Il mare la bagna lungo Leoforos Nikís, la via che dal porto conduce alla Torre Bianca. Dove una volta c’erano le mura ora è l’ampia vista che spazia per le acque. Su questo mare sporge Platía Aristotelous, una elegante mescolanza tra il Cordusio di Milano e Piazza dell’Unità d’Italia di Trieste. Da questo luogo parte la via porticata che conduce alla Platía Dikastírion, poi all’Agorà romana e infine ad Ágios Dimítrios, la cattedrale della città. In poche centinaia di metri stanno interi secoli e tutta la storia, almeno quella che è rimasta o che è stata ricostruita dopo l’incendio devastante che nel 1917 cancellò gran parte della città. Ágios Dimítrios è una sintesi delle tante chiese che costellano Thessaloníki, tutte uguali nella struttura, nella proliferazione delle icone, nelle candele. Il rito dei cristiani ortodossi è un vero rito religioso. I pope sono abbigliati in modo lussuoso e cromatico. Durante la funzione alla quale ho assistito erano in nove, più tre che cantavano ininterrottamente. Uno di loro attraversa per intero il tempio diffondendo il profumo dell’incenso. I celebranti volgono quasi sempre le spalle ai fedeli, cantando per gran parte del rito. L’effetto è una solennità antica che la messa cattolica ha completamente smarrito, sostituendo al sacro -che è sempre anche distanza- un’imitazione delle canzonette sanremesi, tanto veloce quanto banale (non parlo neppure, ovviamente, dei ‘riti’ protestanti ai quali ho assistito nel nord Europa, di una penosa tristezza).
Teatri e Università sono tra loro vicini. All’ingresso della Facoltà di filosofia c’è un busto di Aristotele, al quale l’intero Ateneo è giustamente dedicato. Aristotele, infatti, era di queste parti; vicino al mare si trova una imponente statua del suo allievo più celebre, Μέγας Ἀλέξανδρος, rivolta verso l’Oriente e circondata da scudi sui quali compaiono i simboli più densi della religione ellenica.
Se le mura che davano sul mare non ci sono più, rimangono invece le mura che difendevano la città dall’alto. Mura anch’esse -come le chiese bizantine, i resti romani, le poche tracce classiche- letteralmente immerse e sovrastate dalla grande bruttura dei condomini contemporanei, dai quali davvero nessuna luce sembra trasparire, dei quali nulla rimarrà poiché nulla merita di rimanere. Tra gli edifici romani, invece, permane ancora parte dell’Arco dell’imperatore Galerio -una storia per immagini simile alla Colonna Traiana- e a poca distanza il mausoleo di questo imperatore, diventato di volta in volta chiesa cristiana e moschea ottomana.
Tutti questi luoghi sono vicini a Odós Egnatía, l’ampio e lungo tratto della via romana che collega Durazzo a Costantinopoli attraversando Macedonia e Tracia. Il Museo Archeologico (1962) e il Museo della Cultura Bizantina (1994) conservano numerose e splendenti tracce del mondo e del tempo in cui Thessaloníki fu grande.
Ho visitato questa città anche per capire sino a che punto gli incolti padroni della finanza europea stanno distruggendo la Grecia. E in effetti molti palazzi sono abbandonati e in rovina, come se una guerra, la guerra dell’Euro, li avesse colpiti. Ma ho anche constatato che tanti altri spazi sono ben vivi, frequentati, ricostruiti. Macerie e futuro si mescolano nel quartiere chiamato Ladadika, quadrato di strade che corrisponde a un antico mercato turco, dagli edifici bassi e colorati, dove si possono ascoltare le musiche popolari dei macedoni e quelle del presente.
Thessaloníki è una città balcanica e mediterranea, politeista e ortodossa, rassegnata e frizzante. È la Grecia contemporanea.
3 commenti
agbiuso
Giù le mani dal voto greco
di Tommaso di Francesco, il manifesto, 6.1.2015
Quello che accade in questi giorni e in queste ore in Grecia ci riguarda direttamente, la crisi infatti non è greca ma dell’intero sistema finanziario del capitalismo globalizzato. Sono sette anni che il mondo occidentale è in aperta recessione e le sole timide uscite segnalate sono quelle di paesi che hanno la capacità di scaricare su quelli più deboli contraddizioni e costi, come fanno la Germania con i neosatelliti dell’est e gli Stati uniti con l’intera economia europea.
Il fatto che la sinistra rappresentata da Syriza sia riuscita a sventare a fine anno la manovra del premier Samaras di eleggere un “suo” presidente della repubblica per negare e rimandare la verifica elettorale è un avvenimento di portata continentale.
Tutta l’Europa in questo momento guarda ad Atene e, certo, non tutti con la stessa aspettativa.
I mercati, vale a dire la finanza internazionale occidentale, teme che la rinegoziazione dei termini del debito greco metta in discussione i criteri con cui l’Unione europea ha salvaguardato le banche invece degli investimenti per il lavoro, l’occupazione, le spese sociali; l’establishment dell’Ue ha paura che l’arrivo sulla scena del governo greco di una forza alternativa di sinistra faccia saltare l’impianto dei diktat che hanno portato alla crisi umanitaria non solo la Grecia. Ad Atene invece si apre uno spiraglio di luce, una grande possibilità.
Noi che in Italia lavoriamo a ricostruire una sinistra alternativa italiana, mentre siamo alle prese con la scomparsa della sinistra e con le scelte neoliberiste di un governo come quello del leader Pd Matteo Renzi all’attacco dei diritti dei lavoratori e del welfare, vediamo l’occasione straordinaria di una svolta possibile anche in Italia e in tutta Europa. È un’opportunità europeista, perché l’Unione europea invece che nemica, com’è stata finora, diventi il continente dei diritti e della democrazia.
Sorprende e allarma, in una parola preoccupa, il dispositivo — fin qui — di terrorismo psicologico di massa che i governi europei e i rappresentanti della stessa Commissione europea hanno messo in campo. Dal presidente Juncker con le sue dichiarazioni contro Syriza, al governo di ferro di Berlino, a quello di destra di Madrid alle prese con elezioni proprio nel 2015 e con la nuova formazione di sinistra Podemos; con l’eccezione del presidente francese Hollande che almeno invita Merkel e i governi Ue a riconoscere che alla fine «il popolo è sovrano». Questo attacco subdolo e scellerato è contro il popolo greco che vuole decidere il proprio destino. Dopo tante chiacchiere sulla democrazia, scopriamo dunque che i leader e i governi europei la temono anziché difenderla e vorrebbero impedire che chi ha subìto i costi della crisi del capitalismo finanziario possa votare contro la violenza istituzionale che i tagli riformisti hanno rappresentato per la condizione di vita di milioni e milioni di cittadini e lavoratori con l’aumento della miseria e delle diseguaglianze. Così si strappa un velo: il capitalismo globalizzato non ama la democrazia reale ma solo quella rituale e svuotata di senso — vista l’equivalenza dei partiti — che allrga il baratro tra governanti e governati, alimenta qualunquismo e antipolitica, mentre crollano le percentuali di voto e vince ovunque l’astensionismo di massa e il conflitto di tutti contro tutti. Fino a favorire una nuova destra estrema xenofoba, razzista, ipernazionalista che difende nella crisi i più forti e usa i deboli contro i più deboli.
Allora, giù le mani dalle elezioni greche. Solo la democrazia reale salverà la Grecia e l’Europa dal disastro. Una democrazia reale che chiami il 25 gennaio non ad un voto qualsiasi ma ad un impegno di protagonismo milioni di giovani, di donne, di lavoratori e disoccupati. Perché sostengano l’alternativa che Syriza e il suo programma già rappresentano, perché cresca la sua forza e si allarghi il suo sostegno — nessuno a sinistra può restare solo a guardare. E perché il forte consenso che avrà, e che noi auspichiamo, sia il primo passo per coinvolgere il popolo e i lavoratori nel governo della Grecia e nella svolta in Europa.
agbiuso
Grazie a te, Pasquale, e un saluto ad Albertina, magnifica attrice.
Pasquale D'Ascola
Alberto, ho spedito questa pagina alla piccola Albertina, Estragona ricordi, che di Grecia ha bisogno. Grazie Alberto. P.