Lo scorso 10 agosto ho scritto che «l’Iraq era una società laica e multietnica. La stolta guerra degli USA e dei loro servi lo ha consegnato agli islamisti più fanatici».
Ieri mi sono trovato a leggere, tra le molte altre, queste parole:
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1) Innanzitutto occorre mettere in discussione, una volta per tutte, la leadership nordamericana. Gli USA non ne hanno azzeccata una in Medio Oriente. Hanno portato morte, instabilità e povertà.
Hanno dichiarato guerra al terrorismo e il risultato che hanno ottenuto è stato il moltiplicarsi del fenomeno stesso. A Roma, nel 2003, manifestammo contro l’intervento militare italiano in Iraq. Uno degli slogan era “se uccidi un terrorista ne nascono altri 100”. Siamo stati profeti anche se non ci voleva un genio per capirlo. Pensare di fermare la guerra in atto in Iraq armando i curdi è una follia che non credo che una persona intelligente come il Ministro Mogherini possa davvero pensare. Evidentemente le pressioni che ha subito in queste settimane e il desiderio che ha di occupare la poltrona di Ministro degli esteri della Commissione europea, l’hanno spinta ad avallare le posizioni di Obama e degli USA ormai autoproclamatisi, in barba al diritto internazionale, poliziotti del mondo.Loro, proprio loro, che hanno sostenuto colpi di stato in tutto il pianeta, venduto armi a dozzine di dittatori, loro che hanno impoverito mezzo mondo, loro che, da soli, utilizzano oltre il 50% delle risorse mondiali.
Loro che hanno invaso Iraq e Afghanistan con il pretesto di distruggere le “cellule del terrore” ma che hanno soltanto progettato oleodotti, costruito a Baghdad la più grande ambasciata USA del mondo ed esportato, oltre alla loro democrazia, 25.000 contractors in Iraq, uomini e donne armati di 24ore che lavorano in tutti i campi, dalle armi al petrolio passando per la vendita di ambulanze. La guerra è davvero una meraviglia per le tasche di qualcuno.
2) L’Italia, ora che ne ha le possibilità, dovrebbe spingere affinché la UE promuova una conferenza di pace mondiale sul Medio Oriente alla quale partecipino i paesi dell’ALBA, della Lega araba, l’Iran, inserito stupidamente da Bush nell’asse del male e soprattutto la Russia un attore fondamentale che l’UE intende delegittimare andando contro i propri interessi per obbedire a Washington e sottoscrivere il TTIP il prima possibile. Essere alleati degli USA non significa essere sudditi, prima di applicare sanzioni economiche a Mosca, sanzioni che colpiscono più le imprese italiane che quelle russe, si dovrebbero pretendere le prove del coinvolgimento di Putin nell’abbattimento dell’aereo malese. Non dovrebbe bastare la parola di Washington, soprattuto alla luce delle menzogne dette sull’Iraq.
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È soltanto un brano dell’ampia analisi che Alessandro di Battista dedica alla situazione geopolitica contemporanea. Analisi che chiede ciò che ormai è improrogabile: uscire dal Novecento e dalle sue guerre, a partire da quella del 1914-1918.
Ho fatto proprio bene a votare, alle ultime elezioni politiche italiane, per queste persone.
[p.s. Ancora una volta il sistema implacabile dei media -della «Società dello spettacolo»- ha ridotto alla misura della propria inevitabile superficialità un intervento storico-politico lungo, articolato e complesso. Abbandonate le varie Pravde, cari amici, e cercate, là dove è possibile, di andare alle fonti dei fatti e delle parole].
[Photo by Chandler Cruttenden on Unsplash]
18 commenti
agbiuso
Il governo Usa ha mentito sulla guerra in Afghanistan per anni
Secondo un lungo dossier ottenuto dal Washington Post, la Casa Bianca e l’esercito hanno manipolato le informazioni sullo stato del conflitto. I testimoni: «Non sapevamo cosa stavamo facendo».
Lettera 43 – 10 Dicembre 2019
I vertici dell’amministrazione Usa, da George W. Bush in poi, hanno più volte ingannato nel corso degli anni l’opinione pubblica americana sulla situazione in Afghanistan, per nascondere i fallimenti di una guerra che oramai dura da 20 anni e a cui il presidente Donald Trump sta tentando di porre fine con un accordo con i talebani.
DA DOVE PARTE IL RAPPORTO
La notizia esplosiva è uscita sulle pagine del Washington Post che ha condotto un’inchiesta sulla base di oltre duemila pagine di documenti ottenuti grazie al Freedom Of Information Act. In realtà il quotidiano aveva raccolto le informazioni già negli anni precedenti ma solo con l’intervento di un tribunale è stato in grado di pubblicare. Le carte che fanno parte di un rapporto del 2014 intitolato Lessons Learned e in cui si esaminano le origini degli insuccessi del coinvolgimento Usa nel Paese, iniziato all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001. Uno studio, costato 11 milioni di dollari, condotto attraverso oltre 600 interviste, comprese quelle a diversi responsabili ed ex responsabili della Nato e del governo afghano che «aveva l’obiettivo di individuare le fallimentari misure applicate in Afghanistan affinché gli Stati Uniti non commettessero gli stessi errori la prossima volta che avrebbero invaso un paese o cercato di ricostruirne uno».
TESTIMONIANZE MANIPOLATE PER MOSTRARE CHE SI STAVA VICENDO LA GUERRA
«Dalle testimonianze», ha scritto il Wp, «emerge come era comune nei quartier generali militari a Kabul, ma anche alla Casa Bianca, alterare e manipolare le statistiche per far apparire che gli Usa stavano vincendo la guerra, mentre non era così». «Queste carte», ha messo in luce l’inchiesta, «assomigliano molto ai famosi Pentagon Papers sulla storia segreta della guerra del Vietnam». Bob Crowley, colonnello del colonnello dell’esercito in pensione che lavorò come consulente nel Paese tra il 2013 e 2014 ha raccontato che si trovavano modi migliori per presentare il miglior quadro possibile.
LA MANCATA CONOSCENZA DELL’AFGHANISTAN
Tra i documenti esaminati anche alcuni memo inediti che risalgono al periodo tra il 2001 e 2006 dell’ex segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. Il generale Douglas Lute, che sotto le amministrazioni Bush e Obama servì come war czar dell’Afghanistan alla Casa Bianca, è arrivato a dichiarare «non sapevamo quello che stavamo facendo». «Cosa stiamo cercando di fare qui? Non avevamo la più pallida idea di ciò che stavamo intraprendendo», aveva detto in un colloquio del 20 febbraio 2015. Un altro funzionato ha messo in luce come Washington fosse convinta di poter instaurare un forte governo centrale a Kabul, ma che la pretesa non teneva conto del fatto che il Paese, in tutta la sua storia, non aveva mai auto una forte autorità centrale: «La cornice per creare un simile governo è di almeno 100 anni, ed è un tempo che noi non abbiamo».
I NUOVI COLLOQUI COI TALEBANI
Ufficialmente la guerra è iniziata nell’ottobre del 2001, poco più di un mese dopo gli attacchi contro il Word Trade Center organizzati da al Qaeda, l’organizzazione creata e diretta all’ora da Osama Bin Laden e che aveva trovato riparto presso i talebani. Da allora il conflitto si è protratto a fasi alterne entrando quest’anno nel 18esimo anno di vita. Da allora i costi umani sono stati altissimi, così come quelli economici stimati intorno a 930 miliardi di dollari. Intanto il 4 dicembre il dipartimento di Stato Usa ha fatto sapere che l’inviato Usa per l’Afghanistan Zalmay Khalilzad, attualmente a Kabul, tornerà in Qatar per «riprendere i colloqui con i talebani per discutere le tappe che possono portare a negoziati interafghani e ad una soluzione pacifica della guerra, in particolare ad una riduzione della violenza che porti ad un cessate il fuoco».
agbiuso
La Turchia e Erdogan accusano di terrorismo (e nazismo) Merkel e la Germania, altri Paesi europei e gli Stati Uniti d’America. Chi di slogan ferisce, di slogan perisce.
TELEVIDEO
Erdogan: Merkel usa metodi nazisti
19/03/2017 17:17
17.17 Nuova tensione tra Ankara e Berlino. Il presidente Erdogan ha accusato la cancelliera Merkel di ricorrere a “metodi nazisti” riguardo al divieto di tenere comizi in Germania a favore del sì al prossimo referendum costituzionale turco.”Stai usando metodi nazisti contro i miei concittadini turchi in Germania e contro i miei ministri”, ha detto. Poi l’ha accusata di sostenere i terroristi, riferendosi al caso del giornalista turco-tedesco, Deniz Yucel:”Grazie a Dio è stato arrestato e tu stai chiedendo indietro un agente terrorista”.
agbiuso
E i marines americani girano la testa da un’altra parte…
“Siamo in Afghanistan per portare democrazia e libertà.” Questa è la litania di tutti gli armati – italiani compresi – che sono in quel Paese.
Gli ufficiali afgani – ma non solo – abusano di minori, attorno ai dieci anni, come pratica usuale. Ed i marines americani “che li sentivano urlare di notte” vicino alle loro postazioni, non potevano fare nulla. Non era nel loro contratto di intervento. “La pratica si chiama Bazi Bacha” che significa prendere piacere dai ragazzini. (dal sito de La Repubblica).
Una forma di democrazia afgana, una pratica comune che i Talebani avevano abolito. Chi arriva primo alla gara democratica nello schifo totale? Afgani violentatori, ma nella cultura del Paese, i marines americani che girano la testa da un’altra apre, i Talebani?
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Tiziano Tussi su Gramsci oggi, ottobre 2015, p. 2
agbiuso
Ancora una volta la Costituzione -che proibisce all’Italia di entrare in guerra se non viene attaccata- viene calpestata. Invece di sostenere la spesa sociale, si distrugge denaro pubblico nella guerre volute dagli Stati Uniti d’America.
Concordo con questo intervento in aula di Di Battista ma non con il suo conclusivo riferimento alla situazione dei due fucilieri italiani in India. i quali sono soltanto degli assassini che l’India ha ragione a voler processare.
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Oggi in aula la proroga del Decreto Missioni. Il M5S interviene in Aula con Alessandro Di Battista. Il suo intervento:
“Vi e’ mai capitato di domandarvi: “come ho fatto a spendere 50 euro che non ho comprato nulla?”. Ce li avevo in tasca stamattina e sono spariti. Capita a tutti noi e tutti noi sappiamo darci una sola risposta: “li ho buttati”. Bene, questo fa il governo Renzi. Butta i nostri soldi.
Il ministro Madia sostiene che non ci sono soldi per sbloccare gli stipendi degli insegnanti? Le scuole crollano? I genitori ai loro figli un tempo davano la merenda, oggi sono costretti a dare loro anche la carta igienica? I posti letto negli ospedali sono inesistenti anche se hai un parente malato di cancro che ha bisogno immediatamente di una terapia? Cosa interessa al governo?
Meglio spendere 400 milioni di euro per la proroga delle missioni internazionali grazie a questo decreto che voterete oggi, 400 milioni di euro.
Andiamo per gradi. Cos’e’ il decreto missioni? Il decreto missioni e’ un decreto che serve a destinare altri soldi alle missioni internazionali che vedono coinvolta l’Italia, missioni giuste e utili come quella in Libano, missioni di guerra come quella in Afghanistan. La guerra in Afghanistan è la guerra piu’ lunga dalla II guerra mondiale in poi, e’ costata all’Italia 53 morti tra i nostri soldati e oltre 5 miliardi di euro. Sapete quanti sono 5 miliardi di euro? Per farvi un’idea, considerate che qualche mese fa il governo Renzi non e’ riuscito a trovare 48 milioni di euro, milioni non miliardi, per sostenere gli alluvionati della Sardegna. Pero’ la casta ha speso 5 miliardi di euro in Afghanistan per una guerra in cui non siamo mai stati coinvolti direttamente: ci hanno mai attaccato gli Afghani? Sapete come prima Berlusconi, poi Prodi, poi di nuovo Berlusconi, poi Monti, Letta e poi il governo attuale ci costringono a restare in guerra in Afghanistan? Semplice.
Con gli inganni delle parole, con le truffe semantiche…. cambiano il nome alle cose per farcele digerire. Perché se le chiamassero con il loro nome, non le accetteremmo mai. E cosi’, magicamente, la guerra in afghanistan diventa “missione di pace”, i bombardieri F35 sistemi di difesa, l’IMU diventa TASI, gli inceneritori termovalorizzatori, le mazzette si trasformano in regalie da parte degli imprenditori. E Berlusconi diventa Renzi…. cambiano il nome ma sono la stessa identica cosa. Questo decreto costa al contribuente italiano oltre 400 milioni di euro.
Il governo Renzi spende 400 milioni di euro per rifinanziare missioni internazionali da oggi al 31 dicembre 2014.
Ma come per aumentare di pochi euro gli stipendi delle forze dell’ordine i soldi non ci sono ma per le guerre sì? Pensate che 400 milioni di euro sono la somma che il governo sta cercando per finanziare, nel 2015, una prima fase di sblocco dei salari delle forze di sicurezza e dei militari. Secondo voi oggi dove andrebbero investiti i nostri soldi? In Afghanistan o qui in Italia per far sì che le forze di sicurezza e soccorso possano lavorare in condizioni dignitose? C’e’ sicurezza in Italia? Voi cittadini vi sentite tutelati?
Il debito pubblico ha raggiunto una cifra mostruosa, oltre 2000 miliardi di euro. Il dramma e’ che questo debito che ci inchioderà fino a che non torneremo un Paese sovrano dal punto di vista monetario, non e’ cresciuto a causa di un grande investimento sulla scuola pubblica, sul lavoro o sulla sanita’. NO!!!!
Il debito è cresciuto a causa della corruzione e di piccole “piccole per noi comuni mortali” spese folli come questi 333.000€ che questo decreto autorizza per tradurre un manuale di utilizzo di alcuni veicoli che abbiamo regalato alla Repubblica di Gibuti. 333.000 per tradurre un manuale? A parte il fatto che se proprio dovevate regalare dei mezzi a Gibuti meglio regalare 3 ambulanze, ma vi sembra accettabile questa cifra? Ma a chi l’avete fatto tradurre? A Molière? A Proust? Avete riportato in vita Victor Hugo per fargli tradurre i manuali per Gibuti? “Si tratta di manuali tecnici” ci ha risposto il governo in commissione. A quel punto il mio collega Bernini ha scoperto che a Gibuti quei mezzi li avevano già utilizzati senza i manuali tecnici che gli dobbiamo ancora mandare dopo averli fatti tradurre. La risposta del sottosegretario alla difesa Rossi e’ stata straordinaria: “e’ vero, li hanno già utilizzati, ma i manuali che gli stiamo mandando servono per la manutenzione, non per il funzionamento dei mezzi”. Ci verrebbe da ridere, ma poi pensiamo che questi soldi potrebbero essere investiti per riparare una scuola che cade a pezzi. L’Italia potrebbe essere il Paese più bello del mondo e invece e’ stato violentato e continua ad essere violentato da corrotti, corruttori, traditori di ideali, amici dei lobbisti, mediatori stato-mafia, diversamente berlusconiani o semplici inetti. L’indignazione è forte se pensiamo a due soldati italiani, due fucilieri che hanno comunque obbedito agli ordini ricevuti, trattenuti da due anni in India. Questo e’ uno dei tanti esempi dell’incapacità del governo Renzi di gestire crisi internazionali. Eppure i mezzi diplomatici per riaverli a casa ce il avremmo. Siamo nella NATO, bene perche’ non avete detto ai nostri alleati O CI AIUTATE A RIPORTARE A CASA I MARO’ O CE NE ANDIAMO DOMANI MATTINA DALL’AFGHANISTAN?
Gli aut-aut li sapete fare solo ai lavoratori dell’ILVA vero? Al personale di Alitalia, agli studenti costretti a pagare tasse universitarie esorbitanti altrimenti non li fate laureare? Mesi fa il presidente Renzi disse: “Fuori da questo palazzo c’e’ una disperazione”. Bene, la disperazione è reale e i suoi slogan tweet gelati e selfie la sviliscono quotidianamente. Tutto questo dimostra la vostra assoluta lontananza dall’unica missione che un parlamento serio dovrebbe finanziare, quella per salvare un Paese che avete distrutto e continuate a distruggere.”
Alessandro Di Battista, portavoce M5S alla Camera
agbiuso
Condivido per intero questa lucida e preoccupata analisi di Tommaso Di Francesco sul manifesto di oggi
O l’Europa o la Nato
«La maggioranza dei membri della Commissione Ue non capisce nulla di questioni mondiali. Vedi il tentativo di far entrare nella Ue l’Ucraina. È megalomania… hanno posto a Kiev la scelta o Ue o Est…ci vuole una rivolta del Parlamento europeo contro gli eurocrati di Bruxelles, così si rischia la terza guerra mondiale»: (prima di quelle di Bergoglio) sono le parole allarmate dell’ex cancelliere tedesco Schmidt in un’intervista alla Bild di tre mesi fa che non parla ancora di ingresso esplosivo di Kiev. Pericolo sul quale, con tentativo non riuscito di influenzare le scelte di Obama che invece rilancia il riarmo atlantico sulla base del presunto sconfinamento-invasione russa dell’Ucraina, si sono pronunciati gli ex segretari di Stato Usa Kissinger e Brzezinski e perfino l’ex capo del Pentagono dell’amministrazione Obama, Robert Gates che nel suo libro di memorie ha scritto: «L’allargamento così rapido della Nato a est è un errore e serve solo ad umiliare la Russia, fino a provocare una guerra». Non è servito a nulla a quanto pare.
Lamentano i governi europei che è in gioco l’unità territoriale dell’Ucraina e Federica Mogherini, Mrs Pesc in pectore davanti al Parlamento europeo, per farsi perdonare di essere considerata filorussa dati gli interessi dell’Eni, ha la faccia tosta di accusare: «È colpa di Putin». Se gli stava veramente a cuore l’unità territoriale dell’Ucraina, perché i governi europei insieme alla Nato e agli Usa con tanto di capo della Cia John Brennan, senatori repubblicani guidati da McCain e segretario di stato Kerry tutti su quella piazza, hanno alimentato e sostenuto dalla fine del 2013 fino al maggio 2014 la rivolta, spesso violenta e di estrema destra, di Piazza Majdan che ha rimesso di fatto in discussione l’unità territoriale del Paese. Mentre l’ambasciatrice Usa mandava affan… l’Europa. Era colpa di Putin anche la rivolta di piazza Majdan? Magari perché aveva soccorso, pronta cassa, le richieste di Kiev quando l’Ue se ne lavava le mani in preda alla sua crisi?
E come dimenticare che quella rivolta è stata nazionalista ucraina e antirussa, non solo anti-Putin, ma contraria ai diritti delle popolazioni dell’est che avevano sostenuto ed eletto Yanukovitch — certo corrotto, ma non meno dell’attuale Poroshenko e del premier dimissionario Yatsenyuk. La rivolta di Majdan è stata nazionalista antirussa, contro gli interessi politici e sociali delle popolazioni dell’est, di lingua russa all’80%, quando non proprio russe e comunque filorusse, legate alla Russia per appartenenze storiche, religiose e culturali e per legame economico imprescindibile e complementare alla propria sopravvivenza, tutt’altro che garantita dall’associazione delle regioni dell’ovest all’Ue.
È lì, in quel sostegno strumentale e ideologico, come se fosse un nuovo ’89, dato dall’Occidente europeo ed americano che si è consumata l’unità dell’Ucraina che a quel punto si è associata all’Ue solo a metà.
Ora accade che il governo di Kiev dimissionato pochi giorni fa dal presidente Poroshenko annunci, di fronte alla presunta invasione — è il quarto allarme in due mesi — la richiesta di adesione all’Alleanza atlantica. «Il governo ha sottoposto al parlamento un progetto di legge per annullare lo status fuori dei blocchi dell’Ucraina e tornare sulla via dell’adesione alla Nato» ha dichiarato quasi in fuga il premier uscente, già leader di Majdan, Yatseniuk. E subito il segretario della Nato Ander Fogh Rasmussen, ha ammiccato: «Ogni paese ha diritto di scegliere da sé le proprie alleanze». Tanto più che la decisione sembra andare incontro alle ultime parole di Obama che, ormai incapace di uscire dal «militarismo umanitario» degli Stati uniti, sciorina per fermare l’orso russo (quel Putin che gli ha impedito di impelagarsi ancora di più nella guerra in Siria) la «nuova» agenda del riarmo americano e Nato nell’Europa dell’est, dalla Polonia, ai Paesi baltici — andrà in Estonia per questo domani — e alle finora neutrali Finlandia e Svezia.
Altro che nuova agenda: è la scellerata strategia della Nato in atto da più di venti anni a partire dalle guerre nei Balcani, con relativa redistribuzione di costi per la difesa sullo scacchiere europeo, tra gli stessi paesi ora alle prese con la lacerante crisi economica. Una strategia che in questi venti anni ha visto l’ingresso di tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia nella Nato, con missioni in guerre alleate, a partire dall’ex Jugoslavia (dove, a specchio capovolto della storia, i raid Nato hanno aiutato i ribelli dell’Uck — criminali, dice ora l’indagine della stessa commissione Ue Eulex — ad ottenere l’indipendenza) e ancora tante basi, strutture d’intelligence, siti missilistici, ogive nucleari, scudi spaziali tutti quanti ai confini russi.
Senza l’allargamento a est della Nato non ci troveremmo sull’orlo di un conflitto spaventoso in Ucraina, né ci sarebbe stata la sceneggiata arrogante di una leadership di oligarchi voltagabbana che ha destabilizzato l’Ucraina con la violenza della piazza «buona» perché sedicente filoeuropea, e che ora cavalca la repressione sanguinosa della piazza «cattiva» perché filorussa. Senza la Nato esisterebbero una politica estera e di difesa dell’Ue. Intanto in queste ore nell’est ucraino si combatte, Kiev è all’offensiva. Secondo l’Onu i morti, tanti i civili, in quattro mesi sono più di 2.600.
Se dal vertice Nato che si apre domani a Cardiff, in Galles, arrivasse un sì alla richiesta incendiaria di Kiev e se si avvia, come accade, lo schieramento di forze militari Nato in dichiarate esercitazioni anti-Russia o ai confini russi, come ha chiesto l’irresponsabile Cameron, è l’inizio della fine. Cioè la separazione delle regioni dell’est con l’intervento, stavolta vero, della Russia nella guerra, a quel punto motivata a difendere dalle truppe occidentali le popolazioni russo-ucraine, lo status proclamato dagli insorti filo-russi ma anche lo stesso territorio russo. Quando invece è chiaro che l’Ucraina resterà unita finché non apparterrà ad alcun blocco militare e se ci sarà un tavolo negoziale per una federalizzazione del paese capace di garantire l’autonomia sostanziale dell’est. È quello che chiede anche Putin quando dichiara: «Devono essere immediatamente avviati negoziati sostanziali non su questioni tecniche, ma sull’organizzazione politica della società e sul sistema statale nel sud-est dell’Ucraina allo scopo di garantire incondizionatamente gli interessi delle persone che vivono lì», ma le sue parole sono tradotte in modo propagandistico dai media velinari: «Voglio uno Stato nell’est».
È la stessa richiesta che formula, inascoltato, sul Corriere della Sera, Sergio Romano, tra i pochi ad intendersi di Russia. Federale e neutrale sono le due parole chiave garanzia di pace anche per l’Ue, e certo non aiuta l’elezione a presidente dell’Unione del polacco Tusk, leader della Polonia che vanta un contenzioso storico su una parte della terra ucraina considerata ancora «polacca».
Altrimenti sarà, e non a pezzetti, la terza guerra mondiale in piena Europa. E siamo a cento anni fa. È il nuovo che avanza, la «nuova generazione» alla guida europea tanto cara a Renzi. Ora la Mrs Pesc Mogherini, anche se è stata commissariata da un vice-Pesc tedesco, ha l’occasione di dimostrarsi per una volta europea e non schiacciata sull’Alleanza atlantica e sugli Stati uniti. Qualcosa ci dice che non saremo ascoltati.
agbiuso
Segnalo un articolo di Fabio Mini su Limes a proposito di Russia, Cina, USA. Ne riporto un brano:
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Quanto alla politica americana, non solo non è flessibile, ma gli Stati Uniti non avendo mai dovuto confrontarsi con una vera invasione sul proprio territorio, si sono specializzati nella guerra oltremare e non si sono mai curati di sviluppare una capacità di risoluzione delle crisi senza interventi militari. Pur rendendosi conto che tali interventi non sono affatto risolutivi e anzi aggravano i problemi esistenti e ne aggiungono altri, ogni presidente americano non ha mai visto altre vie per mantenere la dignità nazionale se non quella di assecondare la voglia di tutti gli americani di mostrare i muscoli e venire alle mani.
Ogni presidente americano si è dovuto misurare con la guerra non tanto e non solo da combattere quanto da coltivare come ideologia nazionale. La guerra e le invasioni all’estero sono la «costante geopolitica degli Stati Uniti», come disse Dean Rusk, segretario di Stato sotto Kennedy. Ormai gli americani ci hanno abituato a verificare che ogni balzana idea di guerra viene puntualmente messa in pratica. Ciò che appariva rispetto per l’Ucraina prima dell’accordo Russia-Cina era la volontà degli Stati Uniti di mettere in crisi l’Europa nei suoi rapporti con Mosca, far fallire Gazprom e quindi tutta la Russia, rifornire a caro prezzo il minimo di risorse per non far tracollare l’Europa, assimilare il capitale russo di riserve e di strutture estrattive e di trasporto a prezzo stracciato.
La crisi ucraina non é stata affatto un movimento spontaneo di piazza e una lotta per la libertà, e nemmeno un colpo di Stato nazifascista, ma una ben organizzata serie di destabilizzazioni alla ricerca di un assetto favorevole agli interessi statunitensi piuttosto che a quelli ucraini.
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Fonte: La strana coppia Mosca-Pechino unita dall’America
agbiuso
Da questa intervista di Gino Strada emerge in tutta la sua ampiezza il fallimento assoluto della sinistra in Italia -vale a dire il Partito Democratico ma non solo- e in Europa.
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Isis, Strada: “Nel 2003 sinistra contro la guerra. Ora al governo ha cambiato idea”
Il Fatto Quotidiano, 27.8.2014
Una volta che ho deciso di andare ad ammazzare qualcuno, la modalità è secondaria perché sto facendo la più grande cazzata che un essere umano possa fare”. Gino Strada vive e lavora in Sudan, ma è in contatto quotidiano con i medici della sua Emergency che gestiscono ospedali e campi profughi ad Arbat e Choman (nel Kurdistan iracheno), dove sono confluiti migliaia di sfollati in fuga dalle regioni sotto attacco dell’Isis e dalla guerra civile in Siria.
Che cosa sta succedendo in Medio Oriente?
Ho vissuto tre anni e mezzo nel kurdistan iracheno. Era il 1996 ed era in corso una guerra civile tra le due fazioni curde: il Pdk di Masoud Barzani (l’attuale presidente del Kurdistan iracheno, ndr) e l’Upk di Jalal Talabani. Quando il Pdk stava per essere sconfitto, chiamò in aiuto i carri armati di Saddam Hussein. E quella era una guerra tra curdi. Quello che intendo è che in quello spicchio di mondo lì chi oggi è un nemico forse tra quattro mesi diventerà un alleato . Guardi quello che sta accadendo con al-Assad in Siria.
Noi cerchiamo sempre di dividere il mondo in buoni e cattivi.
Non è semplice. Faccio un altro esempio: nel 2003, prima dell’invasione Usa, andai a parlare con il ministro della Sanità iracheno e con Tareq Aziz (vice primo ministro sotto Saddam, ndr). L’incidenza di tumori e leucemie infantili era aumentata di dieci volte a causa delle armi chimiche e radioattive della guerra con l’Iran e del Golfo del ‘91, ma i medicinali non erano disponibili a causa dell’embargo. Proposi di fare arrivare un aereo 747 carico di anti-tumorali, ma mi disse di no.
Preferiva usare l’embargo come tema politico contro gli Usa?
Non ho più voglia di occuparmi delle ragioni degli uni e degli altri. Ciò che conta è che sono morti mezzo milione di bimbi.
E quindi cosa dovrebbe fare, oggi, l’Occidente?
Tenere a mente che ogni volta che si decide di combattere una guerra – che significa andare ad ammazzare qualcuno – si peggiorano situazioni spesso già disastrate. Non è bastata l’esperienza delle primavere arabe? Tre anni dopo, cos’è rimasto? In Egitto si condannano a morte i civili a cinquecento alla volta. In Libia c’è una guerra civile di cui non frega più niente a nessuno.
Ma le immagini che arrivano da Iraq e Siria sono raccapriccianti. Tagliano le gole, e non solo al giornalista americano.
Non mi illudo che l’Isis sia democratico e liberale, figurati! Ma in questo disastro c’è tutto il Medio Oriente, un’area completamente esplosa. Il punto è che quando uno decide di ammazzare qualcun altro, la modalità è secondaria. C’è chi taglia la gola, chi usa armi chimiche, chi bombarda coi droni: ognuno con le sue armi cerca di fare la pelle a qualcun altro.
L’Italia cosa dovrebbe fare?
Se io ragionevolmente credo che tu sia un pazzo scatenato, dal punto di vista della sicurezza del mio Paese sono più sicuro se metto in mano le armi al tuo nemico o se non gliele do? Se vogliamo che tra due anni qualcuno ci faccia un attentato, siamo sulla strada giusta. Il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, usa argomenti assurdi per giustificare la decisione di dare quella ferraglia ai curdi.
L’arsenale della Maddalena?
È folle! Come cavolo è possibile che la Marina militare abbia disobbedito alle decisioni della magistratura, che ordinò la distruzione di quelle armi di contrabbando? Oggi quella roba lì, che non dovrebbe nemmeno esistere, è il regalo per gli amici del momento. Non rispettano la Costituzione, le convenzioni internazionali né la buona pratica di non vendere armi ai Paesi in guerra.
Il pacifismo che fine ha fatto?
Quando, nel 2001, il governo Berlusconi decise di invadere l’Afghanistan erano quasi tutti d’accordo. Solo Emergency e pochi altri parlavano ad alta voce contro quella guerra. Due anni dopo, c’è stata Piazza del Popolo, la più grande manifestazione pacifista di sempre in Italia. Tanti politici di centrosinistra si erano ravveduti: quelli che avevano votato per la guerra in Afghanistan, avevano scelto di dire “no” a quella in Iraq. Me li ricordo mentre sfilavano con le sciarpe arcobaleno addosso.
E poi cos’è successo?
Poi sono tornati al governo e hanno cambiato di nuovo idea. Ma io i politici li capisco: non sanno nemmeno dove sia l’Afghanistan, anche se siamo lì dal 2001. Invece non capisco la stampa: perché nessuno fa un’analisi e si chiede quante vite abbiamo perso in questi tredici anni, quante persone abbiamo ucciso, se abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati? La verità è che sulla guerra esiste ormai il pensiero unico.
Forse perché le guerre oggi sono più difficili da raccontare: si usano tanti droni e meno soldati.
No, viene da più lontano. Tutto comincia con i giornalisti embedded. Nella più grande operazione militare della storia della Nato, ad Helmand, in Afghanistan, non c’era nemmeno un giornalista che non fosse embedded. Quando la gente vede certe immagini medievali, come Abu Ghraib, prende coscienza, perché capisce quanto la guerra faccia schifo.
Ci sono tanti giovani occidentali che ne rimangono affascinati: partono e diventano jihadisti.
È lo stesso meccanismo. Quando si accetta la possibilità di ammazzare, si diventa gli esseri umani peggiori. L’unico approccio umano alla guerra è l’abolizione, com’è successo con la schiavitù.
agbiuso
Gli inseparabili Partito Democratico e Forza Italia continuano nei loro loschi reciproci favori.
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Quelle armi all’Iraq sotto sequestro
di Sergio Finardi, il manifesto, 24.8.2014
La scelta del governo italiano di inviare armi all’Iraq prendendole dall’arsenale sequestrato sulla motonave Jadran Express nel 1994 e conservato dal 1999 nei depositi dell’isola Santo Stefano nell’arcipelago della Maddalena, desta preoccupazione. L’arsenale era ed è di diritto sotto sequestro giudiziario e la magistratura ne aveva ordinato la distruzione a conclusione di un processo (2005) che vedeva imputati tra altri i proprietari di quel carico illegale destinato alla guerra in Bosnia.
Non vogliamo qui discutere della scelta di inviare armi all’Iraq, ma della scelta di inviare “quelle” armi. Abbiamo il fondato sospetto che nel periodo febbraio-maggio 2011 il governo italiano guidato da Silvio Berlusconi abbia usato parte dell’arsenale della Jadran per invii di armi alle varie fazioni anti-Gheddafi, in flagrante violazione dell’embargo stabilito dalle Nazioni Unite (26 febbraio 2011). Rivelazioni e denunce sull’accaduto, tra cui le nostre, vennero pubblicate all’epoca e ad esse si aggiunse un’indagine della magistratura di Tempio Pausania, inopinatamente fermata con l’apposizione del segreto di Stato sulla destinazione dei container di armi prelevati a Santo Stefano. Tali container venero avviati con scorta di mezzi militari sui traghetti passeggeri Sharden e Nuraghes verso Civitavecchia con documenti di accompagnamento che falsamente descrivevano la “merce” come “motori” e “parti di ricambio”.
Siamo informati che colleghi delle Nazioni Unite facenti parte del gruppo di esperti che indaga sulle violazioni dell’embargo sulla Libia stanno indagando sull’uso delle armi della Jadran nel conflitto libico e sulle denunce fatte nel 2011. È chiaro che se “quelle” armi (o ciò che resta dell’arsenale) verranno inviate in Iraq e il carico della Jadran — che il governo italiano ha rifiutato illegalmente di distruggere come ordinato dalla magistratura — scomparirà, nessuno avrà più modo di verificare se, come, e in quale quantità quell’arsenale sia servito agli invii alle fazioni anti-Gheddafi.
Far sparire in Iraq l’arsenale della Jadran equivale a cancellare ogni possibilità di accertare se Berlusconi abbia violato l’embargo delle Nazioni Unite, cosa che se accertata sarebbe ovviamente gravissima. Un’altra impunità si aggiungerebbe di fatto alle molte già godute dall’ex-premier. Oltre all’embargo del’Onu, esiste infatti anche una Posizione comune europea che vieta ai membri della UE di procedere a simili invii.
agbiuso
L’editoriale del numero più recente della rivista di Emergency (71, giugno 2014) conferma la giustezza e giustizia della posizione del Movimento 5 Stelle contro la partecipazione alle guerre imperialiste degli Stati Uniti d’America, poiché -davvero- «la guerra non risolve i problemi, ne genera di nuovi. Non c’è pace senza giustizia. La guerra significa grandi affari per pochi e miseria infinita per tutti gli altri»
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Niente di nuovo, di Cecilia Strada
Nel 2001, alla vigilia dell’invasione dell’Afghanistan, l’avevamo detto: la guerra non porta la pace. I diritti non si costruiscono con le bombe. La “guerra al terrorismo” aumenterà il terrorismo, perché è questo che fa la violenza: alimenta altra violenza. Oggi siamo alla vigilia del ritiro delle truppe e, in Afghanistan, i nostri Centri chirurgici per vittime di guerra sono sempre pieni. Ogni anno aumentano i feriti. Un terzo sono sempre bambini. Non sappiamo cosa succederà quando i soldati stranieri si saranno ritirati. Dov’è tutta quella pace, dove sono tutti quei diritti in nome dei quali si sono giustificati tredici anni di guerra?. Nel Pronto soccorso dei nostri ospedali, nei registri delle ammissioni, nelle sale operatorie sempre piene non vediamo pace. Non vediamo diritti. Nel 2003, alla vigilia dell’invasione dell’Iraq, lo avevamo detto: la guerra non porta la pace. I diritti non si costruiscono con le bombe. La violenza alimenterà altra violenza: funziona così.
Oggi, undici anni dopo l’invasione, che cosa vediamo in Iraq? Ancora morti, feriti. Ancora attentati, sparatorie. Ancora sfollati, a centinaia di migliaia. Dov’è tutta quella pace, tutta quella democrazia che l’invasione e la guerra dovevano portare? Sulle facce dei profughi non vediamo democrazia, non vediamo pace. Solo dolore e paura. Non sappiamo cosa succederà in Iraq nelle prossime settimane. Ma sappiamo che, purtroppo, avevamo ragione anche su questo. Non è una grande consolazione aver avuto ragione. Non c’è consolazione possibile davanti a tutto questo.
È molto triste doversi trovare a ripetere, da anni e anni, le stesse cose. Cose semplici, cose che risultano ovvie a chiunque abbia il coraggio di guardare in faccia la guerra. Banalità: come il fatto che la guerra non risolve i problemi, ne genera di nuovi. Che non c’è pace senza giustizia. Che la guerra significa grandi affari per pochi e miseria infinita per tutti gli altri. Che tra i vincitori e tra i vinti è sempre la povera gente a fare la fame. Guardiamoci attorno: dall’Afghanistan alla Libia, dall’Iraq alla Somalia, esiste una guerra che abbia prodotto pace e giustizia? Eppure, c’è ancora chi lo sostiene. A chi toccherà la prossima volta? Qual è il nome del prossimo Paese in cui, qualcuno ci dirà, dobbiamo andare a portare pace e democrazia a colpi di fucile? Non lo sappiamo. Sappiamo che succederà. Per questo non possiamo, non ancora, smettere di ripetere le nostre ovvietà. Le nostre banalità.
Fonte: http://www.emergency.it/archivio/ml/rivista/EMERGENCY-71.pdf
agbiuso
Il Partito Democratico è una formazione politica irresponsabile e guerrafondaia, come si comprende bene anche da questo articolo del manifesto.
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Governo con l’elmetto
di Norma Rangeri, il manifesto 21.8.2014
Tra gli annunci di una prossima stangata, confusi nei dettagli ma chiarissimi nell’obiettivo di rastrellare miliardi dalle tasche di un ceto medio impoverito e rabbioso, decidiamo di entrare nella guerra irachena con un rapido voto delle commissioni esteri e difesa convocate per tre ore nella pausa estiva del parlamento.
Si respira un’aria strana, come di un paese sospeso che mentre sta per affrontare un difficile autunno sociale, rimanda nelle case degli italiani le immagini di un presidente del consiglio che, nel suo stile di politico giovane e ottimista, dall’Iraq annuncia la prossima vittoria ai politici di Baghdad («batteremo i terroristi»), senza slide ma con la stessa sicurezza con cui annunciava la ripresa economica grazie agli 80 euro nelle buste paga di dieci milioni di elettori.
È successo spesso nella storia europea del secolo scorso e in quella nazionale che le avventure coloniali (crispine, giolittiane fino al baratro fascista) servissero a mettere l’elmetto alla bancarotta economica. Oggi, mentre l’Italia vive la sua più grave crisi dal dopoguerra, quando molti governi, e facilmente anche quello in carica, non sapendo come uscirne si risolvono a colpire pensioni, dipendenti pubblici e servizi sociali, il presidente vola in Iraq a prenotare un posto in prima fila nello schieramento sul fronte iracheno e, più in generale, su quello del Medio oriente che lo comprende.
Il sottile paravento dell’intervento umanitario non impedisce di vedere come, seppure per interposti militari kurdi, l’Italia entri con le armi in quel teatro di guerra. Su cosa significhi armare i militari kurdi abbiamo già scritto sottolineandone la spinta a una ulteriore divisione della tripartizione delle forze in campo (con sunniti e sciiti) in quel paese. Non andiamo in Iraq per «fermare» i terroristi come ha auspicato il papa richiamando l’unico intervento legittimo, quello dell’Onu, e come sarebbe giusto. Porteremo armi e ne trasporteremo sui nostri arerei e navi anche di provenienti da altri paesi. Lo ha spiegato la ministro della difesa, Pinotti, con il suo alleato di governo, Cicchitto, che già spinge per «bombardare il nemico».
Come si svilupperà questa strana terza guerra mondiale «a capitoli» non lo sappiamo. Sappiamo che ora ci siamo dentro anche noi. Quali reazioni si innescheranno quando si giustificheranno i finanziamenti per portare la pace con le armi mentre si chiederanno sacrifici a chi già ne sopporta il carico gravoso, è l’altra domanda. I gufi, animali preveggenti, risponderebbero annunciando al bosco la tempesta perfetta.
agbiuso
Condivido, condivido tutto.
In particolare la richiesta del fante di Niente di nuovo sul fronte occidentale, libro terribile che descrive la guerra -in particolare quelle ideologiche contemporanee, in stile guerra umanitaria– per ciò che è: un macello.
Il libro di Remarque è letto in questi giorni su Radio Tre, nel programma Ad alta voce.
L’altro documento che bisognerebbe far vedere ogni giorno a “caporali e boy scout, napolitaner, obbabàma, re, regine, paggetti e, mi si passi il vernacolo, sucaminchia” è Orizzonti di gloria, ennesimo capolavoro di Kubrick.
Gli anarchici chiamarono -e chiamano- la I guerra mondiale non “grande” bensì “maledetta”. E come nel 1914 l’Internazionale Socialista crollò miseramente davanti ai fanatismi nazionalisti, così Massimo D’Alema si mise a disposizione per bombardare la Serbia in conto USA e ora il partito cattolico-democratico-di-sinistra continua la tradizione.
Benito Mussolini, non dimentichiamolo, era uno di loro, un dirigente del Partito Socialista Italiano.
Pasquale D'Ascola
Confermiamo invece, almeno stavolta, l’articolo 11 della nostra Costituzione che dichiara di “ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle crisi internazionali”
Basterebbe questo a dire tutto, ma, in questi stessi giorni in cui cento anni fa cominciavano a cadere le prime centinaia, o migliaia non so immaginare, dei 17 milioni che creparono nella prima grande guerra (25 milioni di infettati a parte), mi scusino se cito sempre Kraus e sempre o stesso testo.
Gli ultimi giorni dell’aumanitào dovremmo dire meglio gironi. Invito a dargli una nuova occhiata. Allora come adesso si guerreggiò per rifare gli arsenali e dar fiato all’industria bombardiera. Allora come adesso si giustificò tutto, si insultava questo a favore di quello, allora come oggi il nemico era cencioso, una banda serba, le aveva tutte sto nemico, mica si faceva lo sciampo (dizione nazionalista) con fructis di garnier; allora come oggi qualche obama annunciava che bisognava fare diga (leggasi NYT di oggi). Argine o blocco sono sinonimi prediletti della cultura della carta straccia, cioè di giornale, ovvero dei più che cumannano e futtono la terra. Allora i detentori della comunella con il Gott der Eisen wachsen läßt erano i visi pallidi. Adesso sono così tanti che verrebbe da dire che la somma di tante verità di segno opposto è quella che è, zero. Guai a dirlo però al cardinale bagnascout o alla multinazionale rabbini & affini.
A latere, parlando giorni fa con 25enni dabbene e non impegnati in altro che tirare la paga per il lessomi è stato detto che oggi tanto si sente puzza di guerra; sicché l’uno va in palestra il poverino, così da difendersi e scappare nel caso, l’altro, più articolato, vede in chiaro che quando la Russia si stancherà darà una lezione apocalittica all’occidente. Forte di un esercito e di abitudine al combattimento con cui i visi pallidi possono competere ma non vincere, di risorse, e di intelligenza, quella che per ora dimostrano strangolandoci economicamente, ma solo un pochino, appena un po’ di water boarding, giusto per farci capire la lezione.
Ovvio che si dice lezione e che le lezioni, quelle di scuola in primissi, non si ascoltano e poi si scordano.
In fondo in fondo la lezione migliore sarebbe quella suggerita dal fante in trincea di All’ovest niente di nuovo: metterli tutti in un gran recinto i capoccia, i capi bastone, caporali e boy scout, napolitaner, obbabàma, re, regine, paggetti e, mi si passi il vernacolo, sucaminchia, tutti tutti i malavistosi; un randello in mano e alè..faites vos jeux.
Uffa.
Biuso
Molto attenta e del tutto condivisibile anche l’analisi di Tommaso Di Francesco, che ben illustra le ragioni per le quali non bisogna inviare (altre) armi in quella regione, come appunto sostenuto dal Movimento 5 Stelle.
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Perché no
di Tommaso Di Francesco, il manifesto 19.8.2014
Armi ai kurdi? Preferiremmo di no. Non solo e non tanto perché il fulgido soldato Casini, che non ricordiamo più a quale settore di destra appartenga, è diventato il sostenitore di questa proposta scellerata che in piena estate arriva ad una commissione esteri del parlamento convocata d’urgenza dal governo a pronunciarsi in fretta sull’argomento, anche se l’esito dell’invio di armi appare scontato. Del resto, così fan tutti nell’Europa del baratro della crisi economica, che non vede come il Medio Oriente sia così strapieno di armi, arrivate spesso a scopo “umanitario”, che la guerra ne è orma il portato quotidiano e sanguinoso. Ma diciamo no in primo luogo perché l’Italia, nella “coalizione dei volenterosi”, ha partecipato nel 2004 alla guerra all’Iraq inventata dagli Stati uniti di Gorge W. Bush che ha prodotto la tragica devastazione che è sotto i nostri occhi.
E’ da lì infatti che ha avuto origine la rottura dell’equilibrio iracheno preesistente tra sunniti e sciiti e la scomparsa di fatto dell’Iraq come Stato, frammentato nelle sue fazioni e con un esercito diviso per appartenenza religiosa incapace di fronteggiare la nuova insidia militare e politica rappresentata dallo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), nato in Siria come effetto collaterale del sostegno “umanitario” in armi e consiglieri militari, come già precedentemente in Libia, della coalizione degli “Amici della Siria”, una accolita di partner che vanno dagli Usa all’Arabia saudita, dalla Gran Bretagna alla Turchia, dall’Italia al Qatar.
Anziché le armi bisogna inviare soccorsi davvero umanitari pensando ai civili, ai feriti, ai profughi, ai bambini: cibo, sanitari, ospedali da campo, tendopoli. Senza dimenticare che sostenere militarmente la leadership del Kurdistan del leader Barzani invece dell’esercito di Baghdad rappresenta un sostegno alla spartizione dell’Iraq e all’obiettivo dell’indipendenza di uno stato etnico kurdo. Con l’apertura così del vaso di Pandora della questione kurda nella regione che metterebbe in discussione l’esistenza di Stati unitari come la Turchia, l’Iran e la Siria già ampiamente distrutta. Ma anche perché (resoconti alla mano dei pochi reportage arrivati da quelle zone a metà-fine luglio), quando l’Isil dilagava dalla Siria a sud verso il cuore dell’Iraq, la leadership del Kurdistan iracheno ha semplicemente scelto di farsi da parte e lasciare passare i jihadisti, di stare a guardare l’ulteriore colpo inferto alla flebile unità irachena, quando non è arrivata addirittura ad accordarsi con l’Isil che in quel momento non metteva in discussione il territorio kurdo con i suoi preziosi giacimenti di petrolio. C’erano stragi anche allora ma tutti tacevano, compresi i kurdi. Combattevano lo Stato islamico le poche e male armate milizie del Pkk perché in prima fila e in fuga da troppi nemici, spesso anche dagli stessi peshmerga di Barzani. Qualcuno adesso ci spieghi per favore il sottile paradosso dell’invio di armi dell’Italia ai kurdi iracheni che, come scambio di potere e concessioni di spazio, faranno combattere al loro posto in prima fila le milizie del Pkk, quando proprio l’Italia ha consegnato nelle mani dell’intelligence americana e alle galere turche il “terrorista” Abdullah Ocalan, leader tutt’ora indiscusso del Pkk. Ecco che torniamo al “terrorismo” a geometria variabile, a seconda degli interessi strategici globali dei potenti della terra.
Si dirà subito che chi dice no all’invio di armi ai peshmerga kurdi chiude gli occhi sulle stragi di cristiani e jihazidi. L’impressione è che ancora una volta la disperazione delle minoranze venga utilizzata a scopi tutt’altro che umanitari. Il papa stesso alza la voce sulla persecuzione dei cristiani – certo più di quanto abbia denunciato lo scempio delle decine di moschee distrutte dai raid israeliani nella Striscia -, ma dice “basta guerra” e ricorda che non si fa “in nome di dio”. Intanto sono in troppi a piangere per le vittime jihazide tutte le lacrime che non hanno versato per le stragi di Gaza. Per la quale nessuno, immaginiamo, sentirebbe l’obbligo morale di chiedere l’invio di armi ai palestinesi chiusi nelle prigioni a cielo aperto di Gaza e Cisgiordania. I massacri di cristiani — in corso in Iraq da due anni nel silenzio americano della Casa bianca che enfatizzava il suo “miglior ritiro” da una guerra — come quelle della minoranza jihazida sono vere e feroci, ma non vanno enfatizzate e moltiplicate nel resoconto giornalistico, tanto più che nella stampa estera già qualche accorto reporter, a corto di verifiche, comincia a dire “presunte”. A Gaza, a proposito di stragi, per certo hanno celebrato in queste ore più di duemila funerali, per l’80% di bambini, donne e vecchi inermi.
Non è inviando armi, aggiungendo guerra su guerra, che il Medio Oriente sarà pacificato e verrà fermata la mano degli assassini e delle stragi. Se Obama vuole fermare davvero lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante — non è più solo Al Qaeda, questo è un esercito — rompa i rapporti economici che legano gli Stati uniti alle petromonarchie arabe, le stesse che sostengono l’Isil con finanziamenti e armi sofisticate. Sarebbe un momento di verità sulle crisi internazionali capace di cambiare la faccia del mondo e dare l’alt all’avanzata del radicalismo jihadista. Diventato inarrestabile, non lo dimentichiamo, anche grazie alle troppe guerre “umanitarie” occidentali che hanno utilizzato in chiave destabilizzante il terrorista di turno promosso per l’occasione a utile “liberatore”. Confermiamo invece, almeno stavolta, l’articolo 11 della nostra Costituzione che dichiara di “ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle crisi internazionali”
agbiuso
Avete ragione, cari amici, “ci comportiamo come una colonia” perché siamo una colonia.
Per quanto riguarda i giornalisti, strumento di ogni menzogna, vi segnalo il modo in cui molti quotidiani (compreso il paludato e orribile Sole 24 ore) e la Rai hanno presentato una delle tante insensate classifiche sulle università mondiali. Tra gli atenei italiani, Bologna al primo posto per il semplice fatto che la classifica da un certo punto in poi colloca le Università …in ordine alfabetico. Ma i giornalisti non se ne sono accorti:
http://www.roars.it/online/universita-la-migliore-ditalia-secondo-shangai-facile-la-prima-in-ordine-alfabetico/
Proporrò al mio Ateneo di chiamarci Università Aetnea In modo da arrivare primi.
Pasquale D'Ascola
Dai un’occhiata
Enrico Galavotti
Il problema è che non esiste l’Europa come soggetto politico e quando parliamo politicamente non diciamo nulla di diverso da ciò che già dicono gli americani. Ci comportiamo come una “colonia”. Lo si vede bene anche in Ucraina. Il prossimo inverno saremo senza gas siberiano per colpa degli americani, oppure lo andremo a comprare al prezzo che decideranno loro. Non solo ci vogliono deboli economicamente, disuniti geograficamente, ma anche nani politicamente. Una battaglia che dovrebbe fare l’intera Europa sarebbe quella di chiudere tutte le basi Nato. Stando a questo pdf l’Italia ha più basi di tutti gli altri paesi europei messi insieme: ha senso? http://proclamaitalia.files.wordpress.com/2011/04/basi_-militari_usa.pdf
Pasquale D'Ascola
Karl Kraus, Gli ultimi giorni dell’umanità.*
Fare i giornalisti, cioè gli impiegati del sistema di manipolazione, rende. È carne della carne del capitalismo. I peggiori credo siano quelli che credono di combattere su un fronte diverso. Controllare i loro 740 per intendere.
Non bersela mai, esercitare un ateismo integrale, è un peso da Giacomo Leopardi, lo sai bene Alberto.
Brazil, sì.
In ogni modo tra gli stati canaglia è da tempo che dovrebbero essere ascritti gli Stati Uniti.
*cito a memoria, andare a ripescarne l’esatta lezione in un testo immenso è di là dalle mie forze.
diego
Anch’io caro Alberto sono abbastanza convinto che la leadership statunitense sia al tramonto sullo scacchiere mondiale e che l’Europa debba giocare un ruolo più decisamente autonomo. Il paese chiave è la Germania che, non a caso, si è tenuta lontana dalle avventure irachene e afgane. Credo che se da un lato bisogna evitare le tenaglie della cura «greca» che da Bruxelles qualcuno vorrebbe imporre all’Italia, da un altro lato è assai opportuno dare forza politica al vecchio continente e l’Italia ne è pur sempre un paese fondamentale. In prospettiva vedo inesorabile l’allontanamento dall’Europa da parte della Gran Bretagna, il più «atlantico» dei paesi UE. Sono convinto che al di là delle zuffe nazionali, tutti i movimenti politici italiani debbano considerare la politica europea fondamentale come hanno chiaro anche le persone più preparate del M5S.