Germania sa che cosa succede quando si scoraggia una nazione orgogliosa». Così si risponde alla troika criminale.
Fondo Monetario Internazionale, Commissione Europea e Banca Centrale Europea faranno di tutto per distruggere la Grecia e il suo esempio di autonomia, di politica sociale, di rifiuto dell’ultraliberismo.
In questo modo si capirà -spero che lo capiscano anche i ciechi!- che l’Europa politica non esiste e che dunque dall’euro bisogna uscire. L’euro è ormai la denominazione degli usurai.
agbiuso
L’articolo è stato pubblicato anche su Sicilia Journal con il titolo redazionale di Syriza oltre la destra e la sinistra: l’ardua strada per stare dalla parte della gente
agbiuso
Grazie della condivisione, cari amici.
Nel suo editoriale di oggi, Luciana Castellina scrive tra l’altro che “si tratta di una scelta molto dura, coraggiosissima e anche rischiosa come tutto ciò che si fa per coraggio. Sarebbe stata più facile una prudente alleanza con i centristi, che avrebbero però condizionato il governo pesantemente, spingendolo ad una logorante mediazione, e poi a un parziale cedimento. Era quello che auspicava Bruxelles.
Tsipras ha deciso invece di andare al braccio di ferro. Perchè quello che Siryza chiede non è un aggiustamento un po’ meno rigoroso, ma un mutamento sostanziale della linea di politica economica dell’Unione Europea. Per questo non si è limitata a chiedere una dilazione nel pagamento del proprio debito ma una Conferenza straordinaria che affronti il problema della crisi, non solo della Grecia, in tutta la sua complessità. Vale a dire l’occasione per affrontare non solo le magagne greche, ma anche quelle degli altri paesi, per varare regole nuove e diverse da quelle stabilite nel 2012 dal trattato sui bilanci.
A cominciare da una unificazione della politica fiscale, per porre fine alla pratica del dumping allegramente usata dai più forti, e di un più intelligente rapporto fra livello del deficit e livello degli investimenti.
È ben paradossale che la troika, e con lei tutti i c.d. benpensanti europeisti, stia facendo due cose assolutamente contraddittorie: accusare la Grecia di aver sperperato danaro e perfino di aver falsificato i propri bilanci e insieme auspicare che restino al comando proprio gli stessi colpevoli di questa bancarotta fraudormirelenta.
[…]
Il nuovo esecutivo non tradisce il mandato del comitato centrale della Sinistra Radicale greca che è: ‘Nessun compromesso con chi ha firmato l’odioso Memorandum della Troika’.
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La scelta coraggiosa del giovane Alexis, il manifesto, 28.1.2015
diegod56
parole come Destra e Sinistra significano ormai ben poco e che la contrapposizione reale è tra i popoli e la finanza internazionale dei Lehman Brothers; tra i lavoratori e le multinazionali
questo è il passaggio chiave del discorso, caro Alberto
comunque penso che la piccola Grecia possa contribuire all’allentarsi delle politiche rigoriste, che hanno dimostrato oltre che crudeltà anche inefficacia
Draghi, seppur certamente uomo della finanza, è comunque della scuola di Caffè, cui è stato allievo, e difatti non è in sintonia con i rigoristi tedeschi
io credo che il vento abbia girato, anche se ci sono rischi, non dimentichiamoci i colonnelli greci di non molti anni fa, però, tornando alle tue acute osservazioni, caro Alberto, stavolta a destra c’è comunque chi sulla finanza la pensa uguale alla sinistra autentica
speriamo bene, sono molto cautamente ottimista
Dario Generali
Caro Alberto,
me lo auguro senz’altro anch’io, insieme a te.
Un caro saluto.
Dario
Pasquale D'Ascola
Mio caro Alberto, impeccabile al solito ma che fatica, che amarezza il vederci chiaro… ti obbligo a leggere Cecità di Saramago.
Quanto al resto sono stato colpito anch’io dalla determinazione di Tzipras nello sbarazzarsi per il bene delle Grecia delle classiche distinzioni. Distinzioni che per altro verso Blair, e in gran parte il sistema americano hanno da tempo messo da parte. Renzi è solo l’ultimo dei nibbi o dei ragni.
In appendice pensa che nella tremenda Svizzera il salario minimo è di 3000 €. Bah.
P.