Una deputata dell’estrema destra israeliana ha scritto che «tutti i palestinesi meritano di morire» (Fonte: Televideo, 20/07/2014, 00:05). E infatti stanno morendo, con la complicità dell’intero Occidente, dell’Italia che fabbrica armi per Israele, dello squallido Nobel per la pace Barack Obama.
Le generazioni future si vergogneranno di un’epoca “democratica” che ha permesso il genocidio giustificando in tutti i modi i carnefici. Si chiederanno come sia potuto accadere. Troveranno le risposte nel razzismo degli eletti da Dio, nel fanatismo, nella geopolitica, negli interessi finanziari, nella menzogna, nell’indifferenza.
52 commenti
Sionismo - agb
[…] Non è una guerra, 21.7.2014 […]
Schizofrenie imperialiste - agb
[…] Israele abbia intenzione di accelerare il genocidio del popolo palestinese credo sia evidente a chiunque guardi con un minimo di oggettività quello […]
agbiuso
Mi sembra una riflessione del tutto ragionevole.
agbiuso
Palestina: i due primi sconfitti negli scontri
il Simplicissimus, 8.10.2023
Cosa succederà adesso che è scoppiata la guerra tra Hamas e Israele? E’ impossibile rispondere oggi a questa domanda perché ancora non si sanno troppe cose e in fondo molto dipende dalla capacità del mondo mussulmano, ma mi piacerebbe più dire mediorientale di giocare un ruolo autonomo e fino ad ora Turchia, Iran e Arabia Saudita sembrano sulla buona strada: secondo il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian, l’operazione in corso avviata dai gruppi di resistenza contro Israele è il risultato diretto delle continue ingiustizie commesse contro il popolo palestinese. Lo ha dichiarato ieri durante una telefonata con il suo omologo turco, Hakan Fidan aggiungendo l’invito a tutti i Paesi musulmani a “rimanere uniti a sostegno della città santa occupata di al-Quds, così come della nazione palestinese oppressa e resistente”.
Vedremo, ma già possiamo dire chi sono i perdenti certi: il primo è certamente il Mossad, il servizio segreto israeliano considerato onnipotente e venerato dagli sciocchi europei che non è stato capace di intuire nulla di ciò che si stava preparando nella striscia di Gaza che alla fine è un territorio di appena 350 chilometri quadrati, più piccolo del lago di Garda, che non dovrebbe essere difficile da infiltrare e sorvegliare. Invece niente, nemmeno il più piccolo sospetto che si stessero fabbricando migliaia di razzi e organizzando un’offensiva. Qualcuno che non si arrende di fronte alle fasulle mitologie contemporanee trae anche da questo il dubbio che tutto sia stato preparato da Israele: solo che difficilmente un governo mette in piedi una commedia nella quale fa una figura di merda tanto per parlare chiaro. Rassegnatevi, può darsi semplicemente che il Mossad sia stato enormemente sopravvalutato per ragioni “politiche” se così si piò dire . Semmai se si vuole vedere uno zampino esterno si potrebbe guardare verso occidente dove a migliaia di chilometri di distanza qualcuno può aver pensato di distogliere l’attenzione da una sconfitta epocale che sta subendo, appiccando il fuoco altrove e tentando di cancellare il sangue inutilmente versato in Ucraina con altro sangue.
La seconda vittima è la Cupola di ferro, più conosciuto come Iron Dome, un sistema d’arma mobile per la difesa antimissile di piccoli centri e specificamente studiato per fermare i razzi di Hamas che ha fallito totalmente il suo compito non essendo riuscito ad intercettare un bel nulla. E dire che pochi mesi fa era stato magnificato dalla rattosa informazione occidentale e presentato come la soluzione finale proprio per fermare i razzi palestinesi. E persino la Treccani si è sentita in dovere di parlarne. Ma pare che nemmeno un razzo sia intercettato da questa cupola che non sembra più di ferro, ma un altra sostanza, le cui batterie costano la bellezza di 50 milioni ognuna. Pazienza farà la fine ingloriosa del Patriot, la veneranda quanto inutile ferraglia americana. Il fatto è che questa enorme defaillance sia del Mossad, che della Cupola di ferro, ma anche dei reparti che si sono fatti sorprendere dagli attacchi di Hamas segnano un passaggio: la potenza di Israele o per meglio dire il mito si va erodendo col tempo e ormai gli stili di vita delle persone mal si conciliano con il rimanere soldati a vita e pronti all’occorrenza, senza dire che il gap con i Paesi confinanti è orma sottile come un capello e prima o poi anche Tel Aviv dovrà intrattenere rapporti diplomatici veri con gli altri attori regionali, anche perché la copertura dell’occidente si va assomigliando. E’ davvero strano che Israele abbia da due decenni governi di destra, ma comunque molto aggressivi proprio mentre vanno maturando queste trasformazioni che ovviamente Tel Aviv osserva e conosce, tanto da avere un buon rapporto con la Russia che presumibilmente peserà a breve molto di più nel contesto planetario. Diciamo che si tratta di nostalgia canaglia.
agbiuso
Bruciano anche in Palestina
il Simplicissimus, 7.10.2023
La resistenza Palestinese è riuscita ad attuare un’azione di sorpresa prendendo prigionieri dei soldati israeliani negli insediamenti che circondano la Striscia di Gaza e immediatamente la tracotanza con cui i “coloni” trattano i palestinesi si è tramutata in terrore con la richiesta accorata di intervento dell’esercito. Sono stati presi prigionieri anche i carristi del panzer in fiamme che vedete nell’immagine di apertura. Insomma dopo la guerra in Ucraina dove l’arroganza occidentale è finita nel fango cominciano tempi duri per quelli che hanno comandato con la forza e con la violenza pur essendo sostanzialmente al riparo dalle conseguenze.
agbiuso
Continua, nel silenzio complice dei media italiani, il genocidio dei palestinesi da parte di Israele.
Moschea di Al-Aqsa. I crimini (censurati) di Israele
L’AntiDiplomatico, 6.4.2023
agbiuso
NETANYAHU NON SEI IL BENVENUTO IN ITALIA!
associazioneindipendenza, 4.3.2023
– Alziamo la nostra voce di denuncia e di condanna contro le aggressioni e i massacri israeliani verso il popolo palestinese.
– Denunciamo il silenzio complice e l’inaccettabile tolleranza dell’Europa e della Comunità Internazionale verso la politica criminale dei governanti israeliani.
Il governo criminale di Netanyahu, ha impresso un’accelerazione impressionante alla scia di morte causata dal sionismo israeliano: solo da inizio anno, sono più di 70 i palestinesi morti, centinaia quelli incarcerati, migliaia i feriti.
Quella che molti chiamano “Guerra”, in realtà, è un regime di oppressione e apartheid in cui un’unica popolazione inerme, quella palestinese, subisce sofferenze indicibili, data la sproporzione di potere e mezzi.
Solo negli ultimi giorni, coloni israeliani hanno effettuato pogrom (ironia della sorte) a sud di Nablus e nella città di Huwara, incendiando mezzi e case con all’interno civili indifesi; ministri israeliani (come Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir) si sono espressi con incitamenti a crimini di guerra e a favore della “cancellazione” di Huwara “dandola alle fiamme”; il parlamento israeliano ha reintrodotto la pena di morte, ma solo per i Palestinesi, discriminando il reato su base etnica.
Nel momento in cui comincia a farsi sporadicamente sentire la condanna internazionale ai massacri e alle aggressioni di soldati e coloni israeliani – a Jenin, a Jerico, ad Al-Khalil, a Nablus, a Huwara – gli Stati Uniti continuano il loro incondizionato sostegno agli occupanti sionisti e la loro ostilità alla lotta di liberazione palestinese, al diritto all’autodeterminazione e al legittimo diritto alla libertà e alla giustizia.
I palestinesi, oggi, sono più decisi che mai a proseguire il loro cammino e la loro eroica lotta verso la libertà e, quindi, verso la liberazione del loro martoriato paese.
I palestinesi chiedono libertà e giustizia, chiedono all’Unione Europea e a tutta la Comunità Internazionale, di prendere posizione seriamente per il rispetto dei diritti umani, delle decine di risoluzioni ONU e della legalità internazionale costantemente violata da Israele.
Non esiste la pace senza giustizia, come non esiste giustizia senza il riconoscimento e il rispetto dei diritti del popolo palestinese.
La Comunità e i Giovani Palestinesi di Roma e del Lazio invitano tutte le amiche e gli amici della Palestina, gli onesti e gli amanti della libertà e della giustizia a scendere in piazza:
Roma, Piazza Madonna di Loreto
giovedì 9 marzo 2023
dalle ore 17.00 alle ore 19.00
Aderiscono:
– Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia / gruppo d’intervento giuridico internazionale
– Associazione Indipendenza
– Amici della Mezza luna rossa palestinese
– Rete Romana di solidarietà con il popolo palestinese
– Cultura è Libertà
– Gaza Freestyle
– CSOA la Strada
– Assopace Palestina
– Black Lives Matter Roma
– BDS Roma
– Assemblea Corpi e Terra Non Una di Meno
– Centro culturale kurdo Ararat
– Comitato Populare de Lotta Lula Livre Italia
– Associazione culturale Livorno Palestina
– Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba / Circolo di Roma
– Commando Ultras Mammuth – Roma
– USB
– Il Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea
– Rete dei comunisti
– Potere al popolo
– Cambiare Rotta
– OSA
agbiuso
“Possiamo continuare a tacere? Possiamo soltanto parlare di Ucraina? Possiamo assistere impotenti a questo scandalo? Se una SInistra esiste, o piuttosto vuole esistere, rinascendo dalle sue ceneri, deve mobilitarsi, in permanenza, a fianco del popolo palestinese e della sua lotta di liberazione”
Da Mahmoud, 12 anni assassinato dagli occupanti israeliani. Possiamo continuare a tacere?
Angelo D’Orsi, 16.10.2022
agbiuso
I crimini di guerra dello Stato di Israele.
agbiuso
Secondo il manifesto la distruzione di Gaza è un esercizio in vista dello scopo strategico generale. Israele infatti «si prepara a sferrare un attacco, anche nucleare, contro l’Iran».
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Gli F-35 bombardano Gaza
Manlio Dinucci – il manifesto, 16.5.2021
Il portavoce delle Forze israeliane Zilberman, annunciando l’inizio del bombardamento di Gaza, ha specificato che «prendono parte all’operazione 80 caccia, inclusi gli avanzati F-35» (The Times of Israel, 11 maggio 2021). È ufficialmente il battesimo di fuoco del caccia di quinta generazione della statunitense Lockheed Martin, alla cui produzione partecipa anche l’Italia quale partner di secondo livello.
Israele, che ha già ricevuto dagli Usa 27 F-35, ha deciso lo scorso febbraio di acquistarne non più 50 ma 75. A tal fine il governo ha decretato un ulteriore stanziamento di 9 miliardi di dollari: 7 provenienti dall’«aiuto» militare gratuito di 28 miliardi concesso dagli Usa a Israele, 2 concessi come prestito dalla Citibank statunitense. Mentre i piloti israeliani di F-35 vengono addestrati dalla U.S. Air Force in Arizona e in Israele, il Genio dello US Army costruisce in Israele speciali hangar rinforzati per gli F-35, adatti sia per la massima protezione dei caccia a terra, sia per il loro decollo rapido quando vanno all’attacco.
Allo stesso tempo le industrie militari israeliane (Israel Aerospace ed Elbit Systems), in stretto coordinamento con la Lockheed Martin, potenziano il caccia, ribattezzato «Adir» (Potente): soprattutto la sua capacità di penetrare le difese nemiche e il suo raggio d’azione, che è stato quasi raddoppiato. Capacità non certo necessarie per attaccare Gaza. Perché allora vengono impiegati contro i palestinesi i più avanzati caccia di quinta generazione? Perché serve a testare gli F-35 e i piloti in un’azione bellica reale, usando le case di Gaza come bersagli del poligono di tiro. Poco importa se, nelle case-bersaglio, ci sono intere famiglie.
Gli F-35A, che si aggiungono alle centinaia di cacciabombardieri già forniti dagli Usa a Israele, sono progettati per l’attacco nucleare, in particolare con la nuova bomba B61-12 che gli Stati uniti, oltre a schierare tra poco in Italia e altri paesi europei, forniranno anche a Israele, unica potenza nucleare in Medioriente, con un arsenale stimato in 100-400 armi nucleari. Se Israele raddoppia il raggio d’azione degli F-35 e sta per ricevere dagli Usa 8 aerei cisterna Pegasus della Boeing per il rifornimento in volo degli F-35, è perché si prepara a sferrare un attacco, anche nucleare, contro l’Iran. Le forze nucleari israeliane sono integrate nel sistema elettronico Nato, nel quadro del «Programma di cooperazione individuale» con Israele, paese che, pur non essendo membro della Alleanza, è integrato con una missione permanente nel quartier generale della Nato a Bruxelles. Nello stesso quadro, la Germania ha fornito a Israele 6 sottomarini Dolphin modificati per il lancio di missili nucleari (come ha documentato Der Spiegel nel 2012).
La cooperazione militare dell’Italia con Israele è divenuta legge della Repubblica (Legge 17 maggio 2005 n° 94). Essa stabilisce una cooperazione a tutto campo, sia tra le forze armate che tra le industrie militari, comprese attività che restano segrete perché soggette all’«Accordo di sicurezza» tra le due parti. Israele ha fornito all’Italia il satellite Opsat-3000, che trasmette immagini ad altissima risoluzione per operazioni militari in lontani teatri bellici. Il satellite è collegato a tre centri in Italia e, allo stesso tempo, a un quarto centro in Israele, a riprova della sempre più stretta collaborazione strategica tra i due paesi. L’Italia ha fornito a Israele 30 caccia Aermacchi della Leonardo, per l’addestramento dei piloti. Ora può fornirgli una nuova versione, l’M-346 FA (Fighter Attack), che – specifica la Leonardo – serve allo stesso tempo per l’addestramento e per «missioni di attacco al suolo con munizionamenti di caduta da 500 libbre e munizionamenti di precisione capaci di aumentare il numero di obiettivi da colpire contemporaneamente».
La nuova versione del caccia – sottolinea la Leonardo – è particolarmente adatta a «missioni in aree urbane», dove caccia pesanti «vengono spesso utilizzati in missioni poco paganti e con alti costi operativi». L’ideale per i prossimi bombardamenti israeliani su Gaza, che potranno essere effettuati con «un costo per ora di volo che si riduce fino all’80%», e saranno molto «paganti», ossia uccideranno molti più palestinesi.
agbiuso
Una dichiarazione vaga sino all’inconsistenza, irenica sino alla complicità, superficiale sino all’incomprensione.
Parole così costituiscono un appello moralistico non una presa di posizione politica. Parole fondamentalmente ipocrite, che danno bene la misura di un Paese esile anche in politica estera.
agbiuso
Netanyahu ha detto tutto da solo: Gaza distrutta, sostegno degli USA e dell’Unione Europea, inconsistenza dell’ONU (una inutile finzione kantiana), guerra infinita.
agbiuso
Cade la maschera di Israele e anche la nostra
di Alberto Negri
il manifesto, 16.5.2021
La rivolta arabo-palestinese è quella di tutti noi, per la giustizia e la vera pace, contro ogni doppio standard che da decenni avvelena Gerusalemme, la Palestina e tutto il Medio Oriente. Israele vive, da noi pienamente tollerato, nella condizione di uno Stato fuorilegge, i palestinesi, a causa anche della sua dirigenza e di Hamas, sono perpetuamente nella lista nera dei popoli criminali, non degli stati criminali semplicemente perché i palestinesi hanno diritto a uno Stato solo nella retorica occidentale che si lava le mani della questione.
La posizione mediana assunta dai politici e dalla maggior parte dei media occidentali in realtà è la più ipocrita di tutte le sanzioni architettate in Medio Oriente. Quella che pagheremo forse in un prossimo futuro: le guerre altrui entreranno in casa nostra, come è già accaduto un decennio fa quando le primavere arabe si trasformarono, come in Siria, in guerre per procura e nel jihadismo. Finora Israele, nelle mente degli europei, ha fatto da antemurale alle rivolte e alla diffusione del estremismo islamico: in realtà ha alimentato l’incendio – Hamas sin dalla sua fondazione negli anni Ottanta serviva a mettere sotto scacco Al Fatah e i laici – e incoraggiato ogni degenerazione perché lo stato di guerra perpetuo giustifica la sua impunità e il non rispetto assoluto dei diritti degli arabi, delle leggi internazionali e delle Risoluzioni delle Nazioni unite.
Ma la maschera israeliana, come pure la nostra, sta per cadere. È scattata la sirena d’allarme, non soltanto quella per i razzi di Hamas, ma dei linciaggi e delle rivolte nelle città israeliane abitate «anche» dagli arabi. Il venti per cento della popolazione di un Paese che si dichiara lo Stato degli ebrei ignorando tutti gli altri.
Come scriveva questa settimana su il manifesto Tommaso Di Francesco non basta dire che entrambi i popoli hanno diritto a vivere in pace, di questa frasette inutili ne abbiamo piene le tasche e molto più di noi i palestinesi. E persino una parte consistente dell’opinione pubblica arabo-musulmana, anche di quei Paesi entrati nel Patto di Abramo, nella sostanza un’intesa che non è un accordo di pace, come è stato venduto dalla propaganda, ma di fatto un via libera a Israele per fare quello che vuole.
Come fai a vivere in pace quando confiscano le tue terre, la tua casa viene demolita, i coloni moltiplicano gli insediamenti e ogni giorno viene eretto, oltre al Muro, un reticolato di divieti di cemento difesi con il mitra spianato? La terra viene divorata, i monumenti della tua cultura sono vietati e si cambia la faccia del mondo che conoscevi: tutto questo avviene sotto occupazione militare, cioè contro il diritto internazionale. E noi qui vorremmo che gli arabi rispettassero leggi di cui noi stessi ci facciamo beffe?
Gerusalemme è diventato il simbolo di tutte queste ingiustizie, di tutte le violazioni del diritto internazionale. Questa storica e magica città non è per niente la capitale delle tre religioni monoteiste come viene ripetuto fino alla noia: è la capitale soltanto dello Stato di Israele, come ha sancito Trump nel 2018 trasferendo l’ambasciata americana da Tel Aviv. In questa città Israele decide quello che vuole non solo per gli ebrei ma anche per musulmani e cristiani. Anche questa è una violazione del diritto internazionale, delle Risoluzioni Onu e degli Accordi di Oslo: non solo non abbiamo fatto niente per evitarlo ma lo abbiamo accettato senza reagire. Tollerando che avvenga pure senza testimoni con il bombardamento del centro stampa internazionale di Gaza e l’uccisione di una collega palestinese Reema Saad, incinta al quarto mese, polverizzata da una bomba insieme alla sua famiglia.
Oggi le proteste della famiglie arabe minacciate di espulsione dal quartiere di Sheik Jarrah vengono viste come il casus belli di questa ultima guerra. In realtà prima del 1948, della sconfitta araba e della Nakba ricordata ieri, il 77% delle proprietà nel lato Ovest di Gerusalemme appartenevano ai palestinesi, sia cristiani che musulmani. Ma i loro beni, una volta cacciati via e i proprietari classificati come «assenti» sono stati espropriati e venduti allo Stato o al Fondo nazionale ebraico. Così si costruisce con l’ordine «liberale» del «diritto di proprietà» ogni ingiustizia. Non solo: gli ebrei possono reclamare le case che possedevano a Gerusalemme prima del 1948 ma questo diritto non è previsto per i palestinesi. Una beffa. Queste le chiamate leggi, questa la possiamo chiamare giustizia? Si tratta soltanto di un sopruso accompagnato quotidianamente dall’uso della forza militare.
«Le vite palestinesi contano», ammonisce il leader democratico Bernie Sanders. Ma il presidente americano Biden che ieri ha mandato un inviato per verificare le possibilità di una tregua deve uscire dall’ambiguità: se concede a Israele di violare tutte le leggi e i principi più elementari di giustizia diventa complice di Trump e delle sue scellerate decisioni. In ballo non c’è soltanto un cessate il fuoco ma un’esecuzione mortale: quella che viene perpetrata ogni giorno al popolo palestinese messo al muro dalla nostra insipienza. E con le spalle al muro ci siamo pure noi che difendiamo con la stessa maschera dei governi israeliani la nostra insostenibile ipocrisia e disonestà intellettuale.
agbiuso
«L’espulsione “legale” di decine di famiglie palestinesi dalle case nelle quali hanno vissuto per decenni è la concretizzazione brutale dell’apartheid a Gerusalemme» è quanto afferma, tra l’altro, Zvi Schuldiner nell’odierno editoriale del manifesto: Una escalation di pulizia etnica.
agbiuso
Un articolo di Alberto Negri sul manifesto del 9.4.2019 individua le radici dell’instabilità italiana ed europea (Isis, migranti, crisi economica), funzionale all’imperialismo di Israele e agli interessi degli Stati Uniti d’America.
Nel nuovo conflitto il fallimento della Nato (pdf)
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agbiuso
Soldati israeliani armati sino ai denti entrano senza autorizzazione in una scuola palestinese e diffondono terrore tra i bambini. La viltà e l’apartheid di Israele.
agbiuso
L’arroganza di Israele -e degli USA suoi complici- è davvero senza limiti.
agbiuso
Genocidio, apartheid e razzismo di Israele
Nakba, la catastrofe infinita
di Tommaso Di Francesco
il manifesto, 16.5.2018
I settant’anni dello Stato d’Israele sono anche i settant’anni della Nakba, la «Catastrofe» del popolo palestinese, la cacciata nel 1948 di centinaia di migliaia di palestinesi (da 700mila a un milione) in una operazione di preordinata pulizia etnica che li ha trasformati nel popolo profugho dei campi. A confermare laa doppiezza strabica degli eventi nel rapporto di causa ed effetto, è arrivato lo spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, la festa della «grande riunificazione» di Netanyahu; proprio mentre la promessa elettorale mantenuta di Trump provocava la rivolta e la strage di 60 giovani nel tiro al piccione a Gaza. Secondo i versi del poeta palestinese Mahmud Darwish: «Prigionieri di questo tempo indolente!/ non trovammo ultimo sembiante, altro che il nostro sangue».
Invece sulla descrizione in atto del massacro si esercitano gli «stregoni della notizia»: così abbiamo letto di «ordini dalle moschee di andare correndo contro i proiettili», di «scontri», di «battaglia» e «guerriglia». Avremmo dunque dovuto vedere cecchini, carri armati e cacciabombardieri palestinesi fronteggiare cecchini, tank e jet israeliani, con assalti di uomini armati. Niente di tutto questo è avvenuto e avviene. Invece, nella più completa impunità, la prepotenza dell’esercito israeliano sta schiacciando una protesta armata di sassi, fionde e copertoni incendiati. Per Netanyahu poi si tratterebbe di «azioni terroristiche».
Ma la verità è che un popolo oppresso che manifesta contro un’occupazione militare ricorda solo la nostra Liberazione e il diritto dei palestinesi sancito da ben tre risoluzioni dell’Onu (una del 1948 proprio sul «diritto al ritorno»). Sì, la festa triste di un popolo, guidato da Netanyahu e dal nuovo «re d’Israele» Trump, vive della catastrofe di un altro popolo. Che si allunga all’infinito con la proclamazione di Gerusalemme «unica e storica capitale indivisibile di Israele». Altro che due Stati per due popoli: nemmeno due capitali. Intanto per lo Stato d’Israele il «diritto al ritorno» è costitutivo della natura esclusiva di Stato ebraico.
Ai palestinesi al contrario è permesso solo di vivere a milioni nei campi profughi di un Medio Oriente stravolto dalle guerre occidentali e come migranti nei propri territori occupati (Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est); di sopravvivere alla fame nel ghetto della Striscia di Gaza. Questa è la condizione palestinese, con il muro di Sharon che ruba terre alla Palestina e taglia in due famiglie e comunità; posti di blocco che sospendono nell’attesa le vite umane; lo sradicamento di colture agricole e le fonti d’acqua sequestrate; le uccisioni quotidiane; e una miriade di insediamenti colonici ebraici che hanno ormai cancellato la continuità territoriale dello Stato di Palestina. Dopo tante chiacchiere di Obama che nel 2009 dal Cairo dichiarava: «Sento il dolore dei palestinesi senza terra e senza Stato». E dopo i voltafaccia dell’Ue che si barcamena sull’equidistanza impossibile e tace, mentre ogni governo occidentale fa affari in armi e tecnologia, e con patti militari – come l’Italia – con Israele, che è da settant’anni in guerra e che occupa terre di un altro popolo.
Allora o si rompe il silenzio complice e si prefigura una soluzione di pace che esca dall’ambiguità di stare al di sopra delle parti – come se Israele e Palestina avessero la stessa forza e rappresentatività, quando invece da una parte c’è lo Stato d’Israele, potente e armato fino ai denti, potenza nucleare e con l’esercito tra i più forti al mondo, mentre dall’altra lo Stato palestinese semplicemente non esiste – oppure sarà troppo tardi. Il nodo mai sciolto – Rabin a parte, non a caso assassinato da un integralista ebreo – da tutti i governi israeliani resta quello del diritto dei palestinesi di avere una terra e uno Stato, fermo restando il diritto eguale d’Israele. Che se però non lo riconosce per la Palestina perché dovrebbe pretenderlo per sé? I due termini ormai si sostengono a vicenda oppure insieme si cancellano. Tanto più che la demografia ormai racconta che le popolazioni arabe hanno oltrepassato la misura di quelle ebraiche. O si avvia una trasformazione democratica dello Stato d’Israele che decide di perdere la sua natura etnico-religiosa di «Stato ebraico», con la pretesa arrogante che i palestinesi occupati lo riconoscano come tale; oppure si conferma la dimensione acclarata di Stato di apartheid come in Sudafrica; con i territori occupati come riserve per i «nativi» nemici.
Scriveva Franco Lattes Fortini nella sua Lettera aperta agli ebrei italiani nel maggio 1989, nella la fase più acuta della Prima intifada: «Con ogni casa che gli israeliani distruggono, con ogni vita che quotidianamente uccidono e perfino con ogni giorno di scuola che fanno perdere ai ragazzi di Palestina, va perduta una parte dell’immenso deposito di verità e di sapienza che, nella e per la cultura occidentale, è stato accumulato dalle generazioni della diaspora, dalla sventura gloriosa o nefanda dei ghetti e attraverso la ferocia delle persecuzioni antiche e recenti. Una grande donna ebrea e cristiana, Simone Weil, ha ricordato che la spada ferisce da due parti. Anche da più di due, oso aggiungere». Provate a rileggere la grande lezione morale di S. Yizhar (Yzhar Smilansky), il fondatore della letteratura israeliana, che in un piccolo romanzo del 1949 Khirbet Khiza – significativamente un titolo in arabo, conosciuto da noi come La rabbia del vento, che aprì un dibattito sulle basi etiche del nuovo Stato – racconta la storia di una brigata dell’esercito israeliano impegnata con la violenza a cacciare famiglie palestinesi.
Il romanzo finisce con queste parole di dolore e rammarico: «I campi saranno seminati e mietuti e verranno compiute grandi opere. Evviva la città ebraica di Khiza! Chi penserà mai che prima qui ci fosse una certa Khirbet Khiza la cui popolazione era stata cacciata e di cui noi ci eravamo impadroniti? Eravamo venuti, avevamo sparato, bruciato, fatto esplodere, bandito ed esiliato (…) Finché le lacrime di un bambino che camminava con la madre non avessero brillato, e lei non avesse trattenuto un tacito pianto di rabbia, io non avrei potuto rassegnarmi. E quel bambino andava in esilio portando con sé il ruggito di un torto ricevuto, ed era impossibile che non ci fosse al mondo nessuno disposto a raccogliere un urlo talmente grande. Allora dissi: non abbiamo alcun diritto a mandarli via da qui!».
agbiuso
Al confine di Gaza cecchini israeliani sparano sulla folla, massacrano un popolo tenuto in carcere. Sempre in nome della sicurezza del “popolo eletto”, espressione di razzismo culturale.
agbiuso
«Ci ricorderemo di questo voto», tuonano gli Stati Uniti.
Trump sconfitto all’Onu ma conferma Gerusalemme capitale d’Israele
Anche noi ci ricorderemo di Hiroshima, di My Lai, di Allende e di tanti altri crimini degli Stati Uniti d’America.
diego
In molti punti, caro Alberto, le tesi di Chomsky sono analoghe a quelle ottimamente espresse dal nostro Franco Cardini (intellettuale assolutamente libero anche lui) nell’ottimo «Ipocrisia dell’Occidente» edito da Laterza, dove mette in evidenza anche le colpe dei francesi (o meglio le colpe degli ultimi due disastrosi presidenti).
agbiuso
In una bellissima intervista -l’intervista di un uomo tanto libero quanto intelligente- Noam Chomsky parla di Israele, degli USA, del loro terrorismo globale, del clima, della Grecia.
Da leggere.
Chomsky: alla Grecia va condonato il debito
di Isabel Kumar
Antimafia 2000
agbiuso
Dal manifesto, 4.4.2015
Israele respinge l’accordo di Losanna con l’Iran
di Michele Giorgio
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[Benyamin Netanyahu] ha sostenuto che il compromesso permette a Tehran di continuare la ricerca in campo nucleare e potenzialmente di arrivare alla bomba in tempi brevi. A suo avviso «l’accordo lascerà l’Iran con in piedi una vasta infrastruttura nucleare. In pochi anni — ha spiegato – revocherà le sanzioni rendendo possibile all’Iran di avere un massiccia capacità di arricchimento (dell’uranio) che potrà essere usata per produrre bombe in una questione di mesi». «L’accordo legittima l’illegale programma nucleare iraniano», ha sostenuto Netanyahu sorvolando sul particolare, certo non irrilevante, che Israele era e resta l’unica potenza nucleare in Medio Oriente, in possesso segretamente di decine forse centinaia di ordigni atomici, e non ha mai firmato il Trattato di non proliferazione. Mantiene quella che chiama «l’ambiguità nucleare», ossia non nega e non ammette di avere armi atomiche. Stati Uniti ed Europa sanno ma fingono di non sapere lasciando senza alcuna sorveglianza un arsenale in grado di trasformare l’intero Medio Oriente, e non solo, in un paesaggio lunare.
Quella di Netanyahu è una linea nota, espressa, esattamente un mese fa, anche davanti al Congresso degli Stati Uniti, in un estremo tentativo di bloccare l’Amministrazione Usa decisa ad arrivare all’intesa con gli iraniani. In Israele comunque non tutti condividono le posizioni di Netanyahu, a cominciare da un folto gruppo di ex comandanti militari e dei servizi segreti. Per Barak Ravid, analista diplomatico del quotidiano Haaretz, quello raggiunto a Losanna è un «buon accordo» e per Netanyahu sarà difficile dimostrare il contrario ai parlamentari americani. I Democratici stretti alleati di Israele, sostiene Ravid, faranno fatica a votare contro il presidente e ad unirsi ai Repubblicani in una battaglia per silurare la firma dell’accordo definitivo, entro il 30 giugno, che al momento appare perduta. Netanyahu tuttavia ritiene di avere una buona carta da giocare per ottenere l’appoggio del Congresso. Ieri ha esortato le parti coinvolte a condizionare l’accordo finale al riconoscimento di Israele da parte di Tehran. «Ogni accordo finale con l’Iran includa un chiaro e non ambiguo riconoscimento del diritto di Israele ad esistere», ha detto. Al momento questa richiesta non sembra avere la forza per trasformarsi in una condizione vincolante. Ma se, in seguito ad una campagna mirata, sarà imposta a Barack Obama, allora finirà per sabotare l’accordo a pochi metri dal traguardo.
agbiuso
Palestina chi?
di Tommaso Di Francesco, Michele Giorgio, il manifesto, 28.2.2015
Il governo Renzi, la Camera, quasi tutti i partiti — ad eccezione di Sel e M5S -, con straordinaria doppiezza non hanno mancato l’occasione di portare sul palcoscenico delle istituzioni italiane una pessima sceneggiata sul riconoscimento simbolico della Palestina. Che, è bene ricordarlo, non è contesa, ma occupata militarmente. Si trattava di una decisione senza alcun effetto concreto ma dall’indubbio valore politico e simbolico, già presa senza particolari sussulti dai parlamenti di Gran Bretagna, Irlanda, Spagna, Francia, Irlanda, Lussemburgo e Portogallo, dallo stesso Europarlamento e dal governo svedese.
Invece, con un imbroglio che poteva realizzare solo l’ambiguità patologica sulla questione mediorientale di gran parte delle forze politiche italiane, la Camera ha approvato due testi in evidente contrapposizione: la mozione del Pd e quella dei centristi di Area popolare (Ncd e Udc) e Scelta civica.
La prima impegna il governo a continuare a sostenere l’obiettivo della Costituzione di uno Stato palestinese che conviva in pace, sicurezza e prosperità accanto allo Stato d’Israele. La seconda che condiziona l’indipendenza palestinese al raggiungimento di un’intesa tra Fatah e Hamas. Il governo Renzi incredibilmente si è espresso a favore di entrambe, soprattutto per salvaguardare l’unità della compagine di governo Pd-Ncd, nel disprezzo dei palestinesi.
Amaro il commento dai Territori Occupati di Hanan Ashrawi, a nome dell’Olp: «È infelice che la risoluzione non si impegni per l’incondizionato e ufficiale riconoscimento dello Stato di Palestina. Chiediamo al governo italiano di riconoscere lo Stato palestinese senza condizioni». Per Israele al contrario il voto della Camera è un successo.
Il governo Netanyahu nei mesi scorsi aveva contestato i riconoscimenti dei parlamenti europei non tanto per i loro effetti pratici, inesistenti, ma perché in essi scorgeva una attenzione verso i diritti del popolo assoggettato, tenuto da decenni sotto occupazione militare. Vi leggeva una solidarietà umana pericolosa, che mette in discussione le sue politiche, a cominciare dalla colonizzazione. Il governo Renzi e la maggior parte della Camera ieri hanno deciso di non riconoscere i palestinesi come titolari di diritti uguali a quelli di tutti gli altri popoli. Hanno sentenziato che i palestinesi non potranno mai essere liberi se gli occupanti israeliani non lo vorranno. Non si possono tralasciare le dichiarazioni fatte nelle settimane passate da un buon numero di deputati ed esponenti politici italiani, non solo della destra anche del Pd, che hanno definito lo Stato di Palestina «prematuro», come se la questione palestinese fosse sorta ieri e non fosse sul tavolo della politica mondiale da molti decenni. E non è mancato chi, spinto da razzismo malcelato e dall’islamofobia dilagante, ha messo in guardia dalla nascita di uno «altro Stato islamico», accostando in modo strumentale i palestinesi all’Isis, proprio come fa il premier Netanyahu giustificare le sue politiche.
Comprensibile dunque alla fine la soddisfazione dell’ambasciata israeliana a Roma: «Accogliamo positivamente la scelta del Parlamento italiano di non riconoscere lo Stato palestinese e di aver preferito sostenere il negoziato diretto fra Israele e i palestinesi, sulla base del principio dei due Stati, come giusta via per conseguire la pace». Più chiaro di così.
Due Stati. Parole magiche che hanno fatto sognare una ventina di anni fa, quando furono firmati gli Accordi di Oslo. Ma che sono rimaste lettera morta, sepolta sotto tante troppe guerre d’aggressione israeliana, senza dimenticare l’assassinio del leader israliano Rabin per mano di un estremista ebreo. Insieme a tante intifada e rivolte, anche violente, palestinesi represse.
Se solo si intravede la scena reale di rovine della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, ecco che appare la barbarie che il pasticcio di ieri alla Camera fa finta di non vedere. Muri di separazione, check point militari ai quali si consuma il tempo di chi deve muoversi per vivere, con migliaia di detenuti politici spesso in sciopero della fame che nessuno ha mai voluto raccontare, e milioni di profughi maltrattati in ogni luogo di fuga, che non hanno più il diritto di tornare in patria. Con tante colonie trasformate in avamposti militari israeliani. Così tante che la loro ragnatela di fatto impedisce ormai la continuità territoriale di quello che un tempo era rivendicato come Stato di Palestina.
Oggi dietro le parole promesse dei «due Stati», si nasconde quello che come manifesto denunciamo ogni giorno: la colonizzazione israeliana che fagocita la Cisgiordania e Gerusalemme Est e l’esproprio di terre e risorse naturali palestinesi. Così appare come un miraggio, un’Araba Fenice, la proclamazione, nessuno sa quando, di uno staterello palestinese con un territorio a macchia di leopardo, privo di sovranità reale sul suo territorio e le sue frontiere, senza uno spazio aereo, di fatto dominato ancora da Israele. Ma «riconosciuto» dall’Occidente. Sarebbe un «bantustan a sovranità limitata» secondo la denuncia di Ilan Baruch mediatore israeliano di Oslo arrivato a Roma la scorsa settimana convinto di impegnare i parlamentari italiani a votare il «riconoscimento dello Stato di Palestina, come diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese», forte anche dell’appello eguale lanciato da mille intellettuali israeliani, guidati dagli scrittori Grossman, Oz e Yeoshua. Non è valso a nulla.
L’esito sul quale puntano il primo ministro Netanyahu e una porzione significativa di partiti israeliani — che ringraziano il parlamento italiano — è un cambiamento per non cambiare nulla. Su questo poco o nulla riflettono anche quelle rarissime forze politiche italiane che ieri dentro e fuori dalla Camera appoggiavano con sincerità il riconoscimento della Palestina e del suo popolo. Davvero un giorno infelice.
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Il personaggio Renzi dimostra così, ancora una volta, di essere più cinico di Andreotti, più autoritario di Craxi, più buffone di Berlusconi.
Complimenti agli elettori e agli iscritti del Partito Democratico, che neppure si vergognano.
Biuso
Due mozioni del governo del Partito Democratico-Nuovo Centrodestra su e contro la Palestina. Buffoni assoluti.
agbiuso
Televideo
Israele, Onu: illegale demolizione case
24/01/2015
23.40 L’Onu ha accusato Israele di aver abbattuto illegalmente le abitazioni di 77 palestinesi, più della metà dei quali bambini. Le case sono state demolite a Gerusalemme e in Cisgiordania.
“Alcune delle strutture demolite erano fornite dalla comunità internazionale a sostegno delle famiglie vulnerabili”, afferma l’ufficio Onu per il Coordinamento degli affari umanitari. “Le demolizioni che provocano sgomberi forzati sono contrarie agli obblighi di Israele in base alle norme internazionali, e devono cessare subito”, aggiunge l’Ocha.
agbiuso
Continua la politica razzistica di Israele nei confronti dei palestinesi.
Televideo, 25/12/2014 17:12
Israele: sì a nuove case di coloni
17.12 Israele ha dato il via libera preliminare alla costruzione di 249 nuove case di coloni nelle terre della Cisgiordania annesse a Gerusalemme, e ha fatto progredire i progetti per altre 270 abitazioni nella stessa area.
La decisione coinvolge Ramot e Har Homa, insediamenti che Israele considera dei sobborghi di Gerusalemme. La decisione è un’aperta sfida alle richieste degli Usa e delle diplomazie occidentali per il congelamento di nuove costruzioni nei territori contesi.
agbiuso
Stato palestinese: quando un gesto forte da Roma?
di Zvi Schuldiner, il manifesto 15.10.2014
Mentre il governo di Netanyahu e i suoi ministri continuano a fabbricare montagne di parole a vuoto, si susseguono le pressioni per farli tornare alla realtà: sempre più alte si alzano le voci che chiedono di porre fine alla politica bellicosa e colonialista di Netanyahu e alla sua coalizione fondamentalista e ultranazionalista. Proprio l’Italia dovrebbe tornare ai giorni in cui la Democrazia cristiana la pose alla testa della politica europea: quando, nel 1980, la dichiarazione di Venezia indicò all’Europa che anche i palestinesi avevano il diritto all’autodeterminazione.
Ora gli italiani ricevono il ministro degli esteri israeliano Lieberman, che cercherà di vendere mercanzia di seconda mano. L’illustre ospite racconterà la famosa iniziativa israeliana, i cui dettagli rimangono oscuri: una presunta trattativa con «i paesi arabi». Spiegherà che Israele è l’unica democrazia della regione e non ricorderà che durante l’ultima guerra ha invitato a non comprare prodotti dai negozi di cittadini arabi israeliani; un elemento tanto democratico da ricordare quanto accadeva in Europa negli anni 30. Non solo Londra e Stoccolma segnalano a Israele che deve cambiare rapidamente la rotta: al Cairo si sono riuniti trenta paesi per discutere della ricostruzione di Gaza. Ha aperto i lavori il presidente egiziano al Sisi, in teoria un alleato di Netanyahu.
E proprio al Sisi ha mandato in frantumi la fantasia di Netanyahu e Lieberman circa un presunto negoziato con il mondo arabo, dicendo chiaramente: se gli israeliani vogliono negoziare la pace con il mondo arabo, che vadano a Ramallah e la negozino prima con i palestinesi! Senza la pace con i palestinesi, non c’è nessuna trattativa con il mondo arabo. E a Gerusalemme il segretario generale dell’Onu ha chiesto a Netanyahu di porre fine alla costruzione delle colonie chiedendo un cambio di linea e condannando la distruzione perpetrata a Gaza.
Quando il primo ministro svedese ha dichiarato il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad avere un proprio Stato, Liebermen ha chiamato l’ambasciatore svedese per redarguirlo.
E quando nella notte di lunedì il parlamento britannico ha votato a favore del riconoscimento di una Stato palestinese, il ministro degli esteri israeliano ha preferito viaggiare in Italia; chissà che la buona cucina italiana non ne calmi l’indignazione. Centinaia di israeliani, parte dell’elite politica e culturale, con un’iniziativa cui si è posto a capo Alon Liel, un ex direttore generale del ministro degli esteri (!), hanno chiesto ai parlamentari britannici di appoggiare il voto di ieri.
Liel ha specificato alla radio israeliana che centinaia di persone hanno appoggiato con lettere e verbalmente l’iniziativa. Tutto questo è rilevante, ma va considerato come parte del problema: il governo israeliano non vuole la pace, la recente guerra è stata appoggiata «patriotticamente» anche dalle opposizioni, le voci pacifiste sono deboli e praticamente inesistenti in una società dominata dalla paura e dal razzismo. E già a destra accusano furiosamente di tradimento gli israeliani che hanno scritto al parlamento britannico.
In un quadro che induce al pessimismo di fronte alla grande debolezza delle forze progressiste in Israele, solo all’esterno è possibile vedere una possibile luce.
Mentre Netanyahu e Lieberman continuano a raccontare al mondo che Hamas è come l’Isis, che entrambi sono come l’Iran, che tutti sono come Hitler e che Netanyhau e l’esercito ci salveranno, forse solo la voce critica che si sta diffondendo in Europa potrà essere l’unica possibilità di arrivare a uno Stato palestinese; l’unica possibilità di salvare gli israeliani da loro stessi.
È ora che anche l’Italia assuma un ruolo positivo in Europa, facendo sentire con chiarezza la propria voce a favore dei diritti dei palestinesi, senza cascare nei trucchi demagogici e falsi dei governanti israeliani.
agbiuso
Basta elemosina e complicità
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Il silenzio sull’apartheid a Gaza
di Tommaso Di Francesco, il manifesto 9.8.2014
Le famiglie erano tornate nelle loro case senza trovarle, i bambini giocavano vicino ai funerali dei loro coetanei, i pescatori gettavano reti senza speranza. 72 ore senza bombardamenti israeliani, ma dal Cairo non potevano arrivare né l’estensione della tregua né la pace. Perché i palestinesi sono soli. Per i governi europei, che i territori palestinesi restino occupati è un fatto marginale. Il governo italiano dell’ex scout Renzi che ha taciuto su tutti massacri di questi giorni, è impegnato in uno sforzo di diplomazia parrocchiale: invia alla gente di Gaza, pensate, 30 tonnellate di aiuti. Gli aiuti servono e quel che resta della sinistra deve raccoglierli, a partire dai medicinali e sostenendo le organizzazioni umanitarie palestinesi. Ma per favore basta elemosina e complicità. Perché l’Italia tace sul Trattato militare in vigore con Israele e non fa come la Spagna che, simbolicamente, ha fermato per un mese l’import-export di armi con Israele.
Si è preferito dimenticare che la tregua annunciata di fatto era unilaterale e che Israele andava al Cairo solo per dettare condizioni: zona smilitarizzata, e di più, tutta Gaza smilitarizzata, fine dei tunnel e dei razzi, verso l’esclusione di Hamas dal governo della Striscia, come dichiara il ministro israeliano Tzipi Livni. I 29 giorni di «Margine protettivo», con la strage di quasi duemila palestinesi uccisi, in maggioranza civili e tanti bambini, di ottomila feriti tra cui molti gravissimi e senza cure adeguate, di centinaia di migliaia di senza casa con l’odio che è stato seminato, non hanno certo aperto nuovi spiragli alla crisi.
che non è il «conflitto israelo-palestinese» come scrivono i giornalisti embedded — ma nemmeno il giornalismo che abbiamo conosciuto esiste più? -, come se fossero due parti eguali, due stati legittimi e due eserciti di eguale forza. No. In gioco c’è la questione, ormai, ineludibile dei diritti del popolo palestinese.
A meno che non si voglia approfittare della perversione coloniale dei tanti governi israeliani, non solo di Netanyahu: una guerra breve ogni due-tre anni con un deserto chiamato pace, quel tanto da mettere la questione dei diritti del popolo palestinese in sordina, sullo sfondo, grazie alle distruzioni e alle falsificazioni che allontanano la consapevolezza di un misfatto: il blocco di Gaza. Che deve essere tolto, e questo obiettivo non dovrebbe essere solo di Hamas ma del mondo intero.
Che dovrebbe ricordare che il blocco è stato imposto da Israele — invece di rispondere alla necessità di un corridoio di collegamento tra Gaza e Cisgiordania occupata in vista della nascita dello Stato di Palestina — per arginare l’emergenza rappresentata da Hamas, che nel 2006 vinse le elezioni palestinesi non solo a Gaza ma in tutta la Cisgiordania, affermandosi in alternativa alla nuova leadership di Al Fatah emersa dopo l’umiliazione di Arafat chiuso dai carri armati israeliani a Ramallah nel 2002 e la sua uccisione nel 2004. Una leadership giudicata dagli stessi palestinesi corrotta e contaminata dal legame con le intelligence occidentali, quella Usa in primis, impegnate a controllare e ad infiltrare ogni scelta autonoma dell’Autorità nazionale palestinese e a reprimere ogni dissenso e radicalità. Qualcuno ricorda le modalità dell’arresto dell’unico vero leader del popolo palestinese, Marwan Barghouti? La rottura tra Hamas e Fatah fu anche violenta a Gaza City e viceversa a Ramallah. Ma dopo sei anni, e soprattutto di fronte all’inasprirsi dell’occupazione militare israeliana, delle colonie, del Muro che sarà raddoppiato, della rapina delle acque e della distruzione dell’agricoltura palestinese, della riduzione della West Bank in una grande prigione di cemento, ecco che è tornata l’unità tra i palestinesi di Gaza e di Cisgiordania. Ecco il vero «razzo Qassam» che Netanyahu non può sopportare.
Certo Hamas ha le sue responsabilità. I razzi che lancia non sono nemmeno la guerra asimmetrica di una guerriglia armata: sono un niente controproducente, un regalo a Netanyahu. E vantare «vittoria» come fanno le Brigate Ezzedin al Qassan sembra un triste delirio d’impotenza. Ma tra le macerie emergono alcune novità e una verità. In questi giorni — mentre, nonostante le distruzioni della guerra, sembra crescere anche in Cisgiordania il consenso per Hamas e in calo quello da Al Fatah — l’Anp chiede alla Corte dell’Aja le modalità per aderire al Tribunale penale internazionale dell’Onu e incriminare così il governo israeliano. Se è ingenuo pensare che l’iter andrà davvero avanti, non va dimenticato che la richiesta di aderire alle Agenzie dell’Onu resta l’ultima occasione per la credibilità di Abu Mazen e l’ultima vera possibilità palestinese; mentre cresce la solidarietà inter-palestinese con un pezzo del proprio popolo che vive nell’altra prigione di Gaza, dove se resta il blocco – e i valichi con l’Egitto chiusi dal golpista Sisi -, sarà inevitabile e giusto scavare altri tunnel per vivere e far entrare beni di prima necessità. E la verità, amara, è che se Hamas smettesse subito di lanciare i razzi, la condizione palestinese resterebbe sempre la stessa: un popolo esiliato in tutto il Medio Oriente, abitante dei campi profughi nella sua stessa terra, chiuso da Muri di recinzione e posti di blocco, invaso da una ragnatela di colonie d’occupazione e insediamenti che hanno cancellato la continuità territoriale dello Stato di Palestina, che rubano occasioni di vita e lavoro, diviso in due territori, uno alla mercé della guerra breve continua, l’altro semplicemente colonizzato e zittito. E senza alcuna prospettiva di integrazione con il nemico occupante, se non lo status perenne di occupato.
Jimmy Carter, l’ex presidente americano che ora chiede all’Occidente di riconoscere Hamas, ha titolato «Apartheid» il suo bel libro sulla condizione palestinese. Obama purtroppo, a quanto pare, non l’ha nemmeno sfogliato.
agbiuso
Renzi d’Egitto
Tommaso Di Francesco, il manifesto 5.8.2014
Non c’era nessun soldato «rapito», e aveva ragione Hamas — che altrimenti l’avrebbe rivendicato — a dire che poteva essere morto sotto un raid israeliano per distruggere i tunnel. Ora Israele lo dà ufficialmente per morto e ne celebra i funerali. Quel «rapimento» è servito solo a nascondere l’efferatezza sanguinosa delle nuove stragi, come la distruzione dell’ospedale di Rafah. E soprattutto, a Obama per rilanciare l’incredibile equidistanza e al premier emergente d’Europa e d’Italia, Matteo Renzi, a tacere sul sangue versato dei palestinesi e sui crimini del governo Netanyahu.
Così è arrivato al Cairo, solo preoccupato del precipitare della Libia nel baratro per le sorti del nostro approvvigionameno energetico, gridando a viva voce: «Chiediamo la liberazione del soldato rapito». Senza condannare il governo israeliano per i massacri in atto. E senza chiedersi a che è servita la guerra, anche quella umanitaria, del 2001, solo tre anni fa della Nato in Libia.
Abituati alle promesse-menzogne del presidente del Consiglio sulla poltica interna, adesso scopriamo anche le omertà e le bugie estere: un vero Renzi d’Egitto. Che, mentre il Trattato militare con Israele resta in vigore nonostante sia un paese che ne occupa un altro, ora candida alla commissione esteri Ue, nientemeno che l’indignata a parole ministro Mogherini. A confermare, dopo il ruolo della Ashton, che il posto di ministro degli esteri europeo, Mister o Ms Pesc, è inutile e deve rappresentare il meno possibile. Una politica estera dell’Unione non esiste, è già surrogata dalla Nato come dimostra la crisi in Ucraina.
Intanto si annuncia una tregua ma a Gaza si muore. Non c’è nessun vero cessate il fuoco, né alcun ritiro. Netanyahu del resto ha chiarito le sue intenzioni: ridispegamento delle truppe, con i militari che occupano il 44% della Striscia e praticano una zona cuscinetto, e tutti i carri armati pronti a reintervenire, mentre sulla zona di Rafah continuano i bombardamenti mietendo anche ieri decine di vittime tra cui tre bambini. Sono Mille e ottocento le vittime, la maggior parte civili con centinaia di bambini. I ragazzini che non salveranno il mondo, fatti a pezzi o carbonizzati dalle bombe israeliane.
E già si lamentano della reazione individuale di un palestinese che, a Gerusalemme occupata, ha reagito all’impotenza con un atto disperato. Come se un bulldozer potesse avere la potenza distruttiva di un carro armato israeliano Merkhava, copiosamente rifornito di missili, cluster bomb e carburante dal Pentagono.
Già sentiamo il giornalismo velinaro e embedded gridare all’atto «terrorista». Quello dei palestinesi naturalmente è terrorismo, quelle del governo israeliano sono invece solo «operazioni militari».
Ma che altro è se non terrorismo di stato l’assassinio di migliaia di inermi innocenti, contro ogni diritto internazionale e perfino contro il codice di guerra?
Le vittime innocenti hanno solo la funzione di «scioccare» emotivamente l’Amministrazione Obama. Ma se quei bambini assassinati dai bombardamenti aerei, terrestri e navali fossero bambini americani, che avrebbe fatto Obama? Esistono dunque stragi di serie A e quelle di serie B, il «bambino palestinese ucciso» è giornalisticamente «cane morde bambino» e politicamente solo un morto in più.
Non vedono che insieme a tanta distruzione che mette in fuga un popolo senza scampo, senza più presente e futuro, è stata ri-seminata la pianta dell’odio già radicata in quella terra santa e maledetta.
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Fonte: Renzi d’Egitto
agbiuso
Richiamare subito gli ambasciatori da Tel Aviv
“La Striscia di Gaza somiglia sempre più all’anticamera dell’inferno. Al buio, senz’acqua, sotto bombardamenti continui, con i cadaveri sotto le macerie e senza nessun posto dove poter fuggire.
Il mondo assiste attonito, i leader dei principali Paesi esprimono sconcerto. A parte ovviamente Renzi, che è andato fino in Egitto a perorare la causa del soldato israeliano catturato e non ha speso neppure una parola per Gaza. Memoria selettiva.
Bisogna fare qualcosa, dicono tutti. Si, ma cosa? Il M5S qualche idea ce l’ha: abbiamo consegnato nelle mani del ministro Mogherini una mozione per chiedere la sospensione temporanea della vendita di armi dall’Italia allo Stato d’Israele.
E oggi chiediamo l’aiuto di tutti affinché i Paesi europei richiamino il proprio ambasciatore a Tel Aviv e sospendano gli accordi economici: collegatevi al sito http://www.percessareilfuoco.org/, bastano pochi click per inviare la vostra mail e i vostri tweet ai principali leader europei e al Governo italiano, e per condividere l’iniziativa con tutti i vostri amici.
Non dobbiamo sentirci piccoli e impotenti contro una guerra: possiamo far sentire forte la nostra voce, è importante, facciamolo tutti subito!”.
M5S Camera
Fonte: Gaza, l’anticamera dell’inferno – #Percessareilfuoco
agbiuso
Renzi: «Faccio mio l’appello di altri colleghi per l’immediato rilascio del soldato israeliano rapito». [Fonte: Televideo, 02/08/2014 11:33]
Nessun appello, invece, per la vita di migliaia di donne e bambini palestinesi. Miserabile.
agbiuso
Grazie, Giusy, per questa riflessione oggettiva e insieme appassionata.
Sempre i carnefici adducono ragioni contro le loro vittime.
Ma è un dovere intellettuale, e non soltanto etico, ricordare -come tu fai- che si tratta sempre della ragioni di una mattanza.
Giusy Randazzo
Prendere posizione su questo efferato crimine non è facile. Da qui il silenzio di molti intellettuali. Molti di noi hanno amici israeliani con cui hanno stretto rapporti significativi e intensi e che oggi non hanno la giusta distanza emotiva per comprendere l’efferatezza dei crimini del loro governo. Io stessa ho dovuto scegliere tra il silenzio colpevole o la condanna manifesta. La mia coscienza mi ha imposto la seconda posizione. Ognuno di noi può farlo perché ognuno di noi ha accesso alla rete o fa parte di qualche social network. Sapevo che ne avrei pagato le conseguenze proprio perdendo quegli amici che oggi -assurdo a dirsi- stanno su posizioni estremamente differenti dalle mie. Questa la mia risposta a uno di loro che voglio condividere con te, Alberto, e che mi ha enormemente addolorato dover scrivere perché la persona a cui mi rivolgo è da qualche anno ormai nel mio orizzonte affettivo e amicale.
XXX,
Stamattina ho letto la tua nota. Come tu sai, sono io ad aver scritto quella frase e ne ho scritte molte altre che in questa occasione non ci vedono concordi nelle opinioni. Con una notevole differenza però: tu parli dal fronte interno, io parlo dal sicuro della mia casa. Ti ho pensato in questi giorni e ho letto molti dei tuoi commenti e in molte occasioni, ma spesso quello che hai scritto non mi è piaciuto.
Vorrei spiegarti il mio punto di vista che poi è quello di molti israeliani che sono contrari a questo eccesso di difesa, che nasce peraltro da una probabile falsità:
«Due giorni fa il portavoce della polizia israeliana, Micky Rosenfeld, avrebbe rivelato alla Bbc che la leadership di Hamas non è stata coinvolta nel rapimento e l’uccisione dei tre coloni, Naftali Fraenkel, Gilad Shaer e Eyal Yifrah, il 12 giugno scorso. Dietro l’azione, una cellula separata che ha agito da sola».
Si tratta, senza ombra di dubbio e senza alcun rischio di “sparare sentenze”, di una campagna punitiva, in qualsiasi caso. E’ infatti semplicemente scandaloso che un governo risponda a tre omicidi con più di 1300 uccisioni di innocenti tra cui centinaia di bambini.
La pace non si costruisce se non con la pace e una difesa tanto funesta e smisurata è sempre da condannare senza se e senza ma. Come ho scritto, avrei condannato una simile strage anche se si fosse trattato dell’Italia, anzi molto di più. Si tratta di Israele e per me non fa differenza. Il fatto che tu mi stimi, mi riempie di gioia e sai bene che ricambio la stima e l’affetto, ma se aggiungi a quanto dichiari che sparo sentenze allora non posso che dirti che mi occupo -come qualsiasi altro studioso che non gira la faccia dall’altro lato- di chi, anziché sentenze, spara missili sulle scuole e sugli ospedali, su bambini e su gente indifesa.
Vorrei che fosse chiaro che io esprimo un’opinione sulle politiche di un governo di estrema destra la cui azione militare non condivido, non su un popolo o sul suo diritto di permanere in un territorio. Per quanto riguarda le altre guerre –Siria e Ucraina, in primis- sono d’accordo con te: se ne parla poco. Troppo poco. Questo però non può impedire di parlare del conflitto Gaza/Israele e della ferocia della campagna punitiva del governo israeliano che non condivido e non condividerò mai. I giovani comunisti israeliani non vogliono questa guerra e ritengono che la propaganda del governo vada nel verso di aizzare gli animi per giustificare i più di 1300 civili palestinesi morti.
Che i palestinesi della striscia di Gaza siano poveri, senza acqua, senza medicine, senza elettricità e senza difesa, lo sai anche tu. È considerato uno dei paesi più poveri al mondo, perché dunque una ferocia simile? Quale difesa può giustificare una strage simile? So bene che ci sono stati morti anche a Israele e so bene che sostieni che i tanti morti palestinesi siano dovuti a Hamas e al fatto che abbia impedito loro di lasciare gli edifici su cui sarebbero caduti i missili israeliani. Non credo che tu possa ritenere giusto però il lancio di missili su scuole e ospedali, sulla popolazione civile, e che un “vi avevamo avvertiti” possa giustificare tanto scempio e azioni di cotanta ferocia.
Sai come ragiono e sai che sono contraria a ogni forma di guerra, di attentato, di violenza, di razzismo e dunque un’azione simile non può che trovarmi contraria. Continuerò a scrivere “io sto con i giovani comunisti israeliani. Io sto con gli israeliani che condannano questa campagna feroce”. E sono tanti. Se tu sei a favore di questa azione gigantesca di un paese gigante contro la popolazione di un paese minuscolo e povero e che vive in uno stato di estrema indigenza, allora in questa occasione la pensiamo in modo molto differente e me ne dispiaccio.
Ti abbraccio,
Giusy
agbiuso
Senza acqua, senza elettricità, tra il mare e il muro, come topi in trappola, nel terrore assoluto. A questo Israele riduce degli esseri umani. Se questo è un uomo?
agbiuso
Sono sempre più convinto di aver fatto benissimo a sostenere il Movimento 5 Stelle. Anche perché è l’unico gruppo parlamentare italiano ad aver formulato dichiarazioni come queste:
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A Gaza nelle ultime ore il bilancio è salito ad oltre 1.000 vittime, di cui 150 bambini. Circa 17 mila gli sfollati, mentre i raid dell’esercito israeliano continuano a piovere sulla Striscia colpendo indiscriminatamente scuole, ospedali e ambulanze. La Croce rossa palestinese ha parlato di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. E la realtà è che l’Operazione Margine protettivo si sta presentando come la replica dell’Operazione Piombo Fuso, ma la supererà presto in termini di orrore. Genocidio.
Non è un caso che il Consiglio Onu per i diritti umani abbia deciso di avviare un’inchiesta per accertare eventuali violazioni che potrebbero essere state compiute dall’inizio della crisi. Un’inchiesta che lo stesso premier Netanyahu non ha esitato a definire una parodia, delegittimando così l’autorità della più importante ed estesa organizzazione intergovernativa preposta al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
La nuova escalation di violenze ci ha spinto dunque a sollecitare l’azione del governo affinchè richiami il nostro ambasciatore a Tel Aviv Francesco Maria Talò, come gesto formale per esprimere la condanna dell’Italia all’uso sproporzionato della forza da parte dello Stato d’Israele. #PerCessareIlFuoco.
Abbiamo formulato 7 proposte, tra cui il blocco immediato di tutte le commesse di armi italiane nei confronti di Israele, lo stop immediato degli accordi commerciali con le aziende israeliane che operano nei territori occupati e l’obbligo per l’Ue di identificare l’origine di ogni prodotto importato dallo Stato israeliano con lo scopo di bloccare le merci fabbricate nei territori confiscati illegalmente. Infine abbiamo chiesto al governo italiano di trovare il modo di essere risarcito quando Hamas o Israele si appropriano indebitamente o distruggono aiuti e sostegni umanitari rivolti alla popolazione, com’è accaduto la scorsa settimana con il Centro per l’infanzia di Um al Nasser “La terra dei Bambini”, struttura finanziata dalla Cooperazione italiana e rasa al suolo dall’esercito israeliano.
Ciò non giustifica in alcun modo gli atti efferati portati avanti da Hamas nella Striscia e il lancio (altrettanto) indiscriminato di razzi su Israele, che deploriamo con fermezza. Ma i raid scanditi a Gaza, per il MoVimento 5 Stelle, rappresentano oggi una chiara vendetta del governo Netanyahu al sacrosanto rifiuto dei palestinesi di accettare di vivere in un Paese militarmente occupato.
Mentre in questi giorni si rincorrono le voci per l’estensione di una tregua umanitaria nella Striscia, dobbiamo infatti ricordarci che, seppur si arrivasse ad un cessate il fuoco permanente, per Gaza un ritorno alla “calma” significherebbe un ritorno all’ottavo anno di embargo, un ritorno a un tasso di disoccupazione oltre il 50 per cento, un ritorno alla chiusura dei mercati esteri, all’occupazione, alla mancanza di un sistema sanitario efficiente. Prigionia.
Israele può continuare a distruggere i razzi di Hamas, ma Hamas finirà per ricostruire le proprie basi di lancio trovando tra i parenti e gli amici dei palestinesi uccisi nuove reclute disposte al martirio. Israele può rovesciare Hamas ed occupare anche la Striscia, ma si ritroverà a combattere uno scenario ostile nel proprio territorio. Può rovesciare Hamas e provare ad interloquire con Al-Fatah, ma non otterrà alcunché, perché ogni fazione che cavalcherà verso Gaza in cima a un carro armato israeliano perderà per sempre la sua legittimità tra il popolo arabo. Israele può.
Può, se vuole, lei stessa limitare la corsa di Hamas, ad esempio revocando l’inumano blocco delle esportazioni da Gaza verso la regione, dando così nuova linfa all’economia della Striscia. L’unico modo per impedire che vi siano ulteriori vittime è aprire i confini e lasciare che i palestinesi riprendano i contatti con il mondo. Liberarli dalla dolorosa scelta di dover lavorare con Hamas per sopravvivere, o sperare al massimo nell’arrivo di un nuovo cargo di aiuti umanitari, è il primo passo da compiere per giungere a una soluzione pacifica del conflitto. La migliore strategia a lungo termine dello Stato ebraico è riservare speranza nel popolo palestinese, non annientarlo come sta facendo dall’8 luglio scorso.
Il nostro governo, che di fronte alla richiesta del Consiglio Onu per i diritti umani di aprire una commissione d’inchiesta sulle violenze ha deciso di astenersi, si faccia dunque un profondo esame di coscienza. Perché di fronte alle vittime, invece, noi ci siamo assunti oggi la responsabilità di prendere una posizione chiara a favore della pace. In attesa che il ministro Mogherini svolgesse la sua informativa urgente. Così urgente da essere presentata ben 21 giorno dopo la ripresa delle ostilità. Che tempismo”.
M5S Camera
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Fonte: Gaza o mai più!
agbiuso
Una bambina palestinese raccoglie i propri libri tra le macerie. Le auguro di leggere ancora a lungo.
agbiuso
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“Nessuna guerra è più giusta di questa. Dobbiamo essere pronti per una lunga operazione fino a che la nostra missione non sia completata”.
Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu in una conferenza stampa .
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Fonte: il Fatto Quotidiano, 28.7.2014
La “guerra giusta”, l’espressione più chiara del fanatismo e dello sterminio.
agbiuso
Come ben sai, caro Pasquale, i missili di Hamas sono soltanto un pretesto, come tanti altri che sono stati utilizzati nei settanta anni di questa guerra diventata poi un massacro unilaterale.
La realtà è che Israele è -dopo la fine del Sudafrica bianco- l’unico stato al mondo dove esista l’apartheid, l’unico stato fondato su basi razziali. Il resto è conseguenza.
Il convoglio militare armato sino ai denti suscita gli unici sentimenti possibili: ribrezzo e stizza. Ai quali aggiungerei disprezzo per l’inevitabile servilismo dei militari e odio per la violenza della quale sono portatori.
Pasquale D'Ascola
Concludo con questo pensierino della sera che ho postato ahimé in facebook, eccolo qui:
Penso che i soldati di Israele, se non fossero come tutti i soldati, adesso dovrebbero prendere e tornare a casa, disertare, ammutinarsi. Nel caso, sparare torte in faccia a chi li andasse a cercare. In ritardo ma una rivolta farebbe bene lo stesso. Garofani, garofani rossi e tirare giù la kippa dalla zucca di quell’uomo de panza travestito del primo ministro. Penso che gli israeliti italiani, almeno quelli non intimamente fascisti, dovrebbero andare a Gaza sotto bandiera neutrale a mettere cateteri, o rinunciare a un po’ di clavicembali ben temperati per temperare le matite in quello che resta delle scuole a Gaza. Penso?
Aggiungo e preciso, ce ne fosse mai bisogno, che il confronto medievale tra due pensieri unici, ebraico e islamico, con in mezzo quello cristiano, mi fa accapponare la pelle, e non mi induce nessuna simpatia né preferenza alcuna. Benché non ami nessun tipo di comunella con organismi umani mi dispiace per quelli che, per pura imprudenza, creduloneria, acquiescenza, confusioni sentimentali e facile ricattabilità rimettono la pellaccia per seguire trombe e tamburi, stelle e gottmituns. Tra hamas e tsahal non vedo la differenza, fatta salva, ripeto, quella quantitativa che è evidenza scientifica. Tra l’altro israele si è dotata di droni antimissile: ci studiassero di più e li perfezionassero e non rompessero i cabbasisi. Tra l’una dirigenza e l’altra sto dalla parte di chi ha perso il negozietto di ciabatte con cui campava una famiglia. E adesso, quale dio lo ascolta, quale sol dell’avvenire. Nada.
Lunedì sono incappato in un convoglio militare, credo americano, armato fino ai denti, elmettato, catafratto, che sostava in auto l’autostrada, poco dopo monza. Giuro che ho provato ribrezzo e stizza.
agbiuso
Sì, Pasquale, le cose stanno esattamente come tu le riassumi, esattamente.
Terrorismo storico e razziale.
Pasquale
Giusto per fare un po’ il grillo parlante e poi perché mi piace la storiografia, ricordo qui che questo di cui si tratta è il terrorismo asserito dall’Irgun fin dalla sua fondazione, si parla degli anni ’20 del secolo scorso; che i nemici a lungo furono gli inglesi da quelle parti; che lo stragismo fu l’arma diletta dell’Irgun e non in chiave difensiva, il piano fu da subito quello di buttare a mare angli e arabi; che contro gli inglesi l’Irgun arrivò a ipotizzare una alleanza con i nazisti, condiderati minor male; che il likud è un discendente diretto dell’Irgun. Non piace che si dica ma sul piano giuridico è Israele un nonsense. Molti ebrei europei lo sanno bene ma figurati chi li ascolta. Basta va che ci si fa solo del male a dire la realtà. Un caro saluto. Ci sentiamo alla conta dei morti.
agbiuso
«LEADERSHIP EBRAICA»
La «soluzione» del Likud per la Striscia
di Manlio Dinucci
Il segretario-generale dell’Onu Ban Ki-moon, all’ombra del segretario di stato Usa John Kerry di cui apprezza il «dinamico impegno», sta cercando a Gerusalemme il modo di «porre fine alla crisi di Gaza».
Sembra però ignorare che qualcuno l’ha già trovato. Il vicepresidente della Knesset, Moshe Feiglin, ha infatti presentato il piano per «una soluzione a Gaza».
Si articola in sette fasi.
1) L’ultimatum, dato alla «popolazione nemica», di abbandonare le aree in cui si trovano i combattenti di Hamas, «trasferendosi nel Sinai non lontano da Gaza».
2) L’attacco colpendo tutti gli obiettivi militari e infrastrutturali «senza alcuna considerazione per gli scudi umani e i danni ambientali».
3) L’assedio, così che «niente possa entrare o uscire da Gaza».
4) La difesa, per «colpire con la piena forza e senza considerazione per gli scudi umani» qualsiasi luogo da cui sia partito un attacco a Israele.
5) La conquista: i militari «conquisteranno l’intera Gaza, usando tutti i mezzi necessari per minimizzare qualsiasi danno ai nostri soldati».
6) L’eliminazione; le forze armate «annienteranno a Gaza tutti i nemici armati» e «tratteranno in accordo col diritto internazionale la popolazione nemica che non ha commesso malefatti e si è separata dai terroristi armati».
7) La sovranità su Gaza, «che diverrà per sempre parte di Israele e sarà popolata da ebrei».
Agli abitanti arabi, che «secondo i sondaggi desiderano per la maggior parte lasciare Gaza», sarà offerto «un generoso aiuto per l’emigrazione internazionale», che verrà però concesso solo a «quelli non coinvolti in attività anti-israeliane».
Gli arabi che sceglieranno di restare a Gaza riceveranno un permesso di soggiorno in Israele e, dopo anni, «coloro che accettano il dominio, le regole e il modo di vita dello Stato ebraico sulla propria terra» potranno divenire cittadini israeliani.
Questo piano non è frutto della mente di un singolo fanatico, ma di un uomo politico che sta raccogliendo crescenti consensi in Israele. Moshe Feiglin è il capo della Manhigut Yehudit (Leadership ebraica), la maggiore fazione all’interno del Comitato centrale del Likud, ossia del partito di governo.
Nell’elezione della leadership del Likud nel 2012, ha corso contro Netanyahu, ottenendo il 23% dei voti. Da allora la sua ascesa è continuata, tanto che in luglio ha aggiunto alla carica di vicepresidente della Knesset quella di membro della influente Commissione affari esteri e difesa.
Esaminando il piano che Feiglin sta promovendo, sia in Israele che all’estero, si vede che l’attuale operazione militare israeliana contro Gaza comprende quasi per intero le prime quattro delle sette fasi previste.
Sotto questa luce, si capisce che la rimozione dei coloni israeliani da Gaza nel 2005 aveva lo scopo di lasciare alle forze armate mano libera nell’operazione «Piombo fuso» del 2008/2009.
Si capisce che l’attuale operazione «Margine difensivo» non è contingente ma, come le altre, parte organica di un preciso piano (sostenuto per lo meno da una consistente parte del Likud) per occupare permanentemente e colonizzare Gaza, espellendo la popolazione palestinese.
E sicuramente Feiglin ha già pronto anche il piano per «una soluzione in Cisgiordania»
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Fonte: il manifesto, 25.7.2014
agbiuso
Sì, boicottare i prodotti che arrivano da Israele è uno di quei gesti che possiamo compiere per marcare il nostro dissenso rispetto a ciò che su girodivite Lucio Garofalo definisce “la ferocia criminale, disumana e reazionaria dell’estremismo nazi-sionista”.
Qui l’articolo: Gaza: scontro impari
cristina
che dire…nulla più da aggiungere…condivido dal mio “piccolissimo” l’embargo (mini) di coloro che nonn acquistano prodotti che provengono dai paesi che governano le guerre. Al primo posto (oggi) il falso Israele…ma anche le (mie) arance non dovrei acquistare perchè provenienti da chi le armi le fornisce . Dico le MIE poichè anch’io sto attenta alla provenienza degli amati agrumi dall’Italia( leggi Sicilia)…si fa quel che si può…rimane da acquistare l’infradito “made in Brasile” sperando che a produrla non siano i cinesi.
Pasquale
Nel mio particulare e benché mi piacciano assai, non compro melegrane né pompelmi di israele. E controllo la provenienza di ogni prodotto alimentare e non. Val poco il mio embargo ma non per me, mi piace il pensiero di poter nuocere ai signori della terra. Abbracci
agbiuso
Come commento a un articolo del manifesto di oggi, leggo queste parole di Maurizio Pambieri, che condivido per intero.
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Il popolo eletto avrá la terra promessa. Dietro questa “divina certezza” risiede tutto il delirio e l’ipocrisia dello Stato di Israele. Uno stato che dopo le ultime elezioni presidenziali é diventato ancor piú xenofobo, razzista , reazionario e imperialista.
Il risultato di questa politica sará quello che Israele, in fondo ha sempre cercato: l’odio !
agbiuso
“È inconcepibile che l’Italia sia il primo paese dell’Unione Europea esportatore di armi da guerra verso i paesi attualmente in conflitto in Medio Oriente.
Ho presentato un’interrogazione di estrema importanza, per sottolineare la reiterata e perseguita violazione dell’articolo 11 della Costituzione. Nei giorni scorsi, nel pieno del conflitto armato israelo-palestinese, è avvenuta la consegna ad Israele di due aerei da guerra Aermacchi M-346. Oltretutto l’azienda italiana ha, con una nota, subito espresso la propria soddisfazione per l’avvenuta consegna dei jet in tempi record.
Attendiamo ancora dei chiarimenti dal Ministro della Difesa, e dagli altri ministri competenti, che hanno permesso la consegna di aerei da guerra a paesi attualmente in aperto conflitto armato. Il bollettino di guerra, con più di 600 morti ha ormai raggiunto soglie paragonabili a quelle dei grandi conflitti della storia.
I bombardamenti, provenienti prevalentemente da e verso la Striscia di Gaza, si susseguono, in modo praticamente ininterrotto, da più di due settimane e la situazione ha già raggiunto dimensioni sociali insostenibili”.
Vincenzo Maurizio Santangelo, M5S Senato
Fonte: Aerei da guerra italiani per Israele, 24.7.2014
agbiuso
Televideo
24/07/2014 15:45
Almeno 17 morti nel bombardamenti di una scuola dell’Onu a Gaza. Circa 200 i feriti. La struttura dell’Unwra si trova a Beit Hanun, nel nord della Striscia di Gaza al momento dell’attacco ospitava molti sfollati. Intanto si aggrava ulteriormente il bilancio delle vittime palestinese, che sono oltre 750. Quasi 5.000 i feriti. I soldati israeliani uccisi sono 32 Hamas si dice pronto ad una tregua se verrà tolto il blocco a Gaza,condizione che Israele difficilmente accetterà. Il Brasile ha richiamato il proprio ambasciatore in Israele, condannando l’uso sproporzionato della forza a Gaza
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Televideo
24/07/2014 11:55
Il Consiglio dell’Onu per i diritti umani ha approvato a Ginevra una risoluzione che chiede una commissione d’inchiesta internazionale su tutte le violazioni nella Striscia di Gaza, che il premier Netanyahu ha liquidato come “una farsa”.
L’alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Pillay, ha accusato Israele di “aver commesso possibili crimini di guerra” e ha anche accusato Hamas di “attaccare i civili in modo indiscriminato”. Durante la riunione d’emergenza del Consiglio, Pillay ha citato recenti esempi di distruzione di case, civili uccisi e casi di bambini tra le vittime.
agbiuso
L’Organizzazione delle Nazioni Unite condanna «l’assalto a Gaza» e chiede una commissione d’inchiesta sulle «vaste, sistematiche e flagranti violazioni dei diritti umani e delle libertà dei palestinesi».
Gli USA votano contro e quindi si blocca tutto.
L’Italia si è astenuta.
Ecco dunque alcuni dei nomi dei complici/autori del massacro: Stati Uniti d’America e Italia. Sono cittadino di uno Stato criminale, retto da un governo di banditi.
agbiuso
Solidarietà alla Palestina, 98 premi Nobel, artisti e intellettuali chiedono un immediato embargo militare ad Israele
Israele ha ancora una volta scatenato tutta la forza del suo esercito contro la popolazione palestinese imprigionata, in particolare nella Striscia di Gaza assediata, in un disumano e illegale atto di aggressione militare. L’assalto in corso di Israele su Gaza ha finora ucciso decine di civili palestinesi, ne ha ferito centinaia e ha devastato le infrastrutture civili, compreso quelle del settore sanitario che sta affrontando gravi carenze.
La capacità di Israele di lanciare impunemente attacchi così devastanti deriva in gran parte dalla vasta cooperazione militare e compravendita internazionale di armi che Israele intrattiene con governi complici di tutto il mondo.
Nel periodo 2008–2019, gli Stati Uniti forniranno ad Israele aiuti militari per un totale di 30 miliardi di dollari, mentre le esportazioni militari israeliane verso il mondo hanno raggiunto la somma di miliardi di dollari all’anno. Negli ultimi anni, i paesi europei hanno esportato in Israele miliardi di euro in armi e l’Unione europea ha concesso alle imprese militari e alle università israeliane fondi per la ricerca militare del valore di centinaia di milioni di euro.
Le economie emergenti come India, Brasile e Cile stanno rapidamente aumentando il commercio e la cooperazione militari con Israele, nonostante il loro sostegno dichiarato per i diritti palestinesi.
Con l’importazione da e l’esportazione verso Israele di armi, insieme al sostegno allo sviluppo di tecnologie militari israeliane, i governi del mondo stanno effettivamente inviando un chiaro messaggio di approvazione per l’aggressione militare di Israele, compresi i suoi crimini di guerra e possibili crimini contro l’umanità.
Israele è uno dei principali produttori ed esportatori mondiali di droni militarizzati. La tecnologia militare di Israele, sviluppata per mantenere decenni di oppressione, è commercializzata quale «collaudata sul campo» ed esportata in tutto il mondo.
La compravendita di armi e i progetti congiunti di ricerca militare con Israele incoraggiano l’impunità israeliana nel commettere gravi violazioni del diritto internazionale e facilitano il radicamento del sistema israeliano di occupazione, colonizzazione e negazione sistematica dei diritti dei palestinesi.
Facciamo appello alle Nazioni Unite e ai governi di tutto il mondo ad adottare misure immediate per attuare un embargo militare totale e giuridicamente vincolante verso Israele, simile a quello imposto al Sud Africa durante l’apartheid.
I governi che esprimono solidarietà con il popolo palestinese a Gaza, il quale subisce il peso del militarismo, delle atrocità e dell’impunità israeliani, devono cominciare con l’interrompere tutti i rapporti militari con Israele. I palestinesi hanno bisogno oggi di solidarietà efficace, non di carità.
Firmata:
Adolfo Peres Esquivel, Nobel Peace Laureate, Argentina
Ahdaf Soueif , Author, Egypt/UK
Ahmed Abbas, Academic, France
Aki Olavi Kaurismäki , film director, Finland
Alexi Sayle, Comedian, UK
Alice Walker, Writer, US
Alison Phipps, Academic, Scotland
Andrew Ross, Academic, US
Andrew Smith, Academic, Scotland
Arch. Desmond Tutu, Nobel Peace Laureate, South Africa
Ascanio Celestini, actor and author, Italy
Betty Williams, Nobel Peace Laureate, Northern Ireland
Boots Riley, Rapper, poet, arts producer, US
Brian Eno, Composer/musician, UK
Brigid Keenan, Author, UK
Caryl Churchill, playwright, UK
China Mieville, Writer, UK
Chris Hedges , Journalist, Pulitzer Prize 2002, US
Christiane Hessel, France
Cynthia McKinney, Politician, activist, US
David Graeber, Academic, UK
David Palumbo-Liu, Academic, US
Eleni Varikas, Academic, France
Eliza Robertson, Author,
Elwira Grossman, Academic, Scotland
Etienne Balibar, philosopher, France
Federico Mayor Zaragoza, Former UNESCO Director General, Spain
Felim Egan, Painter, Ireland
Frei Betto, Liberation theologian, Brazil
Gerard Toulouse, Academic, France
Ghada Karmi , Academic , Palestine
Gillian Slovo, Writer, Former president of PEN (UK), UK/South Africa
Githa Hariharan, Writer, India
Giulio Marcon, MP (SEL), Italy
Hilary Rose, Academic, UK
Ian Shaw, Academic, Scotland
Ilan Pappe, Historian, author, Israel
Ismail Coovadia, former South African Ambassador to Israel
Ivar Ekeland, Academic, France
James Kelman, Writer, Scotland
Janne Teller, Writer, Denmark
Jeremy Corbyn, MP (Labour), UK
Joanna Rajkowska, Artist, Poland
Joao Felicio, President of ITUC, Brazil
Jody Williams, Nobel Peace Laureate, US
John Berger, artist, UK
John Dugard, Former ICJ judge, South Africa
John McDonnell, MP (Labour), UK
John Pilger, journalist and filmmaker, Australia
Judith Butler, Academic, philosopher, US
Juliane House, Academic, Germany
Karma Nabulsi, Oxford University, UK/Palestine
Keith Hammond, Academic, Scotland
Ken Loach, Filmmaker, UK
Kool A.D. (Victor Vazquez), Musician, US
Liz Lochhead, national poet for Scotland, UK
Liz Spalding, Author,
Luisa Morgantini, former vice president of the European Parliament, Italy
Mairead Maguire, Nobel Peace Laureate, Ireland
Marcia Lynx Qualey, Blogger and Critic, US
Michael Lowy, Academic, France
Michael Mansfield, Barrister, UK
Michael Ondaatje, Author, Canada/Sri Lanka
Mike Leigh, writer and director, UK
Mira Nair, filmmaker, India
Monika Strzepka, theatre director, Poland
Naomi Wallace, Playwright, screenwriter, poet, US
Nathan Hamilton, Poet ,
Noam Chomsky, Academic, author, US
Nur Masalha, Academic, UK/Palestine
Nurit Peled, Academic, Israel
Paola Bacchetta, Academic, US
Phyllis Bennis, Policy analyst, commentator, US
Prabhat Patnaik, Economist, India
Przemyslaw Wielgosz, Chief editor of Le Monde Diplomatique, Polish edition, Poland
Rachel Holmes, Author, UK
Raja Shehadeh, Author and Lawyer, Palestine
Rashid Khalidi, Academic, author, Palestine/US
Rebecca Kay, Academic, Scotland
Richard Falk, Former UN Special Rapporteur on Occupied Palestinian Territories, US
Rigoberta Menchú, Nobel Peace Laureate, Guatemala
Robin D.G. Kelley, Academic, US
Roger Waters, Musician, UK
Robin Yassin-Kassab, Writer, UK
Roman Kurkiewicz, journalist, Poland
Ronnie Kasrils, Former minister in Mandela’s gov’t, South Africa
Rose Fenton, Director, the Free Word Centre, UK
Sabrina Mahfouz, Author, UK Saleh Bakri, Actor, Palestine
Selma Dabbagh, Author, UK/Palestine
Sir Geoffrey Bindman, Lawyer, UK
Slavoj Zizek, Philosopher, author, Slovenia
Sonia Dayan-Herzbrun, Academic, France
Steven Rose, Academic, UK
Tom Leonard, Writer, Scotland
Tunde Adebimpe, Musician, US
Victoria Brittain, Playwright and journalist, UK
Willie van Peer, Academic, Germany
Zwelinzima Vavi, Secretary General of Cosatu, South Africa
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Fonte: il manifesto, 22.7.2014
Pasquale
Ecco non è nemmeno una guerra, nemmeno.P