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In difesa della trattativa

In difesa della trattativa

La trattativa
di Sabina Guzzanti
Italia, 2014
Con Enzo Lombardo, Filippo Luna, Franz Cantalupo, Claudio Castrogiovanni, Sergio Pierattini, Maurizio Bologna, Sabina Guzzanti, Nicola Pannelli, Michele Franco, Sabino Civilleri, Ninni Bruschetta
Trailer del film

«Quanto sia lodabile in un principe mantenere la fede, e vivere con integrità e non con astuzia, ciascuno lo intende: non di manco si vede per esperienza ne’ nostri tempi, quei principi aver fatto grandi cose che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con l’astuzia aggirare i cervelli degli uomini; e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in sulla lealtà. […] Ma è necessario questa natura saperla bene colorire, ed essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini e tanto obbediscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare»
(Niccolò Machiavelli, Il Principe, cap. XVIII, Cremonese editore, 1955, pp. 70-71).
Di fronte dunque alle stragi perpetrate da Cosa Nostra in Italia all’inizio degli anni Novanta del XX secolo, che cosa avrebbe dovuto mai fare il Principe? Il suo dovere -per garantire pace e ordine- era trovare un accordo con un’autorità che non si poteva sconfiggere militarmente. E non la si poteva sconfiggere perché in realtà non di un nemico esterno si trattava ma di una parte delle istituzioni della Repubblica. Si trattava -e si tratta- di una fazione della quale hanno fatto parte dal 1945 amministratori locali e nazionali, capi di partito, magistrati, militari, altri e alti funzionari dello Stato. Tale appartenenza dimostra che l’obiettivo dell’organizzazione che va sotto il nome di Cosa Nostra non è mai stato soltanto l’arricchimento dei suoi membri tramite l’uso della violenza ma anche il mantenimento del sistema democratico e dei partiti che ne costituiscono il fondamento. Fu l’esercito statunitense, infatti, a porre uomini di Cosa Nostra a capo dei comuni siciliani. E furono i mafiosi a dare un contributo fondamentale alla permanenza dell’Italia nella sfera occidentale contro il pericolo comunista. Il sostegno, inoltre, alle aziende edili che rinnovarono Palermo, alla produzione e ai commerci durante l’impetuoso sviluppo economico, alle nuove realtà imprenditoriali come Mediaset, è sempre da tenere in considerazione quando si giudica la mafia.
Era quindi fisiologico che il maggior partito italiano -la Democrazia Cristiana- si fondesse, in Sicilia ma non solo, con Cosa Nostra. Fisiologico che la massoneria accogliesse nelle proprie logge molti suoi esponenti, sino a rendersi di fatto indistinguibile da CN. Fisiologico che la più importante realtà culturale e spirituale della nazione, la Chiesa cattolica, collaborasse attivamente con quegli uomini per il mantenimento dell’identità religiosa del Paese. Da tutto questo scaturisce con evidenza come fosse altrettanto -e soprattutto- fisiologico che le istituzioni della Repubblica non soltanto entrassero in ‘trattative’ contingenti e specifiche con Cosa Nostra ma che si scambiassero con regolarità informazioni, strutture, finanziamenti, uomini.
Soltanto se si comprende tutto questo si può, credo, capire che cosa sia stata la cosiddetta trattativa. Essa costituì l’inevitabile accordo tra il Ministero degli Interni guidato da Nicola Mancino, il Ministero della giustizia, la commissione Antimafia di Luciano Violante, la presidenza del Consiglio retta da diversi soggetti, i carabinieri del ROS del colonnello Mori, i Servizi di sicurezza di Contrada e dall’altra parte i capi moderati di Cosa Nostra come Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano. Lo scopo fu quello di arginare da un lato la tattica stragista dei fratelli Graviano e di Salvatore Riina; e di arginare dall’altro l’oltranzismo giudiziario di magistrati come Falcone e Borsellino. Lo scopo fu di salvare la Repubblica. E tale scopo venne raggiunto. Il segno più evidente di tale risultato fu la scomparsa di molti partiti ormai superflui o vecchi e la nascita di una formazione nuova, dinamica, aperta come Forza Italia. Uno dei cui fondatori fu per l’appunto un mafioso di primo piano -giudicato tale ormai anche dai tribunali- come il palermitano Marcello Dell’Utri, al quale Silvio Berlusconi ha più volte correttamente e pubblicamente attribuito l’identità e il successo elettorale del suo partito. Che Berlusconi accogliesse nella propria casa e tra gli amici più intimi esponenti importanti di CN, come Vittorio Mangano, è soltanto una delle manifestazioni di tale profonda consonanza.
Venendo al tempo a noi più vicino, è del tutto in linea con tale storia la giusta difesa che l’attuale Presidente della Repubblica conduce strenuamente a favore del suo amico e allora Ministro Mancino. Non solo: uno degli elementi di maggiore importanza e significato della strategia del Presidente Renzi consiste nell’innovare, sì, ma rimanendo in continuità con le forze più moderate, occidentaliste e pragmatiche del Paese, a cominciare dalla massoneria nei suoi esponenti più vicini al mondo degli affari, compreso ovviamente il mondo di Cosa Nostra. Non a caso le attività di tali organizzazioni sono state di recente e finalmente inserite dall’Istat tra quelle che concorrono a formare il Prodotto Interno Lordo dell’Italia.
Infine, ma per me è la questione più importante di tutte, c’era e c’è un problema di giustizia. Non si vede infatti in base a quale criterio etico e politico alcuni dei soggetti che hanno concorso e concorrono a tale vicenda debbano stare in carcere -e subire addirittura le restrizioni dell’articolo 41 bis- e altri soggetti altrettanto responsabili di tutto questo debbano stare nei ministeri e in istituzioni ancora più importanti. L’omicidio, a suo tempo, dell’onorevole Salvo Lima fu una delle espressioni più chiare anche se dolorose di tale esigenza di giustizia.
Il film di Sabina  Guzzanti si occupa in parte di tutto questo, coniugando molta documentazione con un po’ di immaginazione. E in tal modo offrendo una buona sintesi della storia italiana nella seconda metà del XX secolo e negli anni Zero e Dieci del XXI.

15 commenti

  • Qohélet, la Sicilia - agb

    Ottobre 18, 2024

    […] ultimi, che non sono l’altro della mafia ma sono la mafia, come la vicenda della cosiddetta «trattativa» ha confermato. Disperante da pensare e da dire? Forse. Ma non per un siciliano, che tutto questo […]

  • agbiuso

    Settembre 11, 2020

    Una riflessione di Saverio Lodato conferma che la relazione tra i poteri criminali e i poteri mafiosi è una relazione di identità.

    Il silenzio sulla Trattativa Stato-Mafia, Roberto Scarpinato e l’urlo di Pasolini
    in Antimafia 2000, 6.9.2020

    Quando (il 1° febbraio 1975, sul Corriere della Sera) Pier Paolo Pasolini volle indicare lo stravolgimento della politica italiana, che introdusse il definitivo e radicale spartiacque con “i valori traditi” della Resistenza”, ponendo le basi, a suo dire, per un nuovo e più totale fascismo in Italia, ricorse all’immagine della “scomparsa delle lucciole”. Immagine poetica, espediente suggestivo, poco razionale, ma che aveva il merito indiscusso di sintetizzare, in maniera fulminea, ciò che era accaduto.
    Erano trascorsi esattamente trent’anni dalla Liberazione dal nazifascismo.
    E appena tre mesi da quell’altro proverbiale articolo (14 novembre 1974, ancora sul Corriere della Sera) in cui, enumerando le prime stragi di Stato dell’epoca (Milano, Brescia e Bologna), rimaste senza colpevoli – cioè senza esecutori e senza mandanti -, Pasolini aveva sintetizzato, altrettanto efficacemente: “Cos’è questo golpe? Io so”.
    Specificando poi, nel corpo dell’articolo: “Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi”.
    Dall’analisi pasoliniana sono trascorsi – adesso – altri quarantacinque anni.
    Verrebbe da dire che l’urlo pasoliniano è rimasto inascoltato.
    Le stragi di Stato – e i delitti di Stato – si sono susseguiti, con macabra cadenza. Lo stragismo sfociò persino nel delitto Moro; con Leonardo Sciascia che, volendone scrivere poliziescamente nel libro “L’affaire Moro”, come cioè avrebbe dovuto fare – ma non fece – la polizia di allora, iniziò il suo ragionamento proprio dalla scomparsa delle lucciole di pasoliniana memoria.
    Questo breve riepilogo (che tornerà utile fra un po’), ci porta sin dentro le parole pronunciate qualche giorno fa da Roberto Scarpinato, procuratore generale a Palermo, che ha descritto in maniera tranchant – in un dibattito pubblico – il filo d’acciaio che si è dipanato dalla strage di Portella della Ginestra (1947) sino a Capaci, via d’Amelio, Roma, Milano e Firenze.
    Due, per Scarpinato, i collanti comuni di questo stragismo apparentemente oscuro: il ruolo dei servizi segreti, civili e militari a seconda dei casi, nella gigantesca opera di depistaggio dell’attività della magistratura per impedirle di scoprire la verità; l’eliminazione, con delitti e finti “suicidi”, di tutti coloro i quali avevano offerto la loro compartecipazione criminale a quella strategia che, sempre per Scarpinato, è stata la caratteristica del potere politico italiano.
    Un potere che, quanto a ferocia – ha aggiunto – non ha mai avuto uguali in nessun paese d’Europa.
    Le parole di Scarpinato, sia detto per inciso, andrebbero ascoltate senza pregiudizio, come dovrebbe accadere in un Paese che fosse intenzionato per davvero, ora che il sangue di migliaia di morti si è inevitabilmente asciugato, a fare i conti con il suo passato.
    Se no – ma questo lo diciamo noi – non se ne esce, né se ne uscirà mai.
    Ma dove porta il filo d’acciaio che parte da Portella (a non volerlo retroattivamente prolungare, questo filo, sino al delitto Notarbartolo, o, più indietro ancora nel tempo, al delitto Petrosino)?
    A questa altra constatazione di Scarpinato: che “ci sono dei poteri, che sono ancora poteri, che hanno una capacità di intervento e di intimidazione tale da impedire che la verità venga accertata, per cui chi sa non parla”. Il Potere – verrebbe da dire – è ben più longevo di Cosa Nostra.
    Scarpinato non ne fa una questione di memoria negletta, o poco coltivata, di quanto è accaduto. Infatti aggiunge: “questo non è soltanto un dramma della conoscenza e della memoria, questo diventa un dramma della democrazia. Il gioco grande non è mai finito”,
    Parole pesanti.
    il patto sporco integraleSolo illusi visionari potrebbero, oggi, dire che si stia tornando all’epoca d’oro delle lucciole.
    A ben guardare, infatti, il filo d’acciaio di cui sopra arriva intatto sino ai nostri giorni.
    Il potere italiano, in altre parole, non ha mai fatto una grinza.
    Ha scavalcato, a suon di bombe e depistaggi, il mezzo secolo che data dalla scomparsa di Pasolini.
    Ma che prezzi enormi ha dovuto pagare, se persino un capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha ritenuto più opportuno, per il bene della Patria, il silenzio, in luogo della parola.
    Ormai nove italiani su dieci “sanno”, esattamente come “sapevano” Pasolini e Sciascia. Sanno che non fu mai “sola Mafia”.
    Con in più – e questo non andrebbe nascosto -, le oltre 5000 pagine di sentenza del primo grado del processo di Palermo, sulla trattativa Stato-Mafia, presieduto da Alfredo Montalto, giudice a latere, Stefania Brambille, che si è concluso con condanne per uomini politici, rappresentanti dello Stato, boss mafiosi.
    Sono pagine che fanno rabbrividire chi tenta di capire, senza pregiudizio, cosa è stata l’Italia degli ultimi decenni.
    Scarpinato non poteva parlarne – né toccava a lui farlo – in considerazione del ruolo che ricopre a capo della Procura generale, e in vista proprio della imminente sentenza di appello di quel processo.
    Ma gli altri sì, che potrebbero parlarne. E dovrebbero parlarne tanto, e ad altissima voce. Ma non se la sentono.
    Certi intellettuali, certi notisti politici, certi esponenti politici, certi direttori di giornali e storici di mafia, persino certi parenti delle vittime, che restano invece in imbarazzato silenzio, certe televisioni di Stato e televisioni private, danno l’ impressione di voler nascondere la polvere sotto il tappeto.
    E non si accorgono che altri (i poteri ai quali si riferisce Scarpinato), nel frattempo, ne approfittano per nascondere, sotto il tappeto, la polvere da sparo (che può sempre tornare utile), con buona pace per il ritorno delle lucciole.

  • agbiuso

    Luglio 9, 2017

    Un bellissimo e drammatico articolo di Travaglio a proposito di Contrada e Riina.
    L’età della pietra
    La mafia ha vinto, lo Stato ha vinto, il potere criminale ha vinto.

  • agbiuso

    Novembre 16, 2014

    Napolitano, Mancino e Violante hanno declinato l’invito.
    Peccato.

    ==============
    La sedia vuota di Napolitano #latrattativa

    “Alla fine non ce l’hanno fatta! Mi hanno assicurato di averci provato ma forse il traffico causato dallo sciopero dei mezzi pubblici li ha fermati. Ci sono mancati davvero.
    Giorgio Napolitano, Luciano Violante e Nicola Mancino, ho sentito il peso della vostra assenza, sono certo che avreste avuto un sacco di belle idee da condividere sulla lotta alla mafia e, perché no, tante cose da chiarire in barba a quei gufi che ce l’hanno con voi ingiustamente, magari cosa fossero quegli “indicibili accordi” di cui parlava D’Ambrosio.
    In compenso, circa 300 persone in sala e qualche migliaio in rete hanno saputo qualcosa in più della storia più nera del nostro Paese, la trattativa stato-mafia, grazie all’encomiabile lavoro di Sabina Guzzanti, il docu-film #LaTrattativa.
    Queste migliaia di persone saranno, d’ora in avanti, consapevoli e vogliose di raccontare a tutti la vera storia d’Italia, una storia che purtroppo incide tutt’oggi, tragicamente, nella vita di ogni italiano.
    Un Paese come l’Italia, ai primi posti europei per corruzione e al 49esimo posto per libertà di stampa, si salverà solo con memoria e denuncia.
    A noi quindi il compito di continuare a parlare, informare, denunciare, chiedere chiarimenti e proteggere chi, in questi anni, sta cercando di portare a galla le verità celate. Il MoVimento 5 Stelle farà di tutto per cacciare la mafia dalle istituzioni (abbiamo tantissime proposte di legge in merito) e ripristinare la verità, per questo ci schieriamo al fianco dei servitori dello stato come il pm Nino Di Matteo e il pool antimafia di Palermo. Parlate di mafia, confrontatevi, ricordate ai vostri amministratori di combatterla perché, credetemi, la mafia uccide ma sono silenzio e ignoranza a seppellire la speranza. La conoscete la teoria della pallina sul piano inclinato? Ecco…noi siamo quella pallina e, in fondo al piano inclinato, c’è un’Italia meravigliosa, raggiungerla e solo questione di tempo.”
    Manlio Di Stefano, portavoce M5S Camera

    PS: per chi volesse proiettare il film nelle scuole o in sale cinematografiche occorre scrivere a staffsabinaguzzanti@gmail.com

  • agbiuso

    Novembre 13, 2014

    I Gruppi parlamentari del Movimento 5 Stelle invitano il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e i Dottori Violante e Mancino alla proiezione del film La trattativa, il 14 novembre 2014 alle 17,00.

    Invito a leggere le tre lettere di invito: C’è posta per voi #latrattativa

  • agbiuso

    Ottobre 29, 2014

    “Nessuno si scandalizza se Berlusconi, quello di Mangano ‘eroe’, sta facendo le ‘riforme’ con Renzi”, intaccando e attaccando insieme ai mafiosi la Costituzione della Repubblica.

    =========
    “Non c’è differenza tra un uomo d’affari e un mafioso, fanno entrambi affari: ma il mafioso si condanna e un uomo d’affari no” questo ha detto Grillo a Palermo tra lo scandalo generale.
    Nessuno però si scandalizza se Dell’Utri un fondatore di Forza Italia è in carcere condannato in secondo grado di giudizio con pena di 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza considera Marcello Dell’Utri il tramite intermediario tra la mafia e Silvio Berlusconi.
    Nessuno si scandalizza se Berlusconi, quello di Mangano “eroe”, sta facendo le “riforme” con Renzie.
    Nessuno si scandalizza se FI è in Parlamento e non sia invece stata sciolta d’autorità visto la sua genesi. Nessuno si scandalizza perché nessuno condanna questo stato di cose che farebbe inorridire qualunque democrazia compiuta.
    La mafia non ha più bisogno di nascondersi, è entrata a pieno titolo nelle istituzioni, Ed ora che le attività criminali faranno parte del PIL potremmo anche quotarla in Borsa, ma questo forse è già avvenuto da anni.

    Fonte: La pietra dello scandalo

  • Biuso

    Ottobre 28, 2014

    «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere», come un mafioso qualunque. È questo che denunciano Guzzanti e Grillo, se li si vuole capire.

  • agbiuso

    Ottobre 27, 2014

    Passaparola: La trattativa Stato-Mafia di Sabina Guzzanti

  • agbiuso

    Ottobre 13, 2014

    Di rado il potere mostra in modo così sfacciato la finzione che lo sostanzia.

    ============
    Televideo, 13/10/2014 18:15
    Napolitano:”Lotta a mafia come Falcone”

    18.15 Il presidente della Repubblica Napolitano ha consegnato l’onorificenza al merito a Maria Falcone, presidente della Fondazione “Giovanni e Francesca Falcone”. “E’ un piccolo gesto per ricordare che la lotta contro la mafia si fa come faceva Giovanni”, ha detto Napolitano.
    Maria Falcone si è detta felice per il premio, “un premio anche alle idee di Giovanni,il quale diceva che per vincere la mafia bisogna lavorare sui giovani”.

  • diego

    Ottobre 13, 2014

    Leggo sempre con attenzione i commenti del prof. Generali, per l’acutezza delle analisi (mai scontate) e per la nitidezza delle idee espresse (questo al di là del caso che siano da me condivise o meno). Questa frase coglie con esattezza nel segno:

    La questione è però che chi si lascia ingannare vuole usualmente essere ingannato, perché in fondo ritiene che le condizioni di vita che gli sono garantite dalla società in cui vive siano accettabili e preferibili al rischio di cambiamenti.

    Anche un autori vicino alla cultura anarchica, seppur in modo assai originale, come Jacques Ellul, torna ripetutamente su questo concetto. Prendiamo ad esempio le pensioni. Sono un formidabile strumento di controllo politico perchè un uomo anziano, quindi ormai incapace «naturalmente» di procurarsi i mezzi di sussistenza, ovviamente è terrorizzato all’idea di un default dello stato. E questo è una prima catena al suo collo. Ma la catena ancora più subdola consiste nell’aver disabituato le comunità umane alla solidarietà spontanea. Un po’ come l’animale in cattività perde la capacità di nutrirsi da sè e con l’aiuto del branco cui appartiene e diviene pavido, sottomesso. Secondo me è assurdo pretendere dagli umani una così radicale diversità dagli altri animali da esser «fieri» anche quando si è disabituati ad esserlo. È una tematica interessantissima, il vero nodo centrale del potere che tanto più è forte quanto più è esclusivo, è distruttivo di ogni etica alternativa. Un potere «buono» rende dipendenti quanto un potere cattivo.
    Non entro nel merito del dibattito politico «del giorno», ma queste tematiche a ben vedere stanno ben in evidenza sullo sfondo.

  • agbiuso

    Ottobre 12, 2014

    Caro Dario, la tua analisi antropologico-politica è del tutto empirica e insieme profonda. La condivido in pieno. Sì, il nucleo del potere contemporaneo è l’informazione, ancor più della finanza. E il cuore del potere è sempre la debolezza di coloro sui quali si esercita.
    Grazie ancora una volta per i tuoi interventi.

  • Dario Generali

    Ottobre 12, 2014

    Caro Alberto,

    grazie a te, come sempre ti ripeto, per le occasioni di riflessione e di approfondimento che offri. Il tuo sito rappresenta sempre un’ottima occasione per entrare in dibattiti che il tuo costante impegno intellettuale avvia quotidianamente.
    Sulla falsità dell’informazione hai perfettamente ragione. Da sempre il potere la manipola a proprio sostegno in vari modi: dalla censura alla repressione poliziesca nei paesi governati da dittature, alla marginalizzazione degli oppositori nei paesi democratici e liberali, dove ci si limita a non consentire alle voci fuori dal coro governativo di accedere “al microfono”, cioè agli strumenti di informazione di massa.
    Sono anni che scriviamo contro la cialtronaggine e la disonestà dei governi e nessuno si è mai occupato di risponderci, perché le nostre sedi di pubblicazione sono di nicchia. Se scrivessimo le stesse cose, per esempio, sul “Corriere della sera”, saremmo sommersi da querele e si mobiliterebbero i politici più in vista per indurre il direttore del giornale a toglierci la parola. Il problema però non si pone, perché chi gestisce l’informazione di massa opera un’attenta e capillare censura preventiva e mai e poi mai nostri articoli potrebbero passare a quel vaglio. Chi gestisce quei centri nevralgici dell’informazione appartiene a tutti gli effetti a quel gruppo di potere delinquenziale di cui abbiamo detto, anche se nella forma edulcorata dell’intellettuale e del giornalista cooptato da cordate politiche, e chiaramente lo gestisce a vantaggio proprio e del gruppo di potere che gli ha dato quell’incarico.
    Giustamente sottolinei, citando Machiavelli, che “colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare”. La questione è però che chi si lascia ingannare vuole usualmente essere ingannato, perché in fondo ritiene che le condizioni di vita che gli sono garantite dalla società in cui vive siano accettabili e preferibili al rischio di cambiamenti. Tu, io e molti altri non crediamo all’informazione ufficiale da quando siamo adolescenti o, meglio, esercitiamo un continuo vaglio critico per cercare di distinguere ciò che può essere credibile da quanto è invece frutto di deliberata manipolazione. I popoli che si ribellano alle tirannie a un certo punto smettono di credere all’informazione di regime e cercano di modificare le società in cui vivono, a volte anche a costo di mettere a repentaglio la propria vita.
    Se pensiamo, per esempio, alle condizioni ottimali di vita dei lavoratori in Italia tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, con contratti di lavoro indicizzati alla scala mobile e in continuo miglioramento grazie ai contratti collettivi e alle pensioni agli statali dopo vent’anni di servizio e ai dipendenti delle aziende private dopo i 35, è difficile credere che in molti sarebbero stati disposti a mettere in discussione un simile modello di vita solo per esigenze moralizzatrici della vita politica e istituzionale. Oggi, in condizioni di vita assai più precarie da un punto di vista economico, gli scontenti sono molti di più.
    Gli Stati Uniti depotenziarono in modo del tutto indolore, senza la necessità di un colpo di stato – che pur sarebbe stata l’ultima opzione -, la forza e la diffusione in Italia del P.C.I. con il piano Marshall, così come De Gasperi mise a tacere le istanze autonomiste dell’Alto Adige con un fiume di sovvenzioni a quella regione, che, comunque, costò al paese meno di “mantenere un esercito in armi” in quei territori.
    L’informazione è certamente manipolata e ingannatrice, ma, secondo me, ci crede chi vuole, appunto, lasciarsi ingannare.
    Un caro saluto.
    Dario

  • agbiuso

    Ottobre 12, 2014

    Caro Dario,
    sono contento di aver scritto questo testo perché ci ha dato la possibilità di leggere la tua descrizione esatta e chiarissima delle dinamiche che dominano all’interno del potere criminale che controlla l’Italia e che si divide in una componente esplicitamente delinquenziale e in una istituzionale. Davvero “la differenza fra i funzionari istituzionali del sistema feudale – nella fattispecie cronologica mafioso – che regge il nostro paese e quelli che governano i gruppi della malavita organizzata a esso complementari è di carattere sociale”. Non è politica -in quanto gli obiettivi sono comuni- né culturale, in quanto le due componenti condividono la stessa visione del mondo e dei rapporti tra gli esseri umani.
    Se però l’evidenza di tale identità non risulta agli occhi di molti cittadini, io credo che la ragione non sia soltanto il fatto che “la massa degli italiani non è diversa da chi la governa” (una posizione che ha sempre fornito un alibi ai potenti di ogni risma e luogo) ma stia anche nel fatto che lo strumento principe del controllo sulle menti non sono le lupare, le bombe o le leggi ma l’informazione.
    La questione democratica, in Italia e in tutto il mondo, coincide con la questione degli strumenti e delle modalità di informazione, anche perché -come afferma Machiavelli, dal quale sono partito- “colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare”. La stampa mainstream e le reti televisive sono sempre e soltanto il potentissimo strumento di tale inganno.

  • Dario Generali

    Ottobre 11, 2014

    Caro Alberto,

    come sempre la tua è un’analisi lucida e credibile degli avvenimenti, che ne evidenzia gli aspetti noti a molti, ma che vengono sempre dissimulati dall’informazione di massa.
    Il quadro che dai delle istituzioni e della vita amministrativa e civile del nostro paese ne fa emergere la natura non solo antidemocratica, ma di profonda corruzione politica, che rende l’Italia un paese incivile per questi aspetti della sua vita collettiva.
    La differenza fra i funzionari istituzionali del sistema feudale – nella fattispecie cronologica mafioso – che regge il nostro paese e quelli che governano i gruppi della malavita organizzata a esso complementari è di carattere sociale. I primi spesso appartengono alla borghesia e hanno alle spalle una laurea e una carriera politica favorita dagli appoggi delle proprie famiglie, gli altri appartengono di solito ai ceti subalterni e hanno ottenuto potere e ricchezza partendo da forme di criminalità comune. I primi si servono dei secondi per mantenere il potere, ricompensandoli con protezione e denaro, ma evitando nel modo più assoluto di essere ufficialmente associati con quei soggetti, di cui fanno un uso solamente strumentale.
    Ci sono però soggetti intermedi fra i due gruppi, situazioni che sfuggono al controllo del potere politico, incidenti che portano alla condanna e al carcere di alcuni capi mafiosi, che a volte sostengono la parte in cambio dei vantaggi ancora maggiori, determinati dal loro silenzio, per le loro famiglie, altre volte non ci stanno e denunciano i mandanti per ritorsione o, ancora peggio, passano a vie di fatto come capi militari che fanno pesare la forza dei loro eserciti nei momenti di crisi politica. In fondo è come nella malavita. Chi manda deve poi mantenere la famiglia di chi è stato mandato se questi finisce in carcere. Se questo accade chi è stato mandato non dice una parola, diversamente denuncia il mandante. A livello più alto i capi mafiosi mantengono il silenzio se ritengono di continuare a essere protetti in modo soddisfacente dai politici, diversamente reagiscono e compiono ritorsioni.
    Il tutto avviene spesso in modo evidente da sessant’anni a questa parte, senza però che la massa dei cittadini italiani riesca davvero a prenderne coscienza o, forse, senza che, sin tanto che ci sono state risorse più o meno abbondanti per tutti, gli sia mai importato qualcosa. In fondo è la solita questione: i politici sono in buona misura espressione dei valori del popolo che li ha espressi e, purtroppo, la massa degli italiani non è diversa da chi la governa.
    Un caro saluto.
    Dario

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