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Ermeneutica e placebo

Mente & cervello 115 – luglio 2014

 

M&C_115_luglio_2014Lo ripeto spesso: l’antroposfera è inseparabile dalla zoosfera, dalla teosfera e dalla tecnosfera. Le indagini neurologiche e antropologiche mostrano con chiarezza che «quando un individuo manipola strumenti, questi divengono parte del suo corpo, o meglio, il cervello li codifica come se gli strumenti avessero un’esistenza equivalente a una qualsiasi parte del corpo». Questo vale anche per altre specie che utilizzano strumenti, come le scimmie, per le quali «il rastrello è assimilato all’immagine della mano. Il numero di neuroni che inizialmente codificava l’immagine si espandeva per incorporare anche il rastrello» (Atsushi Iriki, rispondendo ad Antonella Tramacenere, p. 98). Gli strumenti non sono mai neutri, una frase come ‘dipende dall’uso che se ne fa’ è perlomeno ingenua. L’uso dei videogiochi, dei cellulari, dei computer «sta avendo effetti profondi sul nostro cervello, sulla capacità di riutilizzo delle risorse neurali e probabilmente sulle nuove connessioni di aree sensoriali e motorie» (Id., p. 100). E tuttavia la modalità di funzionamento del cervello rimane profondamente analogica e non digitale poiché «il sistema nervoso degli animali non necessita, come i computer, di enorme rigore e capacità di elaborazione di grandi quantità di dati tutti in una volta, bensì deve essere in grado di adattarsi e imparare continuamente e con il minor dispendio di energia possibile. L’evoluzione ha selezionato macchine ottimizzate per interpretare e associare input esterni, percepiti anche in modo impreciso, e tradurli in schemi complessi plasmandosi di volta in volta sulla base delle esperienze acquisite» (M. Semiglia, p. 20).
Il milieu tecnico, naturale e culturale nel quale gli umani sono costantemente immersi li plasma infatti di continuo, li condiziona e nello stesso tempo li rende imprevedibili nel rispondere all’ambiente, alle sue condizioni, alle sue richieste. Interessantissima è, pure da questo punto di vista, l’esperienza di totale isolamento che si vive nella base antartica Concordia, ben più irraggiungibile e isolata -anche se può sembrare strano- rispetto alle astronavi che ruotano intorno al pianeta. Da febbraio a novembre, infatti, la temperatura raggiunge gli 80 gradi sotto lo zero e nessun mezzo di trasporto può raggiungere la base. Si tratta di una sfida che comporta rischi anche gravi e che in ogni caso cambia la vita di chi vi si sottopone, come viene raccontato in un coinvolgente articolo di Giorgio Di Bernardo (pp. 64-71).
Il corpomente a tutto si adatta, o cerca todo modo di farlo, perché tutto interpreta secondo i propri schemi, bisogni, aspirazioni. Una delle conferme più potenti di tale attitudine è l’effetto placebo, «ossia l’effetto terapeutico di sostanze inerti o procedure fasulle» (T. Gura, p. 90), la cui possibilità dipende dalla regolazione endogena della quale il corpomente è capace; una facoltà, questa, non soltanto chimica ma anche profondamente ermeneutica, consistendo nell’«abilità degli esseri umani di reinterpretare le situazioni» (Id., p. 94). Tra le più recenti acquisizioni riguardanti l’effetto placebo c’è l’importanza del medico. Se coloro che curano si mostrano coinvolti, interessati, attenti alla vicenda dei pazienti, l’effetto dei farmaci e dei placebo ne risulta profondamente rafforzato. Sta anche in questa dimensione, probabilmente, la spiegazione della medicina sciamanica, delle guarigioni che si raggiungono in contesti tribali e arcaici, dei cosiddetti ‘miracoli’ che di tanto in tanto si verificano a Lourdes. Una potenza ben semplificata da celebri frasi come ‘Alzati e cammina, la tua fede ti ha salvato’. L’effetto placebo è il fondamento di tali manifestazioni e conferma tutta la potenza del corpomente.
Radicalmente condizionabile -dai propri pensieri e da quelli altrui- è l’animale umano, inteso sia come individuo sia come collettività. Lo sanno bene coloro che devono vendere qualcosa. Il celebre selfie che ritrae i vincitori dei premi Oscar 2014 mentre si scattano una foto è stato in realtà programmato sin nei minimi dettagli per far pubblicità alla marca di smartphone che sponsorizza quel premio. Francesco Cardinali -che pure è un pubblicitario e dunque di questo vive- ammette che aveva ragione Debord quando affermava che nella società dello spettacolo il vero è un momento del falso (p. 13).
Segnalo, infine, una densa e lucidissima risposta dello psichiatra Leonardo Tondo a un uomo che gli racconta di avere ottenuto tutto dalla vita -comprese molte amanti- ma di essersi innamorato in modo totale di una donna per la quale ha lasciato la famiglia e che però successivamente ha dovuto condividere con un altro uomo assai più anziano di lui e di lei. Tra le molte altre cose, Torno scrive che la donna «riesce in questo modo a punire due uomini allo stesso tempo e ad avere ai suoi piedi sia quello giovane disposto a tutto per lei sia quello paterno che può darle le sicurezze che le mancano» (p. 8). Un caso davvero esemplare.

 

6 commenti

  • Adriana Bolfo

    Dicembre 7, 2014

    A margine di tutto.
    Io, che un poco sospettosa sono, non posso fare a meno di chiedermi se detto psichiatra avrebbe diagnosticato lo stesso di uomo con duplice relazione femminile.
    Detto psichiatra, o qualunque altro, dovrebbe pure mettere in conto che le “cose che fanno male” talvolta sono del tutto adeguate a chi le vive, dall’una e dall’altra parte.
    Augurio 1: non farsi troppo male.
    Augurio 2: farsi così tanto male da aver voglia di non farsene più.
    Augurio 3: non ridursi così malconci da non poter smettere di farsi male anche quando non se ne ha più voglia.

    Nel “male”, ma anche nel “bene”, le parti che si vivono sono di solito “convenienti” a chi le vive, cioè al livello di maturazione (junghianamente direi “individuazione”); se e quando qualcosa cambia per qualcuno, ecco che gli insiemi possono spezzarsi, poiché non è frequente la sincronia nel salto di livello.

  • aurora

    Luglio 25, 2014

    vorrei non pensare troppo,ma ci credo,certi appassionati di tecnologie moderne,dicono :” gli Algoritmi ci rendono stupidi”

  • agbiuso

    Luglio 24, 2014

    “Un chitarrista ha «nelle mani», quindi nel corpomente, accordi e scale, non deve pensarci nel tempo rapido dell’esecuzione”.

    Credo che le cose stiano esattamente come le descrivi. E ciò vale per qualunque competenza professionale o per qualunque abilità (come ad esempio guidare un’automobile), quando si diventa una cosa sola con gli enti artificiali che utilizziamo.
    Anche questo vuol dire che il corpomente è esteso al di là dei suoi confini topologici.

  • diego

    Luglio 24, 2014

    La rivista è molto interessante, e la recensione (come previsto) è adeguata alla qualità della rivista. Sulla questione dell’«incorporamento» da parte della mente degli strumenti costruiti dall’uomo giorni fa pensavo anche al rapporto fra un musicista e il suo strumento musicale. È evidente questa capacità di «incorporare» nell’uso dello strumento, per cui ad esempio un chitarrista ha «nelle mani», quindi nel corpomente, accordi e scale, non deve pensarci nel tempo rapido dell’esecuzione. Oltre a tutto il resto, ho trovato molto illuminante l’articolo del Cardinali.

  • agbiuso

    Luglio 24, 2014

    …del resto atroce e il mondo e il D’Ascola ne percepisce e ritrae l’atrocità.

  • Pasquale

    Luglio 24, 2014

    Una lettura affascinante. La chiusa
    mi rimanda alla mia miss aftermath.
    Sto preparando un raccontino in più, lo trovo atroce. Ma del resto…
    Ciao Alberto

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