Ringrazio Pasquale D’Ascola per avermi segnalato un’analisi geostrategica che mi sembra del tutto plausibile. Si intitola Il chiarimento del caos. Perché gli USA usano l’ISIS per conquistare l’Eurasia. È stata pubblicata l’8.9.2014 su Informare per resistere. Lettere dalla Resistenza.
È un testo che sistematizza concetti e ipotesi che formulo anch’io da tempo. Qualche traccia -a proposito di Pasolini, della ‘sinistra’ istituzionale, del dominio statunitense sulla società dello spettacolo- l’avevo elaborata già nel 1998 in Contro il Sessantotto.
L’analisi inizia con un riferimento ai corsari dell’età moderna, incipit tanto esatto quanto illuminante.
Per il resto, basti ricordare -cosa che i media mainstream hanno di botto dimenticato (con qualche interessante eccezione)- che l’ISIS -lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante– cominciò ad apparire ufficialmente in Siria, nella guerra civile contro il regime di Assad organizzata e sostenuta degli USA, dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Queste potenze sono state quindi alleate dei terroristi tagliatori di teste.
A chi è scettico sulla possibilità che «la maggiore democrazia del mondo» si spinga a tanto, l’articolo ricorda che «il regista Oliver Stone e lo storico Peter Kuznick con molto acume hanno fatto notare che con Hiroshima e Nagasaki gli USA non solo volevano dimostrare al mondo di essere superpotenti, ma anche –cosa ancor più preoccupante- che non avrebbero avuto alcuno scrupolo nella difesa dei propri interessi: erano pronti a incenerire in massa uomini, donne e bambini». La totale spregiudicatezza degli Stati Uniti nella creazione e conservazione del loro potere mondiale non è una fantasia degli antiamericanisti ma una realtà storica documentata in molti modi dalla II Guerra mondiale in avanti. L’elenco allungherebbe inutilmente questa nota; per rendersene conto basta conoscere un poco di storia contemporanea.
Ma l’elemento più interessante è il reale obiettivo del terrorismo sostenuto in modo così ambiguo ma anche così convinto dagli Stati Uniti d’America: neutralizzare la Russia (tutta la vicenda Ucraina ha questo pericolosissimo scopo, assolutamente autolesionistico per l’Europa) e minacciare la Cina, il vero nemico futuro -economico e politico- degli States, quello che porterà a un conflitto totale, al compimento di ciò che l’autore chiama giustamente la «Terza Guerra Mondiale a Zone», iniziata l’11 settembre 2001 e da allora sempre più capillare, estesa, violenta, apparentemente oscura nella sue modalità anche finanziarie ma in realtà evidente nei suoi obiettivi. Non aver compreso tale dinamica geopolitica è stata ed è (anche questo viene ben chiarito nell’articolo) una delle principali cause del tramonto politico e culturale di ciò che dal 1848 è stato chiamato «sinistra».
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12 commenti
agbiuso
Due articoli che mostrano la potenza della propaganda mediatica anglosassone contro la Siria di Assad e la Russia di Putin. Davvero “i titoli di testa di Tg e giornali enfatizzano o silenziano «le barbarie» secondo da che parte cadono le bombe”.
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IL DRAMMA DELLA SIRIA: CIFRE, PERSONE, AIUTI
di Giuseppe Rusconi
Il Pontificio Consiglio ‘Cor Unum’ ha illustrato il 29 settembre all’Urbaniana i risultati di un’indagine sugli aiuti delle entità ecclesiali per l’emergenza umanitaria in Medio Oriente (specie in Siria). Il 3 ottobre invece, sempre a Roma ma presso la Stampa estera, l’Associazione Amici dei Bambini (Ai.Bi.) ha presentato dati e iniziative riguardanti sia l’aiuto in Siria che la questione delicata dell’accoglienza in Italia dei minori non accompagnati
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“Non ci resta che pregare. E sperare in un miracolo”. Così ci ha detto mercoledì 29 settembre monsignor Antoine Audo, gesuita e vescovo di Aleppo a margine dell’incontro promosso all’Urbaniana sulla “crisi umanitaria siriana e irachena”. Qualche minuto dopo ecco Staffan De Mistura, inviato speciale del segretario generale dell’Onu per la Siria, che ci ha confessato la sua impotenza (e dunque anche quella delle Nazioni Unite) a risolvere il conflitto in corso: “Sono state dette ormai troppe parole… no, non servono più. Invece bisogna bloccare la vendita e l’invio delle armi, come giustamente dice anche il Papa. Ma fin qui continuo a chiederlo senza successo”.
E’ un conflitto, quello siriano, che è stato alimentato – a sviluppo del fenomeno (fallimentare) delle cosiddette ‘primavere arabe’ – dagli Stati Uniti e satelliti occidentali con il congruo contributo finanziario dell’Arabia Saudita e satelliti arabi. . En passant non si dimenticherà che l’Isis si è irrobustito proprio grazie ad armi, istruttori, denaro occidentali e arabi, oltre che con il sostegno de facto della Turchia. Questa politica americana scellerata, messa in atto per destabilizzare il regime di Assad (sotto il quale comunque la Siria viveva decorosamente il suo pluralismo religioso), prosegue anche oggi e a livello mediatico si caratterizza per il fiume di informazioni faziose diffuse da agenzie pubblicitarie statunitensi miranti a demonizzare i ‘cattivi’ Assad e Putin come veri e propri criminali di guerra e a esaltare i ‘buoni’, sempre i soliti, che al massimo fanno qualche errore di tiro dovuto… sapete com’è… errare humanum est !Non a caso una buona parte delle cosiddette informazioni viene da Coventry, dove ha sede il cosiddetto “Osservatorio siriano dei diritti umani”, gestito da un arabo vicino ai Fratelli Musulmani (nemici di Assad), finanziato da un governo europeo (probabilmente la Gran Bretagna), spesso consultato dagli analisti del Pentagono.
Forse non è inutile riproporre quanto si legge sul sito francese “L’Oeuvre d’Orient” (“Les chrétiens de France au service des chrétiens d’Orient”), a firma Nabil Antaki, un medico laico che fa parte dei ‘maristi blu’ di Aleppo (piccola comunità di fratelli maristi che – nonostante tutte le difficoltà – continua a testimoniare in città educando, curando, pregando). Scrive tra l’altro Antaki il 17 settembre 2016 (traduciamo dal francese): “Aleppo, la nostra città, soffre sempre. I media occidentali ne hanno fatto la vetrina mediatica del conflitto. (…) Gli aleppini soffrono da più di 4 anni e non ne possono più. Si indignano quando i media non parlano che delle sofferenze dei civili in alcuni quartieri est controllati dai ribelli e dai terroristi e che contano 250mila abitanti. Invece le sofferenze di un milione e mezzo di aleppini di Aleppo ovest sono passate sotto silenzio.
Si indignano a causa delle decine di obici di mortaio, di razzi o di bombole di gas liquido che cadono ogni giorno sui quartieri civili di Aleppo senza che nessuno protesti. Si indignano per l’interruzione totale dell’elettricità da tempo, essendo le centrali elettriche nel territorio occupato dai ribelli. Si indignano per l’interruzione della distribuzione dell’acqua nel periodo di canicola estiva (oltre quaranta gradi all’ombra), obbligati così in questi ultimi due anni a utilizzare l’acqua dei trecento pozzi in città. Si indignano per i blocchi ricorrenti e la fame che ne consegue.
Sono indignati di constatare che, ogni volta che l’esercito siriano avanza un po’ o vince una battaglia per spezzare la morsa in cui i terroristi hanno stretto Aleppo, governi e media gridano al crimine contro l’umanità e domandano una tregua per bloccare l’avanzata dell’esercito siriano”.
Questo premesso, occupiamoci di numeri, mai dimenticando che, dietro di essi, ci sono persone con i loro drammi.
http://www.rossoporpora.org – 6 ottobre 2016
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Oxfam, Greenpace, la Bbc e persino le Nazioni Unite finanziano l’agenzia Purpose (pr)
Una campagna per screditare Assad
I media occidentali si alimentano da fonti inquinate
di Patrizio Ricci
Per diffondere un orientamento favorevole, la campagna di Siria è stata appaltata a una società di p.r. internazionale chiamata Purpose. Il suo motto, che è «We build movements», (Costruiamo movimenti) è eloquente. Tutti gli indizi portano a pensare che l’appaltatore sia il governo degli Stati Uniti. La società ha creato diversi «gruppi di pressione» finalizzati a sostenere la necessità di una rivoluzione siriana ed a demonizzare Assad.
La prima di queste creazioni è stata l’organizzazione The Syria campaign. In particolare, se seguite il link di «The Syria campaign» vedrete che il back office è costituito da Oxfam, Greenpeace, le Nazioni Unite e la Bbc. Per quando possa sembrare incredibile, l’Organizzazione delle Nazioni Unite è parte integrante del gruppo di pressione finalizzato a porre fine alla dittatura di Bashar al Assad.
Altra creazione di Purpose è l’organizzazione White Helmets, un gruppo di soccorso sul campo di battaglia al seguito di al Nusra, usato principalmente per giustificare il supporto dell’occidente all’opposizione armata e screditare il governo siriano. Condividono gli stessi obiettivi Avaaz (ha promosso la no fly zone in Libia ed in Siria ed il presidente di Purpose ne è co-fondatore), Amnesty International (Suzanne Nossel, direttore esecutivo di Amnesty International Usa, è stata «prelevata» direttamente dal Dipartimento di Stato americano), Human Rights Watch, Medici Senza Frontiere ed altre organizzazioni (connesse a una miriade di interessi corporativi-finanziari che influiscono sulla loro linea).
La comunità internazionale, autoproclamatasi «amici della Siria», ha subito privato ogni possibilità per lo stato siriano di comunicare con i propri cittadini utilizzando il satellite Arabsat perché le trasmissioni sarebbero stati di parte. Nello stesso tempo, tutti i media occidentali hanno iniziato ad utilizzare come unica fonte di notizie provenienti dalla Siria l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus) con sede a Londra, diretta espressione dei ribelli siriani e finanziato dal ministero degli Esteri britannico (che a sua volta si avvale anche di un’altra società di media marketing, la Innovative Communications & Strategies.
Il resto è cronaca: nelle zone gestite dai terroristi, dove vige la sharia e si usano i bambini soldato, l’occidente ha rimosso l’embargo mentre invece i cittadini siriani soffrono di stenti per le sanzioni inflitte da Europa ed Usa (anche su medicinali e beni di prima necessità). Inoltre, quando il dialogo era più urgente, ogni attività diplomatica è stata vietata. Oggi i media ed i leader politici europei ed americani denunciano le operazioni militari russo-siriane su Aleppo est come una «orrenda barbarie». Ma è il linguaggio dei due pesi e delle due misure: l’assedio dell’esercito siriano è identico a quello che le forze armate irachene e americane hanno fatto per la liberazione della città di Ramadi in Iraq dai terroristi dell’Isis. In quel caso, quando la città è stata liberata, l’80 per cento degli edifici era stato distrutto dai bombardamenti. E le vittime civili a Ramadi come in analoghi assedi sono state molto alte.
Perciò le notizie che fanno appello esclusivamente all’emotività sono palesemente di parte. Per una corretta lettura di quanto sta succedendo ad Aleppo, occorre conoscere un dato fondamentale: le due parti della città si equivalgono come ampiezza, tuttavia la parte ovest è 4/5 volte più popolosa perché è stracolma di fuggiaschi provenienti da Aleppo est (l’articolo «Decine di famiglie in fuga da Aleppo est» di Asia News, riporta le testimonianze dei cittadini).
È la stessa comunità internazionale che ha assistito con assoluta indifferenza all’assedio di Ramadi lasciando che per quattro anni i «ribelli» bombardassero quotidianamente Aleppo ovest. La popolazione protetta dal governo è stata fatta oggetto giornalmente di tiri di ordigni di ogni tipo, è stata colpita con quelle armi che la comunità internazionale ha definito ipocritamente «non letali» ed ha inviato direttamente ai terroristi.
La situazione che qui riporto corrisponde a quella descritta con precisione da Joseph Tobji, arcivescovo di Aleppo dei maroniti (Ora Pro Siria). Mons. Tobji ha denunciato che i civili nella parte detenuta dai guerriglieri islamici vengono trattenuti forzatamente. Quanto riferito dal religioso trova riscontro nelle segnalazioni pubblicate quotidianamente sul sito del «Centro per la riconciliazione delle parti in conflitto in Siria» della Federazione Russa: il 17 settembre nel quartiere Sheikh Khader, i ribelli hanno brutalmente represso la protesta di 300 civili a cui veniva impedito di lasciare la città. Per dissuaderli i miliziani hanno aperto il fuoco sulla folla uccidendo 26 persone, tra i quali 9 adolescenti.
Non si tratta di un episodio isolato. Più della metà delle milizie armate anti-governative compiono attacchi suicidi ed attentati e sono della stessa matrice ideologica di coloro che hanno attaccato Charlie Hebdo ed il Bataclan a Parigi. Gli altri, sono comunque accumunati dal desiderio di realizzare uno stato islamico fondato sulla sharia.
E’ stata totalmente silenziata dai mezzi di comunicazione la sanguinosa aggressione avvenuta sui quartieri residenziali cristiani di Aleppo ovest: i terroristi hanno lanciato granate sui quartieri di Suleiman al-Halabi, di Sulaymaniyah, di Al-Furqan e Midan (armeno). Si tratta di zone che non hanno al loro interno alcun obiettivo militare.
Come molte altre volte è accaduto, sono state colpite selettivamente solo perché zone cristiane e armene. Le fonti di polizia hanno riferito che il bilancio delle vittime è stato di 9 morti e 28 feriti oltre a ingenti danni materiali. L’attacco è stato riferito anche da alcuni religiosi. I media invece hanno riportato esclusivamente il bombardamento avvenuto ad Aleppo est che avrebbe causato 17 morti e colpito due ospedali. Tuttavia questo ultimo attacco, la cui fonte è al Jazeera, è stato smentito addirittura dall’Osservatorio siriano per i diritti umani dei ribelli.
In definitiva, non è possibile cogliere l’insight delle vicende senza tener presente queste dinamiche: perché un giudizio sia vero, occorre che i dati siano veri. Ma se i dati presi in considerazione non sono pertinenti oppure, peggio, falsati, il giudizio sarà erroneo e non conoscerà la realtà bensì una cosa falsa.
Purtroppo, la maggior parte dei media mainstream non sono interessati alla verità, piuttosto cercano di provocare una reazione emotiva nel senso desiderato in modo che il pubblico stesso diventi il mandante delle azioni che i governi vogliono intraprendere.
È per questa ragione che i titoli di testa di Tg e giornali enfatizzano o silenziano «le barbarie» secondo da che parte cadono le bombe.
È per questo che le domande fondamentali per formulare un corretto giudizio, come: «perché e per quale fine combatte l’esercito siriano?», «chi prolunga la guerra?», «chi supporta i terroristi?», «cosa ne pensano i cittadini siriani?», o quella fondamentale «chi è l’aggressore e chi è l’aggredito?», sono completamente eluse
Fonte: Italia oggi – Numero 237 – pag. 13 del 6/10/2016
Essere politeisti - agb
[…] violenza scatenata da alcune sette islamiche che utilizzano anche e soprattutto le armi date loro dagli Stati Uniti d’America in funzione […]
agbiuso
Ampie conferme di come l’ISIS sia una creatura occidentale.
Non europea, occidentale.
“La sventatezza delle due cooperanti italiane Greta e Vanessa è ben poca cosa rispetto a quella delle cancellerie e dell’opinione pubblica occidentali. Come dice Cockburn, «intendendosi di propaganda, hanno ben compreso che conveniva loro presentare le rivolte come sollevazioni innocue, ‘rivoluzioni di velluto’ guidate da un’avanguardia di blogger e utenti di twitter, anglofoni e beneducati, per convincere i cittadini dei paesi occidentali che i rivoluzionari mediorientali fossero persone in tutto e per tutto simili a loro e che quanto stava accadendo nel 2011 fosse un fenomeno simile alle rivolte anticomuniste e filoccidentali esplose nell’Europa orientale a partire dal 1989». Lo stesso si può dire della Libia. Nel 2011 mi è capitato spesso di discutere con colleghi e conoscenti di sinistra che spergiuravano sulla vittoria delle rivoluzionai arabe, senza porsi il problema di chi le finanziava e soprattutto dei rapporti di forza internazionali. Ho ancora in mente reportage di inviati improvvisati inebriati dall’avanzata dei giovani rivoltosi su Tripoli, ma che non si chiedevano chi avesse fornito loro blindati e mitragliatrici pesanti”.
Dall’articolo di Alessandro Dal Lago, L’ordine cupo del Califfato
il manifesto, 21.2.2015
Adriana Bolfo
Mi riservo di leggere tutto quanto e pertanto ciò che dirò potrebbe essere già contenuto in qualche commento.
A proposito dell’Ucraina: non vedrei, come mi pare di aver capito, l’Ue strumento inconsapevole manovrato dagli Usa, ma protagonista attivo, attivissimo. Ricordiamoci che in Ucraina le cose “scoppiarono” dopo che l’allora presidente rifiutò di firmare un trattato commerciale con la Ue e che detto presidente divenne di colpo la preoccupazione democratica ed etica della Ue, che lo raffigurò come corrotto, ladro ecc ecc.
Se era davvero così, come anche gli improvvisati protestari in loco dicevano, non lo sarà diventato da un giorno all’altro, suppongo, e neppure soltanto da alcuni anni, dall’arresto della Timoschenko (come si scrive?)…O no?
Certo che l’Ucranina è il campo conteso tra Usa e Russia, ma la Ue ci ha messo la sua, volutamente. Per dire: le sanzioni alla Russia hanno avuto come effetto immediato il calo economico della Finlandia – già in peggioramento economico i licenziamenti della Nokia – che con la Russia commerciava parecchio.
Ma si capisce che se qualche iniziativa ha come esito l’aumentato disagio sociale, e per qualcuno la rovina, di un bel numero di persone, che cosa importa alla Ue di quelli che considera suoi cittadini? Eh, già.
Più gente mal ridotta, più gente disposta a lavorare per pochissimo, più gente spaventabile e asservibile.
E se non era proprio questa l’intenzione – cosa irrilevante – conta il risultato.
Questo.
agbiuso
Hagel «dimissionato», l’impossibile sicurezza Usa
di Tommaso Di Francesco, il manifesto, 26.11.2014
Tutti se lo chiedono, ma le risposte che danno appaiono perlomeno parziali. Perché insomma e alla fine si è dimesso — o è stato dimissionato — Chuck Hagel, il ministro della difesa degli Stati uniti?
Vederci dentro, come fanno in tanti, la sola questione dell’Isis ancora all’offensiva in Iraq e Siria, è a dir poco un giudizio parziale se non sbagliato. Hagel sarebbe stato sotto tiro per la sottovalutazione dello Stato islamico e per gli scarsi risultati.
Probabilmente è vero esattamente il contrario.
Hagel infatti per primo, e inascoltato da Obama che definiva l’Isis una «squadra di basket» denunciò subito il pericolo del nuovo movimento jihadista. Hagel si è dimesso, o è stato dimissionato, perché su tutti gli scacchieri internazionali non esiste più corrispondenza concreta della politica estera della presidenza Obama. Arrivato a ricoprire l’incarico di capo del Pentagono dopo l’uscita di scena, prima del repubblicano Robert Gates, scelto in continuità con l’ultimo Bush, e poi di Leon Panetta, già capo della Cia, Hagel, repubblicano ma contrario alla guerra all’Iraq di George W. Bush, è entrato in carica nell’epoca dell’annunciato disimpegno statunitense dalla guerra. Per ritrovarsi dentro il rilancio dell’iniziativa armata Usa in molte aree del mondo.
L’elenco è presto detto: in Afghanistan le truppe Usa resteranno almeno fino al 2016; la guerra in Libia, dove Obama è stato tirato per la giacchetta, ma che poi lo ha visto protagonista con l’offensiva dei raid aerei Usa e Nato, ha lasciato la scia di sangue di un nuovo jihadismo armato. Che prima si è rivolto contro la stessa amica intelligence Usa (assolta pochi giorni fa da ogni colpa e invece gravemente responsabile del disastro), con l’assalto al consolato libico di Bengasi e l’uccisione dell’ambasciatore americano Chris Stevens.
Nuovo jihadismo che, grazie ai santuari libici, è dilagato rafforzando il conflitto dell’integralismo di Al Qaeda in Siria contro Assad; dove intanto la coalizione tra occidentali e petromonarchie degli Amici della Siria gestiva una guerra cooperta fatta di addestramenti e forniture di armi a tutti gli insorti anti-Damasco.
L’uccisione di Osama bin Laden, vantata come «la fine di Al Qaeda», è diventata l’inizio di un nuovo proselitismo jihadista con una sua trasformazione in movimento, inverato da una nuova generazione di combattenti, in gran parte occidentali; e così
L’Isis è dilagato conquistando quasi un terzo dell’Iraq, dove Washington ha deciso di far tornare almeno 4mila marine e in forze l’aviazione nei cieli siriano-iracheni.
In Ucraina la copertura di un movimento di protesta pro-europeo perché antirusso, gestito sostanzialmente dall’estrema destra e con una Ue distratta dalla sua crisi, ha visto su piazza Majdan attiva la Cia inviata dalla Casa bianca, e poi la deriva in guerra civile con più di quattromila morti, con l’esercito di Kiev che, appoggiato da ingenti forze Nato dal Baltico alla Polonia, assedia il sudest del Donbass, russo, filorusso e separatista. Pericolosamente ai confini della Russia che, sotto pressione militare dell’occidente, ha risposto riannettendosi la già russa Crimea. Risultato: è riapparsa la Guerra fredda nel cuore d’Europa a 25 anni dall’89.
Fuori elenco, perché è la questione delle questioni, la Palestina. Il cui Stato — promesso da Obama — è cancellato ogni giorno dalle colonie rilanciate dal governo israeliano di Netanyahu che ha da poco concluso l’ennesima guerra di raid aerei su Gaza. Nel tragico silenzio occidentale.
Nonostante le trattative del segretario di Stato, l’inviato del nulla che nulla ottiene. Né lì, né altrove.
Allora perché Obama ha «accettato» la fuoruscita di Hagel?
Non solo perché pensa ad capo del Pentagono più malleabile. Ma soprattutto perché prepara la strada alla successione della candidata democratica Hillary Clinton, cioè ad attivare e legittimare ancora una volta la strategia del militarismo «umanitario» in risposta alla destra repubblicana in vista delle elezioni presidenziali tra due anni.
È l’alternanza strabica che fa forte gli Stati uniti d’America: presidenze democratiche guerrafondaie per la primazia strategica nel mondo, che rincorrono le guerre «tradizionali» della destra Usa. Poi arriva la «saggezza» dei Repubblicani a fronte del peso insopportabile delle lobby delle armi che contano più di ogni Casa bianca. Come denunciò il «soldato pacifista» Eisenhower nel suo discorso di addio alla presidenza nel 1961. Il tutto rincorrendo il miraggio della sicurezza per gli Stati uniti dopo il fantasma concreto dell’11 Settembre.
Ma dopo il dramma di Ferguson, e la litania di «stragi civili» dell’America profonda, di quale sicurezza stiamo parlando? E quali dimissioni bisogna attendere?
agbiuso
Caro Biagio, la ringrazio per questa sua analisi che aggiunge elementi specifici -come l’accenno alla “farsa dell’11 settembre” e il triste ma emblematico caso francese- e con la quale concordo.
“Non si tratta di incomprensione della contemporaneità ma semplicemente resa incondizionata”. Io forse ero stato ancora clemente con le mie parole ma le sue sono senz’altro più rispondenti ai fatti: “resa incondizionata”, di questo si tratta sì.
biagio guastella
Concordo e, anch’io, da tempo, sostengo che gli Usa non solo sono i padroni del pianeta ma tutta la geopolitica mondiale è mossa dalle loro strategie e dai loro interessi. Non mi dilungo per non annoiare interlucotori molto più informati di me, che sanno della farsa dell’11 Settembre ecc… Faccio solo una riflessione sul presunto fallimento della sinistra e sulla sua presunta incomprensione delle dinamiche geopolitiche contemporanee. Presunta sinistra: di cosa stiamo parlando? Da un lato la sinistra democratica e riformista, erede della socialdemocrazia: “si arriverà a cambiare il sistema dall’interno, confidiamo nella democrazia e nella maggioranza”. Dall’altra parte la sinistra comunista che attraversa due fasi e aspettiamo con trepidazione entri in una terza: 1) rivolte urbane XIX secolo; [Lenin] -> 2) Partiti “militari” (Urss e Cina); [caduta del muro di Berlino] -> 3) “que faire?” Probabilmente la Rivoluzione che archivi questo patetico sistema democratico.
Ma torniamo alla sinistra mansueta, quella moderata e riformista che credo sia l’oggetto della critica del prof. Biuso. Non si tratta di incomprensione della contemporaneità ma semplicemente resa incondizionata. Si è ubriacata dell’inevitabilità del sistema, della globalizzazione così come la stiamo vedendo realizzarsi. Connivente nello smantellamento dello stato sociale messo in piedi all’indamani della seconda Guerra Mondiale. La forza manipolatrice e persuasiva dell’impero americano da un lato e la stolta affezione nazionalistica europea, dall’altro, hanno completato il quadro. Quello che è accaduto in Francia è emblematico della resa della socialdemocrazia e della stoltezza dei suoi dirigenti. Hollande vince le elezioni dichiarando la finanza “il nemico numero uno dei francesi” e poi scambia, in sede UE, questo obbiettivo accodandosi alle politiche economiche della troika (FMI, BCE e UE) e ottenendo in cambio mano libera per l’esercito francese nell’invasione dell’Africa. Con la scusa del terrorismo, da oltre un anno, la Francia è militarmente in Mali e nell’Africa centrale a fare incetta di uranio e materie prime, nel silenzio più assoluto. Questa sinistra ha rinunciato al proprio ruolo, s’è formata e plasmata sull’ideologia dominante diventando parte del sistema. Io confido nella terza fase della sinistra alternativa.
Biuso
Il Senato della Repubblica approva in via definitiva la partecipazione dell’Italia alle guerre in corso, con i relativi -enormi- costi: 190 i voti favorevoli, 42 i contrari, 17 gli astenuti.
Partito Democratico e Forza Italia votano ancora -e sempre- insieme.
Sinistra Ecologia Libertà e Movimento 5 Stelle hanno votato contro il provvedimento. La Lega Nord si è astenuta.
Il provvedimento era già stato approvato dalla Camera.
agbiuso
Grazie ancora a Pasquale che mi ha segnalato questo ulteriore approfondimento.
La forza visionaria e politica di George Orwell è stata davvero grande, così come la capacità di Jean Baudrillard di condensare nel concetto di simulacro le dinamiche della società post-industriale:
Davvero, “con i titoli di testa dei notiziari riempiti a turno dall’ISIS e dalle idiotiche pop star, siamo già sommersi nella iper-realtà descritta da Baudrillard”.
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WASHINGTON E LA TRUFFA DELL’ISIS
– di Daniel Spaulding –
Nel suo classico romanzo “1984”, lo scrittore britannico del 20° secolo George Orwell dipingeva uno stato repressivo governato da un partito unico, che cercava di giustificare ed estendere il suo dominio totale attraverso la guerra perpetua contro nemici lontani, usando la tattica di riunire le masse “intorno alla bandiera”. Non era mai del tutto chiaro quali fossero i motivi delle guerre, e le identità di alleati e nemici venivano scambiate avanti e indietro secondo le necessità contingenti del partito. Inoltre non era affatto chiaro quanto la guerra fosse reale, aldilà della propaganda di stato.
Mentre in teoria la distopia di Orwell era fantastica, in pratica egli stava documentando le pratiche essenziali delle elite dominanti degli stati moderni. E, sebbene il libro non voglia essere un manuale, si potrebbe a ragione sospettare che le elite americane della politica estera usino 1984 come tale, soprattutto riguardo al Medio Oriente.
La settimana scorsa il presidente Obama ha annunciato una “strategia” per contrastare l’istituzione e l’espansione dell’auto-proclamato Stato Islamico di Iraq e Siria (ISIS). Questa notizia era stata preceduta da diverse settimane di insistente isterismo mediatico, secondo cui i militanti islamici dell’ISIS avevano intenzione di far scoppiare bombe nelle maggiori città americane. A quel punto l’ISIS aveva già conquistato la notorietà per i massacri di cristiani, yazidi e poliziotti iracheni. La comparsa di video dalla veridicità dubbia che mostravano la presunta decapitazione di due giornalisti americani, era stata la ciliegina sulla torta che doveva servire a suscitare abbastanza indignazione popolare per sollecitare Obama ad “agire” contro l’ISIS.
Ogni discussione seria sull’origine del gruppo terroristico si è persa, forse deliberatamente, in mezzo alla propaganda bellica. Piuttosto ci hanno lasciato credere che l’ISIS sia emerso spontaneamente dai deserti polverosi della Mesopotamia, un po’ come Atena balzata fuori dalla testa di Zeus. Nella realtà dei fatti, l’ultimo spauracchio dell’America è stato armato, addestrato e finanziato dallo sforzo combinato degli stati arabi del Golfo e della CIA, proprio come Al-Qaeda è il frutto di un programma pluridecennale segreto statunitense per controllare l’Eurasia e i suoi oleodotti.
Il fatto che l’ISIS sia il prodotto diretto dei continui sforzi americani per destabilizzare e cacciare il presidente siriano Bashar al-Assad, armando varie fazioni mussulmane militanti (Vedi: Standing with Syria ), non viene riconosciuto dal partito della guerra americano.
Di fatto, stranamente, la strategia di Obama mira a continuare questa politica di armamento e rafforzamento dei ribelli in Siria, purché si dichiarino “moderati”.
Ovviamente l’intera strategia della Casa Bianca ci induce a chiederci se ci sarà in effetti alcun conflitto reale. I nobili ribelli amanti della libertà (in realtà mangiatori di organi umani (vedi: Independent.co.uk/news/world/ ), quelli che Obama vuole armare ulteriormente, hanno dichiarato una tregua con l’ISIS e insistito che non combatteranno la loro controparte più famigerata. Vedi: ISIS and moderate Syrian rebelds strike truce…..
L’altro maggiore alleato mussulmano dell’America, la Turchia, rifiuta di concedere l’uso del suo territorio per supportare una campagna aerea contro l’ISIS. Di fatto, la risposta di Obama consiste in poco più di qualche attacco aereo frammentario fatto per i notiziari TV, e in un po’ di vacua retorica. L’elemento guida di questa finta crociata è il tentativo continuo di rovesciare Assad e prendere Damasco.
Si potrebbe pensare che, se gli USA volessero seriamente porre fine alla “minaccia” dell’ISIS, scenderebbero a patti con Assad, ma Obama insiste che non collaborerà con il leader siriano. Altri si spingono perfino oltre, come i senatori repubblicani John McCain e Lindsey Graham, appoggiati dai sionisti, che vedono nell’ISIS l’opportunità di colpire l’obiettivo che desiderano, ovvero lo stesso Assad, facilitando così l’ascesa al potere in Siria dei jihadisti “moderati” e il massacro certo di sempre più cristiani, alawiti e altre minoranze.
La “guerra” di Obama contro l’ISIS è l’ennesimo caso di ciò che il filosofo francese Jean Baudrillard identificava come un simulacro, una copia senza originale come nella tradizione di Disneyland. Allo stesso modo, Orwell osservava che non importa se la guerra sia vera o no. La guerra in sè potrebbe oggettivamente non esistere nemmeno; ciò che importa è solo che le masse la credano vera e ricavino da tale percezione qualche conforto emotivo e qualche distrazione. Con i titoli di testa dei notiziari riempiti a turno dall’ISIS e dalle idiotiche pop star, siamo già sommersi nella iper-realtà descritta da Baudrillard.
Altri senza dubbio moriranno nella nuova guerra, soprattutto se (o meglio quando) Obama e i neocon lanceranno una campagna aerea contro la Siria. Ma perfino questo è solo uno spettacolo di secondo piano.
Bashar al-Assad ora riveste un ruolo assegnato e prima ricoperto da altri luminari internazionali, da Saddam Hussein a Slobodan Milosevic, da Osama bin Laden a Mohamar Gheddafi. Cambia la musica, ma la canzone rimane la stessa, e così un altro ignobile dittatore/terrorista neo-hitleriano deve essere fermato per salvare la nostra civiltà di McDonald’s.
Anche se non necessariamente vittime fisiche di questo simulacro di guerra, le principali vittime spirituali della “realtà” fabbricata dalle elite sono gli stessi americani, somme cavie di un oscuro esperimento sulla psiche collettiva. La loro esistenza e il loro “stile di vita” hanno perennemente bisogno di conflitti e di nemici che giustifichino il consumo come identità e il conseguente impoverimento spirituale.
Il grande testamento di Aleksandr Solzhenitsyn all’Occidente, “Non vivete di menzogne” viene ignorato a grande rischio e pericolo. Un popolo decadente e soddisfatto di se stesso si farà portare con le menzogne in una guerra d’aggressione, piuttosto che fronteggiare l’amara realtà: ovvero che sta ostinatamente rinunciando alla sua libertà e accettando passivamente di diventare schiavo.
Fonte: Soul of the east
Traduzione: Anacronista
agbiuso
Dario Sammartino mi ha segnalato un testo che in maniera molto divertita ci fa comprendere come l’informazione dominante ci convinca con facilità del verificarsi di eventi che in realtà non potrebbero fisicamente accadere, proprio fisicamente.
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L’equivoco equinodotto dell’ISIS
Cisterne invisibili, migliaia di muli, zero oleodotti. Com’è che l’ISIS smercia ogni giorno un mare di petrolio e l’Occidente non lo vede? Quando le news sono equine
di Matzu Yagi e Gengis Kant.
Gli esperti dicono che l’Emirato Islamico dell’Isis è finanziariamente autonomo anche perché guadagna circa 2 milioni di dollari al giorno dalla vendita del petrolio estratto nei territori che occupa, in luoghi dove fino a poco tempo fa prosperavano colossi come la francese Total e l’anglo-olandese Shell. Ma due milioni di dollari corrispondono a più di 20.000 barili al giorno e il barile contiene circa 160 litri. Cioè l’Isis consegna a qualcuno 2800 tonnellate di petrolio, tutti i giorni.
E come fa?
Non lo vedono dai satelliti chi si viene a prendere 2800 tonnellate di roba, quotidianamente? E da dove viene questo qualcuno? Anche questo non si nota, visto che ad occhio dovrebbero essere circa 130 camion cisterna?
Cioè i satelliti non vedono colonne di 130 autocisterne che tutti i giorni fanno avanti ed indietro dai territori dell’Isis? Era dai tempi del film Duel di Steven Spielberg che non si vedeva un’autocisterna così demoniaca, e ora ce ne sono addirittura centotrenta e nessuno le nota, nessuno le bombarda?
Siete già sbalorditi? La raccontano ancora più grossa. Molto di più. Queste cifre potreste moltiplicarle addirittura per tre, perché il prezzo del petrolio di contrabbando sarebbe addirittura meno di un terzo rispetto alle quotazioni ufficiali: per fare 2 milioni al giorno dovete moltiplicare i barili, che potrebbero arrivare addirittura a 100mila al giorno, superando le 10mila tonnellate, cioè quanto la produzione giornaliera di un paese esportatore come il Sudan.
E gli onniscienti satelliti non vedono neanche in quale porto attracchino le navi che vanno a contrabbandare tutta quella roba? Chi è il direttore della logistica, il mago Silvan? Sim sala bin… (alias Bandar bin Sultan bin Abdulaziz Al Saud).
Certo, il Wall Street Journal dice che il traffico avviene su zattere che seguono la corrente del fiume Oronte, nonché su contenitori caricati sul dorso di muli e asini furbissimi che evitano i doganieri turchi perché percorrono mulattiere poco battute. Uno sconfinato formicaio equino capace di coprire lunghe distanze. Quanti muli ci vogliono per trasportare migliaia di tonnellate? La Saipem e tutti i costruttori di oleodotti hanno dunque sbagliato tutto. Perché sprecare tanta siderurgia per costruire complicate pipelines su tragitti di migliaia di chilometri? Bastava avere fieno sufficiente, equini pazienti (anche nelle redazioni), e avremmo distribuito tutti gli idrocarburi del mondo.
Ecco, è davvero il caso di metter su una coalizione di 40 paesi per andare a scoprire questo fitto e irrisolvibile mistero che sfida ogni legge dell’ottica e della fisica.
agbiuso
Certo che mobilitano. Perché è la guerra che vogliono. La guerra auspicata dagli USA e dalla NATO.
Il grottesco, il tragicamente grottesco, è che in nome della democrazia e dei diritti umani (espressioni per me ormai quasi insostenibili) la sedicente sinistra europea sta appoggiando un regime -quello ucraino- composto da affaristi corrottissimi e da neonazisti.
Davvero gli dèi accecano coloro che vogliono perdere.
O forse qui gli dèi hanno la sembianza assai meno sacra delle tangenti sulle forniture militari e della “generosità” dell’amministrazione statunitense. I cui doni vanno naturalmente ai ceti dirigenti dei partiti al governo (come il PD) e non ai loro militanti.
Non provo più compassione ma soltanto disprezzo per costoro, per come credono a qualunque cosa.
Pasquale
Ottimo Alberto, aggiungo solo che so da notizia diretta che in Ucraina continuano a mobilitare; per ora localmente; non è ancora la generale. Over and out.