Il 25 aprile del 1994 pioveva a Milano. Ma piazza Duomo era piena. Il partito di Berlusconi aveva vinto le elezioni e il manifesto organizzò quella grande giornata per dire che in ogni caso non eravamo rassegnati. Non amo le folle ed è da allora -vent’anni fa- che non partecipavo a una manifestazione politica di massa.
Anche il 22 maggio del 2014 è piovuto su Milano. Ma in piazza Duomo, come allora, tante persone di tutti i generi, molte sotto i trent’anni. Signori in giacca e cravatta -me compreso-, ragazzi con le magliette del M5S, coppie di anziani, signore con i loro cani, persone avvolte nelle bandiere NoTav.
Tra i primi a intervenire Aldo Giannuli, docente di scienza politica alla Statale di Milano, anarchico. Parla del sistema politico bloccato, della corruzione, delle alchimie elettorali con le quali i partiti da decenni al potere tentano di perpetuarsi.
Arriva Beppe Grillo. Mi sembra un poco stanco. Sempre plebeo. Tra le tante altre cose, dice che il comunismo è una buona idea realizzata male. Il capitalismo, invece, è stato realizzato benissimo, poiché il capitalismo è questo. «Il capitalismo non è democratico», dice. Si scaglia contro le multinazionali, contro la televisione «che è senza memoria», «contro la schifezza di questa informazione». Ricorda che i rimborsi pubblici spettanti al M5S sono stati rifiutati e messi a disposizione delle piccole imprese. In Lombardia più di 503.000 €. Parla anche del «terrore del potere», il terrore che il potere ha nel trovarsi di fronte persone non ricattabili, non complici. La parola da lui più pronunciata e ripetuta è stata «lavoro». I nomi più fischiati sono quelli di Berlusconi e di Napolitano.
Poi interviene Dario Fo, applauditissimo. Contro le ‘larghe intese’ in Italia e in Europa, contro la menzogna, contro il loro avere «un teschio invece che una faccia», grida «giù la maschera, ipocriti!» Aggiunge, ricordando un detto ripetuto anche dal Sessantotto: «Bisogna possedere la conoscenza. Il contadino conosce trecento parole, il padrone mille. Per questo lui è il padrone». Fa una breve lezione sul ‘populismo’, sulla sua etimologia e sul suo significato: «politica al servizio del popolo», politica -ad esempio- «contro la violenza dei padroni», la violenza di Marchionne. Infine recita un testo di Angelo Beolco, detto Ruzante (1496-1542): «Giustizia buona per la gente tutta […] La collettività che si fa governo. […] Nel cervello i chiodi meravigliosi della ragione […] Quando sarò disteso, vorrei che si dicesse di me: ‘Peccato che sia morto, era così vivo da vivo’».
Alle elezioni europee stavolta voterò. E voterò per il Movimento 5 Stelle. La personalizzazione della politica è uno dei più devastanti effetti della sottocultura televisiva e berlusconiana. A me non interessano Grillo o Renzi o altri nomi ma ho seguìto con attenzione in questo anno il lavoro dei gruppi parlamentari del Movimento. E a un anno di distanza sono pienamente soddisfatto dell’azione del partito per il quale ho votato lo scorso anno. Quel poco di buono che questo Parlamento ha approvato e il molto di pessimo che ha evitato sono in grandissima parte frutto della presenza dei parlamentari 5 Stelle. Coloro che nel 2013 alle politiche votarono per il Partito Democratico sono altrettanto contenti?
Voterò per il Movimento 5 Stelle per molte ragioni, soprattutto per il programma politico che intende proporre e attuare in Europa, che è questo: abolizione del fiscal compact (vale a dire -al di là del latinorum britannico dei Don Abbondio del XXI secolo- abolizione del capestro economico messo al collo degli italiani), adozione degli eurobond, esclusione del limite del 3% annuo degli investimenti in innovazione e nuove attività produttive, alleanza tra i paesi mediterranei per i comuni interessi, finanziamenti per le attività agricole finalizzate ai consumi interni, abolizione del pareggio di bilancio (inserito in modo stolto e criminale dal PD e da Forza Italia nella Costituzione, cosa che altri Stati europei si sono guardati dal fare), referendum per la permanenza o meno nell’euro.
Ma soprattutto voterò 5 Stelle perché questo Movimento dice oggi quello che una volta diceva la sinistra, è oggi quello che una volta era la sinistra, perché è l’unica speranza istituzionale per l’Italia e per l’Europa, per le classi sfruttate, per gli imprenditori disperati, per i giovani senza futuro. Per noi.
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Altre ragioni sono efficacemente indicate da un ironico Appello agli elettori del collega e amico Prof. Elio Rindone.
Scrivo qui sotto i nomi che indicherò sulla scheda elettorale. Li ho selezionati scorrendo le biografie, le intenzioni, i video dei candidati della circoscrizione Italia Nord ovest. Si tratta di Fabrizio Bertellino (prov. di Torino), Marika Cassimatis (Genova), Marco Sayn (Val Susa).
34 commenti
agbiuso
Per cinque anni la miserabile stampa italiana ha nascosto in ogni modo la VOLONTARIA rinuncia degli eletti del Movimento 5 Stelle a parte del loro stipendio. Ne fa ora un caso per l’inadempienza di pochi, tacendo dei piddinitaloforzuti che hanno devastato l’Italia e continuano a spolparla.
Senza una stampa almeno un poco libera, democrazia è parola vuota.
Leggo su Televideo la seguente notizia
13.2.2108 – 15.38 “Alcuni portavoce hanno violato le nostre regole e non hanno donato tutto quello che avrebbero dovuto, tradendo i nostri principi. Saranno cacciati”. Lo scrive su Facebook Di Maio, candidato premier del M5S “Renzi ci ha paragonati a Craxi e al mariuolo Chiesa,colto in flagrante mentre accettava una tangente. Non mi stupisce che non comprenda la differenza”, aggiunge. I parlamentari Pd “non hanno restituito un centesimo. L’unica cosa che Renzi ha restituito agli italiani è il traditore della patria Berlusconi“.
Esatto.
agbiuso
Il grilletto facile contro i grillini
di Saverio Lodato
Antimafia Duemila – 17 Gennaio 2018
Si apprendono molte cose guardando la televisione in questi giorni di agonia preelettorale. Saltando da un canale all’altro, la situazione non cambia, ritrovandosi lo spettatore di fronte a un assortimento di facce di opinionisti che son sempre gli stessi, sono giustamente animati dal medesimo punto di vista, arretrano o incalzano a seconda di chi sia l’interlocutore di turno. E ne avremo ancora per altre sei settimane.
Ma non può sfuggire a nessuno che per la stragrande maggioranza dei media, il Pericolo Pubblico Numero 1 è ormai rappresentato dai 5 Stelle, che i sondaggi, per quel che valgono i sondaggi, danno come il partito di massimo gradimento degli italiani.
I grillini?
I grillini sbagliano i congiuntivi, difettano di democrazia interna, sono di proprietà della Casaleggio associati, non vogliono vaccinare la gente, vogliono stare fuori dall’euro, sono inesperti nell’arte di governare, vogliono garantire lo stipendio fisso a giovani fannulloni per starsene a casa, fingono spudoratamente di non essere di destra, di centro o di sinistra perché alla Geometria Parlamentare non è mai sfuggito nessuno, sono responsabili dei maiali in libera uscita per le strade di Roma, di “Spelacchio” che doveva essere più agghindato, pretenderebbero di imporre centomila euro di multa ai “voltagabbana” di Camera e Senato quando sanno benissimo che nessuno li caccerà mai fuori, hanno i loro begli avvisetti di garanzia ma fanno i moralisti con gli avvisi degli altri, sono populisti, demagoghi, ciarlatani, come si conviene a un movimento che è stato costruito su misura da un ex comico.
Sono solo alcune delle contestazioni – l’elenco completo sarebbe assai più lungo – che gli opinionisti dalle idee fredde, ma dal cuore caldo, rovesciano un giorno sì e l’altro pure sui 5 Stelle, o in TV, o sui giornali.
Stando all’Agcom, i giornalisti che vanno in televisione dovrebbero, prima di entrare in salotto, rivelare come la pensano, svelare le loro appartenenze politiche, mettendo così lo spettatore in condizione di capire a che gioco si stia giocando. In tanti, hanno protestato vivacemente, ritenendola una richiesta da regime autoritario, e benissimo hanno fatto a protestare. Ci mancherebbe.
Ma il fatto è che, forse, lo spettatore si rende benissimo conto che la stragrande maggioranza degli opinionisti entra in salotto con lo scopo dichiarato di “dagli al grillino”.
Ma vedete, ci sono giorni in cui non è il grillino ad avere le luci della ribalta, bensì i rappresentanti di tutti gli altri schieramenti politici. Fateci caso: in quel caso – la ripetizione è inevitabile – la musica cambia, eccome se cambia. E’ tutta un’altra musica.
Non ci sono gli interrogatori di terzo grado. Non si accendono lampadine in faccia alla preda di turno.
Non si toglie la parola all’interpellato se sta andando – come si dice calcisticamente – in rete, non si manda la pubblicità a tradimento, non si gioca di telecamera, non si adoperano giudizi sgradevoli, non si da mai niente per scontato, sebben certe cose siano scontatissime ormai agli occhi degli italiani, insomma si suona il violino in comune, a due mani, nella convinzione – per carità legittimissima – che nessuno degli altri partiti, che presenteranno le loro liste, costituisca un Pericolo Numero 1 per la Nazione Italia come lo costituiscono i 5 Stelle.
Però, così, il gioco è dopato.
Abbiamo fatto l’elenco, all’inizio di queste righe, di tutte le nefandezze contestate al movimento che, sino a prova contraria, i sondaggi danno come il più amato dagli italiani.
Piccola parentesi: gli opinionisti amano sdraiarsi su una rappresentazione dei comportamenti elettorali che vedrebbe centro destra, centro sinistra, e 5 Stelle, più o meno sulla stessa dirittura d’arrivo.
E’ diventata una vulgata bislacca, contro la quale non si può far nulla. Salvo poi scoprire: 1) che il PD veleggia grosso modo 5 punti al di sotto dei 5 Stelle, avendo perso quasi la metà di quel quaranta per cento ottenuto alle ultime europee, e avendo governato per quattro anni e continuando a governare; 2) che a votare per Forza Italia – è sempre ai sondaggi che ci riferiamo – sono l’esatta metà degli elettori dei 5 Stelle; 3) che lo stesso discorso vale per quelli della Lega. 4) particolare non secondario che la legge elettorale, il Rosa Porcellum, è stato approvato da tutti gli altri proprio per fregare i 5 Stelle.
Per chiudere la parentesi: forse gli opinionisti potrebbero cercare di capire, e spiegarci, come mai, nonostante tutto, gli italiani si siano infatuati di un movimento che sbaglia clamorosamente i congiuntivi, che si è ridotto drasticamente lo stipendio (ogni tanto, non sempre, ma andrebbe pur sempre ricordato), e che in tutta evidenza non viene percepito come il Flagello del Populismo Antisistema.
Come mai?
Ma non vogliamo farla troppo lunga.
Prima di arrivare alla fine di questa campagna elettorale, ci piacerebbe sentire che in televisione si ha il coraggio di fare anche altre domande. Per esempio.
Qualcuno, nella tv pubblica o in quelle private, avrà il coraggio di interrompere Silvio Berlusconi mentre promette una durissima lotta all’evasione fiscale con questa semplice domanda: “ma scusi, onorevole Berlusconi, ma lei non è stato condannato in via definitiva per frode fiscale?”. E qualcuno arriccerà il naso di fronte alla dicitura del simbolo Forza Italia “Berlusconi presidente”, visto che Berlusconi è impresentabile, ineleggibile, già interdetto dalla vita politica?
Qualcuno di quelli che se hanno davanti il grillino ci vanno giù duro su “Spelacchio”, quando si troveranno di fronte Matteo Renzi, riusciranno a chiedergli conto, in maniera altrettanto forte e chiara, delle segnalazioni finanziarie al suo patron, l’ingegner Carlo De Benedetti, al fine di fargli raggranellare una manciata di “appena” seicento mila euro?
E invece. Guardate come lo difendono: “ma la notizia già era nota negli ambienti degli addetti ai lavori, e come mai De Benedetti si accontentò “solo” di seicentomila euro quando grazie a Renzi avrebbe potuto investire e guadagnare molto di più?…”
Certo: questa sarebbe anche materia da magistratura romana. Ma in questi casi, la magistratura romana, prima di archiviare tutto – come ha fatto, e non solo in questo caso – incardina sempre una sua bella indagine sulla “fuga di notizie”. E tutto si sistema.
Quanto a Salvini, è persino vietato far domande.
Il suo potremmo infatti definirlo il movimento dei “razzisti che sbagliano”, ma che almeno non sbagliano i congiuntivi…
Insomma, son bravi ragazzi.
Abbiamo solo cercato di spiegarvi il titolo di questo articolo: “il grilletto facile contro i grillini”.
Chissà come gli girerà agli italiani il prossimo 4 marzo.
(Sia chiaro, a scanso di equivoci: neanche noi abbiamo deciso come ci comporteremo il 4 marzo).
agbiuso
agbiuso
La corruzione è una metastasi che sta divorando l’Italia.
Anche per questo il Movimento 5 Stelle è l’unica alternativa parlamentare.
agbiuso
L’originale è il MoVimento 5 Stelle #NoAlleImitazioni
di Beppe Grillo
Dal 2009 vanta innumerevoli tentativi di imitazione. Non è la storica rivista di enigmistica, ma il MoVimento 5 Stelle che secondo i sondaggi è la prima forza politica italiana. Ai partiti, che ormai non hanno più uno straccio di idea, è rimasta un’unica soluzione: copiare. O meglio: annunciarlo, perchè poi continuano a fare quello che fanno sempre. Il loro tentativo ricorda il restauro maldestro di Cecilia Gimenez sul dipinto “Ecce Homo”. Ricordate? Questi furono i disastrosi risultati.
Quelli dei partiti sono altrettanto divertenti. Il Reddito di cittadinanza (sostenuto da persone del calibro di Elon Musk) diventa “lavoro di cittadinanza” per Renzi e Berlusconi, cosa sia però non si sa. Emiliano propone al Pd di creare una “piattaforma digitale” che “possa costantemente essere collegata e consultata. Ogni tesserato sarà coinvolto nella scrittura dei programmi e nella loro attuazione, a qualsiasi livello territoriale, e verrà consultato sulle scelte strategiche”. Che idea rivoluzionaria! E Renzi, anziché ritirarsi dalla politica come aveva promesso, ieri ha annunciato: “Domenica presenteremo la nostra piattaforma sul web. Si chiamerà non ‘Rousseau’, ma Bob, come Bob Kennedy. Chi vorrà avrà la sua password con il suo pin. È la piattaforma che si collega con le feste dell’Unità. Non lasceremo la straordinaria invenzione del web nelle mani di chi fa business e soldi con gli ideali degli altri”. Renzi: facce Tarzan! Fino a ieri ci prendevano in giro perchè eravamo quelli della Rete, della democrazia diretta e ora vogliono copiarci pure su questo. Anche qui però: come non si sa e il risultato è lungi dall’essere garantito. Il Pd è un partito, ha una struttura novecentesca dove comandano poche persone, che gestiscono milioni di euro pubblici, che nominano amici e trombati nelle partecipate, che controllano e affossano banche. Non basta certo un sito web per avere una cultura diffusa della democrazia diretta e partecipata.
Per copiare il MoVimento 5 Stelle sui rimborsi elettorali hanno fatto finta di abolirli, ma continuano a prenderli assieme al due per mille che sono sempre soldi pubblici. Le province hanno fatto finta di eliminarle e invece sono ancora lì. Per copiarci sull’Europa ogni tanto alzano la voce contro la Merkel, ma poi tornano ad abbassare la testa. Sulle auto blu dicono che vogliono venderle, ma poi le usano assieme agli aerei blu e agli elicotteri blu. Sugli stipendi dei parlamentari invece non fanno nulla e dicono che siamo populisti! La scelta ormai è tra le idee del MoVimento 5 Stelle e la loro finta e malriuscita brutta copia. L’originale è sempre meglio.
Il MoVimento 5 Stelle è aperto a tutti i cittadini. Non ci sono tessere da pagare. E’ sufficiente iscriversi e certificare la propria identità per partecipare attivamente alla politica italiana tramite Rousseau. Con il MoVimento 5 Stelle è il cittadino che fa politica, il politico è solo un portavoce della volontà della comunità degli iscritti e per un periodo limitato (massimo due mandati elettivi). Il nostro obbiettivo è di eliminare qualsiasi intermediazione tra il cittadino e lo Stato. Il MoVimento è senza soldi, non ha tesorieri e finanzia la sua attività solo con le piccole donazioni dei sostenitori. Il MoVimento non ha sedi e non ha capibastone. La democrazia diretta è la strada da percorrere ed è possibile grazie al web. Tutti i cittadini onesti e di buona volontà che vogliono scrivere il futuro del Paese lo facciano insieme a noi! Perchè l’originale è il MoVimento 5 Stelle.
agbiuso
L’articolo ben documenta il trattamento speciale riservato al Movimento 5 Stelle e alla sindaca Raggi.
La legge NON è uguale per tutti, anche perché i grandi giornali –Corriere della Sera e Repubblica-, i loro padroni, i partiti, i magistrati loro amici, NON possono perdonare al Movimento e alla sindaca la perdita dei lauti guadagni e delle tangenti già pregustate e sperate con le Olimpiadi a Roma.
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Ora ci divertiamo
di Marco Travaglio | il Fatto Quotidiano, 26.1.2017
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Evviva evviva! Da 23 anni, da quando B. scese in campo, martelliamo la classe politica perché proibisca duramente per legge i conflitti d’interessi. E ora scopriamo che non c’è bisogno di leggi: il conflitto d’interessi è già severamente punito. E sul piano penale. È infatti per non aver impedito il conflitto d’interessi di Raffaele Marra, capo del Personale che seguiva i concorsi e le promozioni dei dirigenti comunali, compreso il fratello Renato, che Virginia Raggi è indagata con lui per abuso d’ufficio: lui per aver violato il Codice deontologico dei dipendenti comunali, lei il Regolamento di Roma Capitale. Abuso che, per l’accusa, si trascina dietro anche un falso: infatti la sindaca dichiarò all’Anticorruzione di aver deciso in totale autonomia di promuovere Renato Marra da dirigente dei vigili (fascia 1) a capo della Direzione Turismo (fascia 3), per risarcirlo della rinuncia alla sua vera aspirazione – il comando della Polizia municipale (fascia 5) – ed evitare un suo ricorso al Tar per l’ingiusta esclusione. E questa sarebbe una bugia, perché Raffaele avrebbe avuto un ruolo attivo nella nomina di Renato.
Al momento, cos’abbia fatto davvero Raffaele e dunque se la sindaca abbia abusato del suo ufficio e mentito oppure no, non lo sa nessuno. La Raggi ripete di aver deciso la promozione di Renato con l’assessore al Commercio Meloni, che aveva apprezzato il lavoro del dirigente nei blitz contro l’abusivismo commerciale. Vedremo se, nell’interrogatorio del 30 gennaio, riuscirà a convincere i pm. Nella famosa chat del quartetto Raggi-Frongia-Romeo-Raffaele Marra, non c’è nulla che confermi né smentisca la versione della sindaca. Che, a quanto risulta, si limitò a chiedere al suo capo del Personale quali fossero le procedure previste dalla legge e quale aumento di stipendio comportasse la promozione del fratello. In ogni caso, quando l’Anac di Cantone ha girato il rapporto alla Procura di Roma, questa non poteva far altro che aprire un fascicolo, iscrivere la Raggi (e Marra) sul registro e convocarla con invito a comparire per interrogarla. Ma il risultato è che, per la prima volta a memoria d’uomo, almeno su un politico di peso, il conflitto d’interessi innesca un processo penale. Splendida notizia: se il nuovo rito capitolino dovesse contagiare le altre Procure, si salverebbero in pochi. Resta il rammarico che la nuova giurisprudenza, inaugurata in esclusiva mondiale da Raggi e Marra, sia stata scoperta solo ora. Bastava un mese di anticipo, e la stessa Procura avrebbe faticato a chiedere l’archiviazione per Gianluca Gemelli.
Cioè il compagno lobbista della ministra Federica Guidi, che reclamava e otteneva emendamenti à la carte dal governo dell’amata. Anzi, in base al lodo Raggi-Marra, avrebbe dovuto indagare pure l’ex ministra. E pure Maria Elena Boschi, per tutti i Consigli dei ministri cui ha partecipato per discutere di banche, fra cui l’Etruria già vicepresieduta da suo padre. Se poi, Dio non voglia, il vento di Roma dovesse soffiare fino a Milano, il sindaco Sala – oltreché per le false dichiarazioni con ville e società dimenticate e per il taroccamento della principale gara d’appalto di Expo – verrebbe ipso facto inquisito per aver promosso assessore al Bilancio non il parente di un collaboratore, ma direttamente il suo socio in affari. Idem l’ex ministra Cancellieri, per le telefonate – ritenute non penalmente rilevanti perché “solo” in conflitto d’interessi – in cui perorava la scarcerazione della figlia di Ligresti, datore di lavoro di suo figlio. Quella di Napoli dovrebbe procedere a pie’ fermo su Vincenzo De Luca, governatore della Campania che tratta i fondi regionali al Comune di Salerno con l’assessore al Bilancio Roberto De Luca, suo figlio. E quella di Bologna dovrebbe rivedere il caso dell’ex governatore Vasco Errani, ora commissario al terremoto, la cui giunta finanziò con un milione la coop del fratello per una cantina sociale mai nata. Ma dovrebbe mobilitarsi, e alla svelta, anche la Procura di Firenze, per i possibili conflitti d’interessi fra papà Renzi e il premier Renzi e fra l’allora sindaco Matteo e l’amico Marco Carrai, che mentre gli metteva a disposizione un appartamento gratis in centro città, ne veniva nominato capo di Firenze Parcheggi e Aeroporti Firenze.
Siccome, poi, nel caso Raggi-Marra c’è di mezzo l’Anac, la Procura di Roma ha l’occasione di proseguirne l’opera occupandosi dell’ad Rai Antonio Campo Dall’Orto, a proposito degli 11 dirigenti esterni ingaggiati a peso d’oro senza job posting fra gli interni: a cominciare da quel capolavoro di conflitto d’interessi chiamato Genséric Cantournet, nuovo capo della Security fatto selezionare da Cdo a una società di provata indipendenza: quella di suo padre. Ma, volendo, ci sarebbe pure la spiacevole vicenda di Alessandro Alfano, fratello del ministro Angelino, assunto come dirigente dalle Poste e pagato 200 mila euro l’anno per non firmare un solo atto. Per non parlare di B., che dal 1994 al 2011 legiferò e decretò decine di volte per i suoi processi e le sue aziende: prima che scatti la prescrizione, si fa in tempo a dargli l’ergastolo. E noi che, malfidati, eravamo rassegnati a considerare queste vicende eticamente imbarazzanti, ma penalmente irrilevanti per vuoto normativo. Ora che invece il conflitto d’interessi diventa reato per Raggi e Marra, siccome la legge è uguale per tutti, ci divertiremo un mondo. O no?
Ps. Ieri, c.v.d., la Consulta ha stabilito che Renzi e la sua maggioranza (la stessa di Gentiloni) non hanno violato un codice deontologico o un regolamento comunale: hanno calpestato la Costituzione due volte in una sola legge. Chissà oggi lo sdegno dei giornaloni e dei telegiornaloni. O no?
agbiuso
No alle Olimpiadi, Roma è salva! (ma a sinistra c’è chi si strappa i capelli)
di Marco D’Eramo
Micromega, 28.9.2016
Di una cosa noi romani saremo eternamente grati a Virginia Raggi: di averci liberato dalle Olimpiadi del 2024 che avrebbero inferto il knock-out finale a una città già allo stremo. Qualunque cosa si possa dire della sindaca di Roma – e se ne possono dire tante –, qualunque errore abbia commesso o commetterà, qualunque impresentabile figuro o figura abbia proposto come assessore/a, la nostra gratitudine per questa semplice rinuncia è immensa.
Altrettanto sospetti e strumentali sono gli attacchi feroci – al limite della sguaiatezza – a questa decisione e a chi l’ha presa, soprattutto da parte di organi di stampa che si autoproclamano “voci della borghesia laica e illuminata”. È curioso che i “populisti” dei 5 Stelle siano sbertucciati e vilipesi perché rifiutano di praticare la millenaria ricetta populista del panem et circenses (in questo caso addirittura dei circenses senza nemmeno il panem).
Altrettanto curioso è che i sostenitori della candidatura olimpica omettano di citare le città di Amburgo e di Boston, ambedue molto più prospere, e in salute nettamente migliore di Roma. Amburgo è una florida (e splendida) città portuale, patria della più raffinata borghesia tedesca, discendente della Lega anseatica; Boston è la città dell’aristocrazia Wasp della finanza statunitense, la sua centrale, idilliaca Beacon Hill conta più miliardari per metro quadro di qualunque luogo sulla terra; per di più Boston ospita nei suoi suburbi l’università di Harvard, l’Mit (Massachusetts Institute of Technology), e il più innovativo distretto tecnologico della costa orientale. Per ospitare un torneo olimpico le due città sono dunque infinitamente meglio attrezzate di quest’urbe smandrappata (termine romanesco assolutamente pertinente). Eppure sia gli amburghesi che i bostoniani hanno deciso di ritirare la candidatura delle loro città. A Boston un sondaggio del marzo 2015 dava un 52% di contrari. Gli amburghesi la candidatura l’hanno addirittura bocciata con un referendum nel novembre dell’anno scorso. Per la nostra borghesia poco laica e per niente illuminata, sono tutti pazzi gli amburghesi e i bostoniani, tutti incoscienti incapaci di cogliere un’imperdibile occasione storica?
O magari amburghesi e bostoniani hanno studiato cosa è successo ad Atene dopo le Olimpiadi del 2004 e a Rio de Janeiro dopo quelle di quest’anno. Il torneo del 2004 è costato ai greci 9 miliardi di euro (senza contare la costruzione del nuovo aeroporto e della metropolitana): “Molti stadi e impianti costruiti a così caro prezzo caddero in abbandono. Nel sud di Atene un lungomare di 2 chilometri che collegava tre stadi usati per i Giochi è diventato una discarica di immondizia e rifiuti. Il governo sta cercando di vendere un vicino sito olimpico, un’area di 650 ettari a Hellenikon, dopo che non è riuscito a svilupparla con profitto”.
Per non parlare di Rio: i giochi estivi dovrebbero essere costati solo (!!) 4,6 miliardi di dollari (uso il condizionale perché poi si scopre che queste cifre sono sempre sottostimate e perché alcune altre stime parlano di 18 miliardi di dollari), ma questo solo perché molte infrastrutture erano state già realizzate e molti stadi già costruiti per i mondiali di calcio brasiliani di due anni prima che loro erano costati 15 miliardi di dollari. Comunque i costi di questi appuntamenti sportivi sono andati aumentando: le Olimpiadi di Pechino del 2008 sono costate ufficialmente 7 miliardi ma il loro budget totale ha superato i 40; il campionato del mondo di calcio sudafricano è costato 12 miliardi di dollari; i Giochi di Londra del 2012 ufficialmente12 miliardi, ma i costi totali hanno sforato i 20 miliardi. I giochi invernali del 2014 di Sochi in Russia sono costati 21 miliardi di dollari.
Andrebbe ricordato che la città di Roma è indebitata per 17 miliardi di euro e che tra questi debiti vi sono anche i risarcimenti degli espropri di aree per le Olimpiadi del 1960 (le uniche, tra l’altro per cui non è stata mai fornita la cifra del costo totale, come si vede dalla tabella pubblicata dall’Oxford Olympic Study 2016.
Tutti gli studi più seri dicono che un’Olimpiade estiva oggi non può essere organizzata con meno di 10 miliardi di dollari, e gli stessi studi dicono che nessun torneo è mai riuscito a ripagarsi i costi, anzi che di solito i costi oscillano tra il doppio e il triplo delle entrate. Che cioè per organizzare le Olimpiadi bisognerebbe raggranellare almeno 7 miliardi a fondo perduto, sette miliardi di cui dovrebbe farsi carico lo stato centrale vista la situazione finanziaria della città. Questi soldi andrebbero raschiati da altre voci dello stato, dalla sanità all’istruzione alle infrastrutture utili.
Il problema vero però è costituito solo in parte dalla spesa, ma soprattutto dal metodo della spesa.
Il vantaggio che hanno gli appuntamenti sportivi su tutte le altre “grandi opere” è che sono appunto, “appuntamenti”, cioè hanno una insormontabile scadenza temporale: tutto deve essere pronto al fischietto d’inizio o il giorno della cerimonia d’inaugurazione. Ed è questa scadenza che non solo permette, ma rende inevitabile la corruzione a una scala impensabile per altre opere. Si sa che la corruzione interviene non solo e non tanto al momento della gara d’appalto (quando gara c’è), ma soprattutto nelle revisioni al rialzo dei preventivi.
È con queste revisioni – che lievitano i costi – che viene realizzato il maggiore profitto corruttivo. La ditta vince l’appalto facendo un’offerta stracciata per i lavori, ma poi in corso d’opera “scopre” che sono necessarie, indispensabili varianti d’opera che ne decuplicano il prezzo. Ora lo strepitoso vantaggio delle grandi opere per gli appuntamenti sportivi è che basta ritardare i lavori a piacimento per ottenere tutte le rivalutazioni di prezzo che si vogliono, perché l’argomento è che “non c’è tempo”. Non c’è tempo per affidare l’appalto a un’altra ditta, non c’è tempo per esaminare con scrupolo le varianti addotte, non c’è tempo per revisionare i preventivi, e così via. Tutto va fatto entro la scadenza stabilita letteralmente “a qualunque prezzo”.
I risultati si vedono. La città di Roma è ancora ferita dai mondiali del 1990. Simbolo del disastro, quello che fu presentato come l’Air terminal di Ostiense, abbandonato poco dopo la fine dei Mondiali (costo 350 miliardi lire, 180 milioni di euro) e recuperato dalla fatiscenza nel 2012 da Oscar Farinetti per la catena di grandi negozi di cibi di qualità “Eataly” e, poco dopo, fino all’anno scorso, anche come stazione di partenza dei treni veloci del Consorzio Italo, del quale – ironia della sorte – lo stesso Montezemolo è stato presidente. Non a caso lo stesso Montezemolo è presidente del comitato promotore della candidatura alle Olimpiadi del 2024.
Qualunque cittadina/o assennata/o sarebbe perciò felice di seguire l’esempio amburghese e bostoniano. Invece no, tutti a strapparsi i capelli perché non si potrà mangiare sulle grandi opere di Roma 2024. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha detto a 8 e mezzo che grandi opere non vuol dire corruzione. O ci fa o ci è. Tanto che proprio ieri ha riproposto il fantomatico ponte sullo Stretto di Messina per creare 100.000 posti di lavoro (ricorda qualcosa o qualcuno?). Ma a questi propositi applaudono i discendenti di quel settimanale che nel 1956, sessanta anni fa tondi tondi, pubblicava un’inchiesta di Manlio Cancogni sulla corruzione edilizia di Roma, “Capitale corrotta – nazione infetta”. Quel settimanale era L’Espresso che oggi viene veicolato la domenica dal quotidiano paladino di Renzi e delle sue Olimpiadi.
agbiuso
No definitivo alla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024 poiché #PrimaIRomani.
Le promesse elettorali sono state rispettate.
Da cittadino italiano sono orgoglioso delle decisioni del sindaco Raggi e del Movimento 5 Stelle.
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No alle Olimpiadi del mattone
di Virginia Raggi
Speculazione edilizia, affari per le lobby, impianti mai completati, strutture abbandonate, debiti e sacrifici per i cittadini. Siamo contrari alla candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024 perché non vogliamo ipotecare il futuro dei romani e degli italiani in cambio dell’ennesima promessa da parte di chi finora non ha mai mantenuto la propria parola. Abbiamo sotto gli occhi cosa hanno lasciato gli ultimi “grandi eventi” che avrebbero dovuto risollevare il Paese: i cantieri incompiuti dei Mondiali di nuoto di Roma del 2009, le infrastrutture abbandonate dei Giochi invernali di Torino 2006, il fallimento di Expo Milano 2015, il flop dei Giochi del Mediterraneo di Pescara 2009; la ricostruzione infinita dell’Aquila dopo il terremoto; la colata di cemento sull’isola La Maddalena in Sardegna che avrebbe dovuto ospitare il G8 del 2009. E i miliardi di euro di debito che gli italiani continuano a pagare mentre qualcuno si è arricchito alle loro spalle. Sembra incredibile ma da poco abbiamo terminato di pagare il mutuo per i Mondiali di calcio del 1990.
Abbiamo studiato bene il dossier Olimpiadi. Abbiamo visto cosa è accaduto ad Atene 2004: un grande sogno che si è trasformato in un incubo per tutti i greci messi ora in ginocchio da chi li aveva illusi. E a Londra 2012 non è andata meglio: spese cresciute del 76%. Peggio ancora a Sidney 2000: costi cresciuti del 90%. Per non parlare di Atlanta 1996: un incremento del 151%. Infine, c’è Montreal, dove si è raggiunta la vetta di un aumento del 720% rispetto al budget iniziale previsto. Non lo diciamo noi, ma uno studio dell’Università di Oxford del 2016. Mancano ancora i dati di Rio 2016: le immagini delle proteste in strada lasciano intendere cosa ne pensino i brasiliani.
L’organizzazione di un grande evento, come i Giochi, ci sembra un buon affare per le lobby. Siamo contrari ad una logica emergenziale o al ricorso alla straordinarietà della gestione pubblica. Roma e l’Italia hanno bisogno di una ordinaria buona gestione: senza sprechi, senza favori agli amici, senza privilegi per le varie caste. Abbiamo un progetto su Roma molto più ambizioso di quello presentato per ospitare i Giochi del 2024: restituire la città ai romani e agli italiani. Vogliamo riqualificare i servizi, ottimizzare le infrastrutture esistenti e progettare un futuro sostenibile nel quale nessuno resti indietro.
Chiedete ad un romano cosa pensa dello scempio dei Mondiali di nuoto del 2009. Chiedete ad un disabile che ogni giorno deve superare barriere architettoniche. Chiedete a chi porta i propri figli in scuole sprovviste di palestre o impianti che, peggio, cadono a pezzi. E’ meglio avere l’ennesima cattedrale nel deserto o investimenti mirati a migliorare la vita quotidiana di tutti?
Non siamo dei folli ma delle persone normali, dei cittadini. Questo tipo di valutazioni le hanno già fatte gli abitanti di Boston, Amburgo, Madrid: hanno rinunciato alla candidatura perché hanno altre priorità. Le nostre priorità sono quelle dei cittadini di Roma e degli italiani. Per questo continueremo ad impegnarci per far tornare Roma una città con una qualità della vita a livello delle principali capitali europee. Interverremo sugli impianti sportivi comunali della città con nuovi criteri di gestione e puntiamo a tariffe più accessibili per il loro utilizzo. E proveremo a rimediare anche agli errori degli altri: vogliamo trasformare i cantieri fatiscenti e incompiuti della Città dello Sport in una “vela della conoscenza” grazie ad un accordo che stiamo per siglare con l’Università di Tor Vergata.
Biuso
Così comincia un articolo di Bia Sarasini sul manifesto del 21.6.2015
Buttarsi a sinistra
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Chi vota a sinistra preferisce di no. È il messaggio più chiaro che viene dalle urne, dopo la definitiva e amara chiusura di una tornata elettorale che ancora una volta cambia le carte in tavola della scena politica italiana.
Un messaggio che va oltre il tracollo del Pd, travalica la baldanza della destra con la faccia feroce di Salvini e della Lega, il consolidamento nei territori dei M5S, proiettati su una dimensione di governo. Preferiscono di no, gli elettori e le elettrici di sinistra. Preferiscono non votare, e se votano, allora scelgono M5S. Almeno sembra utile.
È la fine non della storia, ma di una storia, proprio come se fosse una storia d’amore. E come nella fine degli amori quello che si perde sono le parole, i luoghi, i riti. Quello che aveva un senso unico e speciale, e brillava di una chiarezza luminosa di immediata comprensione, d’improvviso si spegne, ritorna parola e luogo anonimo, indistinguibile tra gli altri. Si scioglie il legame stringente, sembra che nulla riesca più ad accendere la passione. Rimangono ricordi, memorie, a volte brevi fiammate.
Il linguaggio amoroso restituisce e chiarisce più di altri, a me sembra, quanto avviene. E ben di più dell’uso indiscriminato della categoria dell’antipolitica rende ragione della fine dell’avventura. Non siamo negli anni Novanta, e neppure nel primo decennio del Duemila. Non è solo né principalmente il rancore, che tanto si è analizzato in passato, il motore della nuova astensione e dei nuovi flussi di voto. Gli elettori e le elettrici che hanno preferito di no, in questa tornata elettorale, quelli con radicate scelte di sinistra, come già si era visto in Emilia Romagna lo hanno fatto per scelta politica. Quasi un atto estremo, disperato, forse, ma l’unico possibile. Per dire che non ci credono più. Non credono più all’insieme di sigle che a ogni competizione elettorale si presentano a garantire con i loro richiami al passato comune la continuità di una storia. Perché in realtà non garantiscono nulla. Da tempo. Perché quella storia non c’è più.
È un punto di non ritorno, in cui è essenziale la comprensione di quanto avviene, nel gioco delle forze come nel dispiegarsi dei sentimenti. Per questo non è il momento di rinvii o indugi. Bisogna buttarsi nell’impresa, dove si è, come si è.
agbiuso
Una sconfitta che riapre i giochi
Norma Rangeri, il manifesto, 2.6.2015
L’arroganza renziana è stata punita e anche quella del suo Pd. E adesso si riaprono i giochi sia all’interno della Sinistra che nel Paese. Perché dopo il voto di domenica non è affatto scontato che la legislatura duri fino al 2018. E l’immagine di Renzi in tuta mimetica mentre visita i militari in Afghanistan è perfettamente in linea con quel che l’aspetta in Italia.
Eppure tra tutte le istantanee della lunga notte elettorale, quella del berlusconiano Toti che brinda e fuma per la vittoria in Liguria, interpreta al meglio lo schiaffo preso dal premier e le novità politiche prodotte dal voto. Fuori ogni previsione, una vittima sacrificale buttata nella mischia per la sopravvivenza di Forza Italia vince, e diventa presidente di Regione in una delle roccaforti della sinistra tradizionale, grazie ai voti decisivi della Lega. La Liguria è una sintesi: da una parte la vittoria del centrodestra unito e a trazione salviniana, dall’altra la sconfitta del Pd a ex vocazione maggioritaria, perché non ha più la forza trainante del consenso, e perché a sinistra si apre un’altra, inaspettata, possibilità.
È vero che il Pd vince in 5 Regioni su 7, strappando la Campania alla Destra. Ma il puzzle politico italiano è racchiuso nel risultato ligure ed è ridicolo addossare il tracollo del partito dal 42 per cento delle europee al 27 per cento attuale (e impresso nella triste parabola di una candidata tanto sponsorizzata quando invisa all’elettorato), al «traditore» Luca Pastorino, spinto da due neo-ex come Cofferati e Civati, i famosi «masochisti 2.0». Intanto perché chi ha votato Pastorino non avrebbe votato per la renziana Paita. Ma c’e l’esempio del Veneto. Nonostante la spaccatura e il 14 per cento di Tosi, il leghista Zaia ha addirittura trionfato.
Volendo girare il coltello nella ferita, andrebbe sottolineato che le uniche due ultras renziane (Paita e Moretti), hanno preso una vera batosta, personale e come rappresentanti del Pd. E questo è un flop sul quale il segretario/premier farebbe bene a riflettere. Gli altri candidati vincenti del Pd (come Emiliano, De Luca, Rossi) anche se hanno corteggiato e blandito Renzi negli ultimi mesi, giocano una partita autonoma, forti di un consenso locale. Resta il fatto che su De Luca c’è la mannaia della legge Severino: qualsiasi strada verrà imboccata per tenergli la poltrona di presidente, sarà comunque molto scivolosa.
Ma il paradigma ligure ci regala anche l’altra importante novità: la forte, diffusa affermazione dei 5Stelle in tutti i luoghi dove si è votato. Siamo di fronte ad un inedito fatto politico perché le liste dei pentastellati avevano sempre avuto nel voto amministrativo il loro tallone di Achille. Invece ottenendo percentuali a due cifre, diventando primi in tre regioni e il secondo «partito» su scala nazionale, dimostrano una capacità di presenza e di consenso anche sul territorio, dove hanno combattuto con pochi soldi e giovani sconosciuti. Sempre più i 5Stelle si confermano come una forza decisiva per sbloccare la situazione politica. Lo ha capito il neoeletto governatore della Puglia, Michele Emiliano, che ha già proposto per l’organigramma della futura giunta, l’ingresso della capolista grillina.
La Liguria ci dice qualcosa di nuovo anche nelle potenzialità di una «rete» di sinistra perché il 10 per cento di Pastorino tiene aperto uno spazio politico, il più significativo tra quelli registrati dalle liste a sinistra del Pd. Un voto che riflette e raccoglie il dissenso largo di un elettorato lontano dalle politiche del governo (scuola, pensioni, riforme). Insieme al calo generalizzato e pesante dei voti del Pd, l’apertura di credito verso Pastorino mette un bastone tra le ruote alla vocazione maggioritaria di Renzi. Però è necessaria una riflessione anche a sinistra perché i consensi ottenuti dalle altre liste non sono neanche una base e Podemos è lontana anni luce.
Uscendo dai confini liguri emerge tuttavia una enorme distanza tra eletti e elettori, tra i governi locali e quei 23 milioni di elettori chiamati alle urne. Questa volta lo scalone dell’astensione è più di dieci punti di media in meno rispetto alle regionali del 2010. Ma, ancor di più, se il crollo della partecipazione lo andiamo a leggere in regioni come la Toscana o le Marche, ci accorgiamo che nel cuore del Paese, nelle terre dove si superava il 60 per cento di votanti, adesso siamo addirittura sotto il 50 per cento.
E la Toscana di Rossi si è fermata al 48, con un particolare non secondario: la Lega oltre il 16 per cento, avanguardia di uno sfondamento della destra oltranzista in tutto il centro Italia. Il successo di Salvini, mette in chiaro un problema evidente da almeno un anno: la leadership del centrodestra. Cosa peraltro urgente. Anche perché non è escluso che Renzi voglia anticipare il ritorno alle urne. Chi sarà lo sfidante? Grillo che gioca una partita a sé o Salvini che vuole ampliare il suo consenso, rottamando Berlusconi?
Comunque un italiano su due ha disertato il proprio seggio. Certo l’estate e il lungo ponte non hanno invogliato i cittadini, ma stiamo parlando di un vero e proprio crollo, di una fuga di massa, di un problema di democrazia. Che i due vicesegretari del Pd, si esprimano con slogan rinsecchiti dal rancore verso il capro espiatorio di turno (Pastorino, Bindi…), per poi concludere che va tutto bene perché il Pd ha vinto 5 a 2, non stupisce: semmai conferma chi è che gufa davvero contro il Paese.
agbiuso
Grazie, Danke, Merci, Thank you
Dopo i risultati delle elezioni regionali è d’obbligo un post di ringraziamenti.
Il primo grazie (di cuore) va a De Luca, ineleggibile e impresentabile, che ha mostrato il vero volto del Pd della (il)legalità.
Il secondo grazie ai candidati del M5S che, senza ambizioni di poltrone e di potere, hanno speso gli ultimi mesi in campagna elettorale.
Il terzo grazie ai parlamentari e agli altri eletti che hanno girato in lungo e in largo la penisola per dare il loro sostegno alle liste senza risparmiarsi, la mattina erano a Venezia, il pomeriggio a Genova e la sera a Perugia.
Il quarto grazie a chi ha dato fiducia al M5S con il voto, e non era facile, con i media tenacemente contro a raccontare misfatti su di noi, non era semplice bucare la nebbia della disinformazione.
Il quinto grazie a chi ha ridimensionato il partito dell’innominabile e lo ha portato a percentuali più consone (metà rispetto alle europee) alla sua (non) azione di governo. Non si gestisce un Paese con le menzogne e con l’arroganza,
Il sesto grazie alle sirene della sinistra che ci vorrebbero assessori o alleati a cui si ricorda che il M5S voterà in consiglio regionale (e in Parlamento) ogni proposta che sia contenuta nel suo programma o che porti un beneficio ai cittadini. Le alleanze e gli inciuci non ci appartengono.
Grazie, Danke, Merci, Thank you agli italiani che ci hanno votato e che hanno attribuito il ruolo di primo partito al M5S in Liguria, Campania e Puglia e di secondo in altre regioni.
Il prossimo ringraziamento sarà alle politiche. Un giorno del ringraziamento con il tacchino del Pd nel forno.
agbiuso
Immunità per i deputati corrotti che divorano l’Italia.
Per i deputati del Movimento 5 Stelle denuncia alla magistratura -da parte della maggioranza democraticoforzuta- per “reato contro la personalità dello stato”.
La democrazia del PD-Nuovo Centrodestra-Forza Italia è il dominio dei criminali, in Parlamento e fuori.
Disciplina parlamentare
di Andrea Fabozzi, il manifesto 2.4.2015
agbiuso
Se non ora quando?
Gli italiani stanno aspettando da un pezzo un liberatore, un eroe, un nuovo Robin Hood, un Garibaldi. Qualcuno che “metta finalmente a posto le cose”. Gli italiani sono tanti sottotenenti Giovanni Drogo assegnati alla Fortezza Bastiani nel romanzo di Buzzati: “Il deserto dei Tartari” in cui La Fortezza è l’ultimo avamposto ai confini settentrionali del Regno e domina una desolata pianura chiamata “deserto dei Tartari”, un tempo minacciata da continue incursioni. Da innumerevoli anni nessun nemico appare e l’esistenza di Drogo si consuma in attesa di un combattimento che non verrà mai.
L’italiano è in attesa, ma neppure lui sa di cosa. Non ci sarà nessuno che venga a salvarlo dalla mafia, dalla corruzione, dalla massoneria. Nessuno ci toglierà dai piedi questi partiti dominati da finanzieri e affaristi se non lo fa da solo.
Se non ora quando? Quando? Questa è la domanda. Non c’è un troppo tardi o un troppo presto. C’è solo l’ora, l’adesso.
Se non ora quando? Ci libereremo da questa attesa che ci sfinisce? Nessuno ci potrà aiutare al di fuori di noi stessi. Denunciando, mettendoci in gioco, rischiando qualcosa, bloccando ogni porcata a livello locale.
Se non ora quando? non è una domanda retorica, è un’invocazione, un appello. Di cos’altro c’è bisogno per svegliare le coscienze dopo le ruberie di Stato della Tav, di Mafiacapitale, del Mose, dell’Expo, dei dissesti idrogeologici che hanno trasformato il Paese in una immensa frana? Quante altre schifezze istituzionali come l’eliminazione del Senato e l’elezione di ben tre presidenti del consiglio senza elezioni e senza passare dal Parlamento dovranno avvenire?
Se non ora quando? denunciare non serve più in un Paese dove i referendum non vengono rispettati come quello sulla pubblicizzazione dell’acqua, completamente disatteso a partire dalla Puglia e da Vendola che ha mantenuto l’acquedotto privato sotto forma di Spa e come il referendum sul finanziamento ai partiti.
Se non ora quando? si deve intervenire sulla svendita delle nostre aziende a cinesi e a fondi americani che fanno shopping a prezzi di saldo preparando un deserto industriale alle nuove generazioni?
Se non ora quando? si deve andare a nuove elezioni politiche per dare dignità e legittimità a un parlamento incostituzionale di nominati?
Se non ora quando?
Non ci sono più innocenti. I Tartari sono nella fortezza e noi stiamo sempre più assomigliando a loro.
Se non ora quando? E’ troppo tardi per stare calmi.
agbiuso
L’analisi di Aldo Giannuli sull’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica.
agbiuso
Lo spreco senza fine dei soldi degli italiani.
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Italia.it
“Il portale turistico nazionale Italia.it e l’ente che ne detiene la responsabilità, la Promuovi Italia Spa, sono un esempio paradigmatico di tutte le nefandezze che infettano il nostro Paese in tema di appalti, sprechi, nomine pilotate e imbrogli fiscali.
Il governo non ci ha dato risposte soddisfacenti. Ha aggirato le nostre domande. La verità è che il sito Italia.it da vetrina web del Paese si è trasformato in un buco nero che ha ingoiato ingenti risorse e persino i diritti dei redattori, non pagati da mesi. Siamo di fronte a un florilegio di inefficienze ancora più gravise si considera che siamo alla vigilia di Expo2015.
Poi c’è la gestione di Promuovi Italia Spa e i circa 8 milioni e mezzo di euro di soldi pubblici che sembrano spariti nel nulla. Di mezzo c’è andata la redazione di Italia.it, come detto, ma anche i borsisti dei progetti formazione finanziati con fondi Ue e nondimeno i fornitori dell’azienda.
Dov’è finita davvero questa montagna di risorse. Ci resta il sospetto che per pagare gli stipendi degli impiegati della Spa (circa 500mila euro al mese) si siano utilizzate risorse destinate ad altre attività come i corsi di formazione e lavoro.
Infine chiediamo di fare vera luce sulle presunte manipolazioni del sistema informatico di Promuovi Italia con irregolarità nella gestione dei Tfr e delle buste paga.” M5S, Commissione Attività produttive Camera
agbiuso
M5S chiama, Cantone risponde
“Il MoVimento 5 Stelle, per fare cosa utile per l’Autorità Nazionale Anticorruzione, ha effettuato dei controlli sui Direttivi degli Ordini Professionali appartenenti al Comitato Unitario delle Professioni. La CUP associa privatamente (?) ben 17 Ordini Professionali – sanitari e non – in qualità di Enti Pubblici non economici, soggetti al d.lgs. 39/2013 sull’inconferibilità ed incompatibilità d’incarichi presso le pubbliche amministrazioni.
Tra loro quattro parlamentari i senatori Andrea Mandelli (Fi-Pdl, 17 cariche, Presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti), Luigi D’Ambrosio Lettieri (Fi-Pdl, 13 cariche, presidente Ordine dei Farmacisti della Provincia di Bari), Amedeo Bianco (Pd, 7 cariche, presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) e Annalisa Silvestro (Pd, 3 cariche, Presidente della Federazione Nazionale Collegi Infermieri Professionali, Assistenti Sanitari e Vigilatrici d’Infanzia)
Durante l’indagine il MoVimento 5 Stelle ha scoperto ben 68 organi direttivi d’indirizzo politico professionale che ricoprono però contemporaneamente importanti ruoli in altri ambiti pubblici, per un totale di circa 450 “poltrone” occupate, con una media di circa sei cariche per ciascun professionista con punte che arrivano fino a 20, probabilmente incompatibili tra loro.
Quindi il Movimento 5 stelle ha fatto 10 domande a Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, che potete leggere qui.
A distanza di poche ore, il dottor Cantone ha risposto ai nostri quesiti con questo documento:
In relazione alle questioni sollevate dai Deputati del M5S, e non ritenendo opportuno entrare nel merito dei singoli casi, mi preme sottolineare che L’Autorità Nazionale Anticorruzione ha già adottato una delibera, la n°145 del 2014 consultabile all’indirizzo http://www.anticorruzione.it, che stabilisce, in maniera chiara, come tutti gli Ordini ed i Collegi professionali siano soggetti all’applicazione delle norme previste sia dalla legge anticorruzione (190 del 2012) che dal decreto legislativo in materia di trasasparenza (33 del 2013).
Questi enti, pertanto, dovranno predisporre il Piano triennale di prevenzione della corruzione, il Piano triennale della Trasparenza e adottare il Codice di comportamento del dipendente pubblico, nonché nominare il Responsabile della prevenzione della corruzione e adempiere agli obblighi in materia di trasparenza, attenendosi ai divieti in tema di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi previsti dal decreto legislativo 39 del 2013.
La delibera prevede che, nei prossimi trenta giorni, l’Autorità eserciti i poteri di vigilanza sul rispetto dell’obbligo prima richiamati da parte degli in questione.
Raffaele Cantone
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Biuso
Italy’s ‘UKIP’ launches drive for euro referendum as five-year depression drags on
di Ambrose Evans-Pritchard, The Telegraph, 13.10.2014
Italy’s Five Star Movement has launched a petition drive for withdrawal from the euro to lift the country out of depression and protect Italian democracy, a dramatic turn for a country that was passionately pro-European for sixty years. “We must leave the euro as soon as possible,” said Beppe Grillo, the combative comedian-politician and founder of the protest party that swept into Italy’s parliament last year with 26pc of the vote.
“We will collect half a million signatures in six months – a million signatures – and we will take our case to parliament, and this time thanks to our 150 legislators, they will have to talk to us.”
Gianroberto Casaleggio, party’s economic strategist, said the movement had set out its minimum demands in May, calling for Eurobonds and the abolition of the EU Fiscal Compact, a straitjacket that will force Italy into decades of debt-deflation. “Five months have gone by and we have had no reply. They have totally ignored us,” he said.
Any referendum would not be binding but the party may be able to push through a “law of popular initiative” if eurosceptics in other parties join forces. Italians have become bitterly disenchanted with Europe after a 9pc fall in GDP over the last five and a half years, and a 24pc fall in industrial output. Most voters think it was a mistake to join the euro but are wary of withdrawal, fearing that a return to the lira would risk a crippling crisis. Even so Datamedia Ricerche poll in March found that 59pc would view a return to the lira as a good idea.
Italy’s GDP has fallen back to levels first reached fourteen years ago, a catastrophic reversal unseen in any major country in modern times, even during the 1930s. It has lost 40pc in labour competitiveness against Germany since the mid-1990s, and is now trapped inside EMU with an over-valued exchange. It cannot cut easily cut wages with an “internal devalution” because this would cause havoc for debt dynamics.
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The Five Star Movement – or Cinque Stelle – won more votes than any other party in elections last year with a Left-leaning, slightly anarchist, Green agenda, and blistering attacks on entrenched elites. It is has 108 deputies in the lower house, and 54 senators.
The party sees its critique of EMU as a defence of Italian sovereignty against unelected EU officials, thought to be running roughshod over Italian democracy. “I don’t give away my sovereignty to anybody. My grandfather fought with the partisans for three years. If you want my sovereignty, you have to come and take it, not by waving some letter from the ECB. You have to come well-armed, as they tried once before,” said Mr Casaleggio.
The party is enraged by what it deems to be the high-handed policies of the European Central Bank, accused of toppling premier Silvio Berlusconi in 2011 and demanding sweeping reforms in Italy. “Mario Draghi is not a member of the government and I don’t know with what authority he demands these reforms,” said Mr Casaleggio.
Cinque Stelle has been eclipsed this year by the dramatic rise of Italy young premier Matteo Renzi, the yet party has not faded away. It came second in the European elections in May, winning 21.5pc. Its 17 MEPs sit with UKIP in Strasbourg.
Mr Renzi is now having to grapple with a triple-dip recession that has come as a profound shock, shattering assumptions that the crisis is over and that the eurozone is on the cusp of a fresh cycle of self-sustaining recovery. He is being forced to make yet more austerity cuts to meet EU deficit rules, risking further economic contraction, and perpetuating the same vicious cycle that engulfed his predecessors. Such a scenario plays straight into the hands of Beppe Grillo
agbiuso
Un delitto, tanti autori
di Gaetano Azzariti, il manifesto, 9.8.2014
Un’infinita tristezza. È questo il sentimento che prevale nel momento in cui si assiste alla votazione del Senato sulla modifica della Costituzione. Domani riprenderemo la lotta per evitare il peggio: perché la legge costituzionale concluda il suo iter dovranno passare ancora molti mesi e altri passaggi parlamentari ci aspettano, poi — nel caso — il referendum oppositivo. Dunque, nulla è ancora perduto. Salvo, forse, l’onore.
In pochi giorni il Senato non ha approvato una riforma costituzionale (buona o cattiva che si possa ritenere), bensì ha distrutto il Parlamento sotto gli occhi degli italiani. Nessuno dei protagonisti è stato esente da colpe. Si è assistito a una sorta di omicidio seriale, ciascuno ha inferto la sua pugnalata. Alcuni con maggior vigore, altri con imperdonabile inconsapevolezza, altri ancora non trovando altre vie d’uscita.
Il maggior responsabile è certamente stato il Governo che ha diretto l’intera operazione, senza lasciare nessuno spazio all’autonomia del Parlamento. Le progressive imposizioni e l’ininterrotta invasività dell’azione del Governo in ogni passaggio parlamentare hanno annullato di fatto il ruolo costituzionale del Senato. Non s’è trattato solo dell’anomalia della presentazione di un disegno di legge governativo in una materia tradizionalmente non di sua competenza.
Ma anche nell’aver costretto la Commissione — in modo poco trasparente — a porre questo come testo base nonostante la discussione avesse fatto emergere altre maggioranze. E poi, ancora, nell’aver voluto controllare tutto il lavoro dei relatori — è la presidente della Commissione che ha riconosciuto che il Governo ha “vistato” gli emendamenti presentati appunto dai relatori — con buona pace dell’autonomia del mandato parlamentare e del rispetto della divisione dei poteri.
Non solo i relatori, ma ogni senatore ha dovuto confrontarsi non tanto con l’Assemblea bensì con la volontà governativa, e molti si sono piegati. Mi dispiace doverlo dire, ma l’andamento dei lavori ha dimostrato come un certo numero degli attuali senatori non tengano in nessun conto non solo la Costituzione, ma neppure la responsabilità politica, di cui ciascuno di loro dovrebbe essere titolare dinanzi al corpo elettorale. I pochissimi voti segreti concessi su questioni del tutto marginali hanno fornito la prova di quanto fossero condizionati e insinceri i voti palesi. È stato così possibile evidenziare l’esteso numero dei rappresentanti della nazione che hanno votato con la maggioranza solo per timore di essere messi all’indice dagli stati maggiori dei rispettivi partiti. Una lacerazione costituzionalmente insopportabile. Se non si garantisce (o non si esercita) la libertà di coscienza sui temi costituzionali il principio del libero mandato serve veramente a poco. E tutto è stato fatto, invece, per vincolare i rappresentanti alla disciplina di partito. Ancora un colpo all’autonomia del Parlamento inferto — più che dal Governo o dai partiti — da quegli stessi senatori che non si sono voluti opporre palesemente a ciò che pure non condividevano.
S’è discusso e polemizzato sulla conduzione dei lavori, sull’interpretazione dei regolamenti e dei precedenti. Quel che lascia basiti è però altro. Ciò che è mancato è la consapevolezza che si stesse discutendo di una riforma profonda del nostro assetto dei poteri e degli equilibri complessivi definiti dalla Costituzione. Se si fosse partiti da questo assunto non si sarebbe potuto accettare, in nessun caso, un andamento che ha sostanzialmente impedito ogni seria discussione su tutti i punti della revisione proposta.
Non si sarebbe dovuto assistere allo spettacolo surreale che ha visto prima esaurire nella rissa e nel caos il tempo della discussione, per poi procedere a un’interminabile serie di votazioni, con un’Assemblea muta e irriflessiva che meccanicamente respingeva ogni emendamento dei senatori di opposizione e approvava la riforma definita dagli accordi con il Governo. Spetta al presidente di assemblea dirigere i lavori garantendo la discussione. Non credo possa affermarsi che ciò sia avvenuto. Anche in questo caso per il concorso di molti. Persino dell’opposizione, la quale ha dovuto utilizzare l’arma estrema dell’ostruzionismo che, evidentemente, ostacola una discussione razionale e pacata. Ciò non toglie che non si doveva accettare nessuna forzatura sui tempi, nessuna interpretazione regolamentare restrittiva dei diritti delle opposizioni, nessuna utilizzazione estensiva dei precedenti. Si doveva invece ricercare il dialogo, la trasparenza, il concorso di tutti i rappresentanti della nazione. Era compito di tutti creare un clima “costituzionale”, idoneo alla riforma. Nessuno lo ha ricercato. E temo non sia solo una questione di temperatura, ma — ahimè — di cultura costituzionale che non c’è.
La conclusione di ieri ha sancito la dissolvenza del Parlamento. La delegittimazione dell’organo titolare del potere di revisione della Costituzione è alla fine stata sanzionata dagli stessi suoi componenti. Il rifiuto di partecipare al voto conclusivo da parte di tutti gli oppositori rende palese che non si può proseguire su questa strada. Vedo esultare la maggioranza accecata dal successo di un giorno, mi aspetto qualche rozza battuta rivolta alla opposizione “che fugge”. Ma spero che, oltre la cortina dell’irrisione, qualcuno si fermi per pensare a come rimediare. La Costituzione non può essere imposta da una maggioranza politica senza una discussione e contro l’autonomia del Parlamento.
agbiuso
Renzi, quando finisce una favola
di Massimo Villone, il manifesto, 8.8.2014
Vale più un senato non elettivo o una ricaduta del paese nella recessione? La politica di immagine cara a Renzi riceve dai dati Istat un sonoro schiaffo, dopo le figuracce della ritirata sulla riforma — che già non poteva dirsi epocale — della PA, e della fallita promessa di allargare la platea per gli 80 euro in busta paga.
Come si poteva prevedere, non sono bastati quasi 8000 emendamenti a fermare i riformatori a ogni costo. E va ancora ricordato che questa prima lettura del senato è decisiva.
Se la camera approvasse il testo senato così com’è, la prima deliberazione delle due richieste dall’art. 138 si chiuderebbe, e nessuna modifica potrebbe più essere introdotta in seconda deliberazione. I numeri della camera mettono il governo al riparo da sorprese. Poco importa se sono costruiti in massima parte proprio sui meccanismi dichiarati incostituzionali con la sentenza 1/2014 della Corte costituzionale. Pd e M5S nelle elezioni del 2013 hanno avuto rispettivamente il 25,43% e il 25,56% dei voti, ma ottengono 292 e 108 deputati (archivio elezioni interno). Prova evidente che non doveva essere questo parlamento a riformare la costituzione violata dalla legge elettorale che ne determina i numeri.
Certo il presidente Grasso ha dato una mano, aprendo la strada all’uso estensivo del “canguro” e alla mordacchia del contingentamento dei tempi. Non convincono il richiamo al regolamento e alla prassi. Il valore di una interpretazione o di un precedente dipende non solo dalla mera sovrapponibilità degli elementi di fatto, ma anche — e talvolta soprattutto — dal contesto. E non c’è dubbio che la situazione oggi data non si fosse mai verificata prima. Una proposta di riforma totalmente intestata al governo, posta esplicitamente a condizione della sopravvivenza dello stesso e della legislatura, tesa a sminuire decisivamente il peso politico e i poteri formali dell’istituzione parlamento cui lo stesso governo dovrebbe essere sottoposto per la fiducia, il controllo, la vigilanza, volta a dare una torsione fortemente maggioritaria e centrata sull’esecutivo al sistema nel suo complesso. Che peso potevano mai avere precedenti e prassi in una situazione mai prima verificatasi, radicalmente diversa e nuova? E dunque si può concludere che senza scandalo le norme regolamentari sul voto segreto avrebbero potuto essere lette più estensivamente, e al contrario le prassi sul canguro e sul contingentamento più restrittivamente.
Le poche modifiche introdotte in aula o sono lifting di poca sostanza, come per l’iniziativa legislativa popolare o il referendum, o aggiungono ambiguità e aporie a un testo già pessimo. Perché governatori, consiglieri regionali e sindaci dovrebbero poter legiferare sulla famiglia o su temi di bioetica, morte e vita? Ne avranno mai fatto oggetto di campagna elettorale? Hanno un mandato? Per non parlare della partecipazione alla revisione costituzionale, e della ben nota questione dell’immunità-impunità.
Nel merito, la questione senato macchia indelebilmente una riforma che per altro verso contiene punti anche apprezzabili. È un’ovvietà la soppressione del Cnel, ripetutamente proposta nel corso degli anni. E la introduzione nel titolo V di una clausola di supremazia mirata all’unità della Repubblica e all’interesse nazionale corregge uno dei più gravi errori fatti dal centrosinistra nel 2001, con la cancellazione dell’interesse nazionale richiamato nella Carta del 1948. Bene anche la semplificazione delle potestà legislative, pur potendosi fare di più e meglio.
Ma il metodo offende. Perché apre su costituzioni deboli, non da tutti riconosciute come carta fondamentale della convivenza civile. Nel 1983, la commissione Bozzi non si avviò finché non ci fu la firma di Napolitano per il Pci. La proposta della commissione D’Alema morì con l’attacco di Berlusconi nell’aula della camera (28 gennaio e 27 maggio 1998) al testo, che pure Fi aveva contribuito a scrivere. Poi nel 2001 il primo cattivo precedente, con il centrosinistra che forzò sulla riforma del titolo V, sperando che il quasi-federalismo in esso contenuto potesse riguadagnare consensi al Nord. Sappiamo come finì. Il centrodestra restituì il colpo nel 2005, con la grande riforma della devolution e del primo ministro assoluto che il popolo italiano rifiutò nel referendum del 25 giugno 2006. Ora ci risiamo, con Berlusconi miracolato da Renzi e dal patto del Nazareno, e una maggioranza spuria che riduce al silenzio l’opposizione. Un pessimo viatico. Mentre bastava mantenere il senato elettivo per evitare ogni problema.
Almeno servisse a qualcosa. Ma per gli ultimi dati Istat siamo di nuovo in recessione. La politica dell’immagine non ha spostato di un millimetro i dati reali della crisi. Draghi dice alla Bce che vanno meglio i paesi in cui sono state messe in campo strategie efficaci di riforma. Al contrario, quelle strategie sono mancate nei paesi che vanno peggio. Così è per l’Italia, a riprova del fatto che delle tanto strombazzate riforme istituzionali non importa niente al mercato, all’Europa, nonché ovviamente agli italiani.
Questo è un paese di grandi affabulatori. Prima Berlusconi, ora Renzi, in vantaggio perché ha la metà degli anni, parecchi vizi in meno, e tutti i capelli. Ma per entrambi il problema è stato ed è che le favole devono pur finire, prima o poi. E il rischio è che poi vissero tutti infelici e scontenti.
agbiuso
Questi senatori sono davvero molto pazienti a rispondere a un quotidiano come Il Corriere della Sera, un foglio che da sempre è al servizio di chi comanda, chiunque egli sia.
Se e quando il M5S andrà al potere, il Corriere -che ora lo disprezza e insulta- sarà pronto a lodarne l’azione. Sono fatti così, servi.
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Lettera dei senatori 5 Stelle al Corriere della Sera
“Gentile Direttore e Gentile Aldo Cazzullo,
nell’editoriale di ieri si rimprovera al Movimento 5 Stelle di oltrepassare il confine tra “protesta e sceneggiata”. La nostra non è sterile protesta, ma una battaglia di civiltà e democrazia. Ci siamo seduti al tavolo del confronto per migliorare una legge elettorale frutto dell’accordo tra Renzi e Berlusconi. Consapevoli dell’importanza di arrivare a un punto di mediazione, e nonostante avessimo una nostra proposta votata in Rete, abbiamo fatto non uno, ma dieci passi in avanti verso le richieste di Renzi su governabilità e stabilità. Verso di noi, nulla. E ad oggi ancora aspettiamo risposte.
Caro Cazzullo, chi ha fatto davvero la sceneggiata?
Sulla riforma della Costituzione, abbiamo presentato 200 emendamenti: parlamentari scelti dai cittadini anziché nominati dai partiti; nessun privilegio da Casta come immunità e stipendi d’oro; dimezzamento reale dei parlamentari così da tagliare davvero i costi della politica.
Il governo, che finge di volere il dialogo e invece ha paura del vero cambiamento, ha estromesso il Movimento 5 Stelle bocciando tutti i suoi emendamenti. E lo ha fatto stravolgendo il Regolamento e piegandolo ai suoi interessi con la complicità del Presidente Grasso, che ha applicato ghigliottina, tagliola e canguro su una riforma costituzionale.
Caro Cazzullo, chi ha impedito davvero il dialogo?
Abbiamo deciso di uscire dall’Aula solo quando i giochi erano ormai chiusi, e il ruolo della nostra opposizione definitivamente svilito. E lo abbiamo fatto anche per richiamare l’attenzione sulla vera priorità del Paese, che non è lo sfascio della Costituzione, ma la crisi economica.
I giornali, inebriati da Renzi, non ci hanno dato ascolto quando spiegavamo che il bluff degli 80 euro era solo merce di scambio per vincere le elezioni europee e che non avrebbero fatto ripartire i consumi. E i dati Istat di oggi purtroppo ci danno ragione. Adesso non ci ascoltano quando diciamo che la nostra democrazia viene ferita da una riforma che fa del Senato un carrozzone senza poteri ma con un apparato costoso come lo è oggi. Oscurando le nostre ragioni, la stampa censura quei milioni di cittadini che noi rappresentiamo.
Le ”pulsioni istintive e disperate” degli italiani non le abbiamo assecondate, ma trasformate in proposte concrete. Proposte che puntualmente sono andate a sbattere contro l’arroganza di questo governo.
Caro Cazzullo, finché daremo voce agli italiani il nostro patrimonio non andrà disperso ma sarà una speranza per il futuro”.
Senatori del Movimento 5 Stelle
agbiuso
Poveri (alla lettera) italiani, che continuano a credere ai parolai piduisti e berlusconiani solo perché stanno nel Partito Democratico!
Economia: il vero gufo è Renzi
Secondo le stime Istat appena diffuse il Pil del secondo trimestre fa segnare un -0,2% (-0,3 su base annua). Altro che crescita e ripresa. L’Italia è in piena recessione. Il vero gufo è Renzie.
“Nessuna slide propagandistica può nascondere la verità sostanziale: il Paese è fermo, è ufficialmente in recessione tecnica. L’Istat ha appena diramato il dato sulla (non) crescita dell’economia del secondo trimestre: il Pil fa segnare un -0,2% (-0,3 su base annua). Dunque, siamo al palo. L’Italia è in recessione.
In queste ore le pressioni politiche sui vertici dell’Istituto di statistica si sono infittite. In fondo nulla è cambiato dai tempi in cui Tremonti ministro del Tesoro diceva che l’Istat trasmetteva “una rappresentazione discutibile della realtà”. I partiti credono di poter piegare tutto ai loro interessi, anche i numeri che arrivano da enti presunti terzi. Ma la verità è che, in ogni caso, la recessione tecnica sgretola ogni falsa rappresentazione allestita dal governo in un Def che è già carta straccia.
E pensare che quando, in primavera, Renzi e il ministro dell’Economia Padoan previdero una crescita a +0,8% a fine 2014, aggiunsero che si trattava di una stima prudenziale. Oggi quel tasso di avanzamento del Pil è addirittura una chimera.
I conti sono allo sbando, la logica dell’austerity continua a dominare e in autunno potrebbe scatenarsi una nuova tempesta finanziaria sul nostro debito. Nel frattempo troppe mani sembrano aggrapparsi al timone dell’economia, strattonandolo di qua e di là.
Il commissario alla spending Carlo Cottarelli non ne può più di Renzi e vuole tornarsene nel sacro tempio degli affamatori che risponde al nome di Fmi. Anche i rapporti tra Padoan e il premier sono al lumicino, tanto che l’economista viene dato da molti in uscita dal governo. Il premier, d’altronde, ha già deciso di circondarsi di un gruppo di fedeli economisti di partito. E mentre si gingilla con le autoritarie riforme costituzionali, la Ragioneria dello Stato (braccio armato dell’Europa dell’austerity) sbugiarda e asfalta il Parlamento (maggioranza compresa) su qualsiasi norma ispirata alla giustizia sociale che possa dare un po’ di respiro al Paese, dalle pensioni al carico fiscale per i piccoli produttori di energia rinnovabile.
I partiti e gli alti burocrati, come i capponi di Renzo, si beccano sugli zero-virgola senza sapere che faranno tutti la stessa fine, ma nel frattempo il M5S ascolta la gente e vede la realtà che non è fatta di senatori nominati dal capo dello Stato o consiglieri regionali che si salvano dal carcere con l’immunità.
Ora chiediamo chiarezza alle istituzioni sul rendiconto di bilancio e sui fondamentali della nostra economia: cittadini ben informati sono precondizione essenziale per una democrazia che funziona”.
Commissione Bilancio – M5S Camera
agbiuso
Di seguito l’interrogazione firmata da Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio rivolta al presidente del consiglio Matteo Renzi
“Premesso che: l’attuale Presidente del Consiglio, in più occasioni ha incontrato Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia;
un primo incontro è avvenuto il 18 gennaio 2014 nella sede del Partito Democratico in Largo del Nazareno a Roma;
lo scorso 3 luglio, inoltre, Renzi ha ricevuto Berlusconi direttamente a Palazzo Chigi in un incontro di due ore, al quale hanno partecipato anche Lorenzo Guerini, Gianni Letta e Denis Verdini;
il contenuto di quello che viene ormai comunemente definito “patto del Nazareno”, non è però noto nonostante l’attuale Presidente del Consiglio abbia dichiarato, in più occasioni, che la trasparenza deve essere un valore della politica; da un lato, il contenuto di questo patto sembra vertere su alcune riforme istituzionali: legge elettorale, superamento del bicameralismo perfetto mediante modifica del ruolo e della composizione del Senato della Repubblica, riforma del Titolo V con modifica delle competenze tra Stato e Regioni;
dall’altro lato, indiscrezioni giornalistiche riportano altri aspetti dell’accordo che sembra riguardare anche la materia della giustizia e l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica; difatti nel bollettino di Forza Italia del 23 luglio “Il Mattinale”, a firma del capogruppo forzista Renato Brunetta, si riporta una dichiarazione proprio di Berlusconi il quale ha affermato che: “non m’importa del Senato, accordo con Renzi è su Italicum e giustizia”;
inoltre, da organi di stampa, si legge che al centro del patto ci sarebbe anche la condivisione di un nome per la successione, nel ruolo di Capo dello Stato, di Napolitano come confermerebbero alcune voci di Forza Italia: “è certo che i due si sono accordati per un nome condiviso e questo nome non potrà mai essere Prodi”; l’esistenza di questo accordo, che incide su aspetti relativi all’indirizzo politico del Governo e su modifiche costituzionali, è stata evocata dal parlamentare di Forza Italia Donato Bruno (tra l’altro candidato di Forza Italia per la Corte Costituzionale), che ha pubblicamente dichiarato: “È inutile dirlo, esiste un accordo: il Nazareno ancora rappresenta un punto di riferimento che non possiamo e non dobbiamo assolutamente scalfire”; dentro Forza Italia c’è anche chi dice di aver visto un vero e proprio accordo redatto su carta, come ha affermato qualche giorno fa Giovanni Toti, europarlamentare di Forza Italia: “il patto del Nazareno esiste e io l’ho visto. Io come molti altri dirigenti di Forza Italia. Un semplicissimo foglio di carta che prevede alcune tappe schematiche del processo di riforma, un appunto scritto a penna sulle cose da fare”; Matteo Renzi, come riportato da agenzie di stampa, ha addirittura sostenuto che il patto del Nazareno sarebbe un vero e proprio atto parlamentare: “Quando leggo: che cosa c’è scritto nel patto del Nazareno? E’ un atto parlamentare, può piacere o no ma è un atto parlamentare”;
si tratta però di un atto parlamentare che l’interrogante non è riuscito a reperire da nessuna parte; l’attuale Presidente del Consiglio ha altresì sostento che: “Quando vedo anche alcuni nostri dirigenti che dicono: chissà cosa c’è sotto? Questo è il governo che ha declassificato il segreto di Stato, figuriamoci… Quello che mi preoccupa è la forma mentis, questa idea che i politici mascherino sempre le cose”; di conseguenza è lecito aspettarsi dal Presidente del Consiglio Renzi un atteggiamento di totale trasparenza nei confronti del Parlamento e dell’opinione pubblica; poiché si sta procedendo alla modifica di molti articoli della Carta Costituzionale e, probabilmente, anche alla futura nomina di organi costituzionali semplicemente sulla base di un accordo che, nella quasi totalità, è segreto, è di fondamentale importanza che il Presidente del Consiglio renda pubblico con urgenza e nel dettaglio il suo contenuto; di conseguenza, nel caso in cui fosse realmente esistente un accordo scritto, il Presidente del Consiglio interrogato dovrebbe renderne pubblico il contenuto al fine di dare all’opinione pubblica ed al Parlamento la possibilità di conoscere tutte le linee programmatiche del Governo.
Gli interroganti intendono sapere se il Presidente del Consiglio dei ministri non intenda riferire con urgenza al Parlamento in merito ai dettagli di quello che viene comunemente chiamato “patto del Nazareno” e se non intenda rendere pubblico il testo in formato cartaceo dell’accordo stesso con Silvio Berlusconi“.
Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio – M5S Camera
agbiuso
Viva la riforma del Senato!
“La Riforma del Senato non farà trovare lavoro;
La Riforma del Senato non migliorerà la sanità;
La Riforma del Senato non garantirà la tua istruzione;
La Riforma del Senato non darà certezza alla tua famiglia.
Il Governo sta bloccando il Paese con la Riforma del Senato, facendo credere che così risolverà i problemi dell’Italia.
Questa è una menzogna: vi sveliamo la verità sul nuovo Senato di Renzi.
Dicono che avremo un Senato più trasparente: invece hanno mantenuto l’IMMUNITA’ per i nuovi Senatori che verranno nominati direttamente dalla Politica che li sceglierà anche tra quei Consigli regionali troppo spesso protagonisti di inchieste per corruzione, peculato e scambio di voto politico mafioso.
Dicono che hanno ridotto i costi: invece hanno detto NO al tetto sugli STIPENDI dei Parlamentari;
Dicono che avremo un Senato più pulito: invece hanno detto NO all’incandidabilità per chi è sottoposto a processo penale o rinviato a giudizio;
Dicono che il nuovo Senato sarà più economico per i cittadini: invece hanno detto NO alla sospensione temporanea delle indennità a favore di Parlamentari arrestati o detenuti e hanno mantenuto tutti i benefit della casta come rimborso spese viaggi, alloggio, stipendi dei collaboratori, e ogni altra spesa dei nuovi Senatori.
E tutto questo mentre gli italiani sono in vacanza e senza il contributo delle opposizioni svilite nel loro ruolo”.
M5S Senato
agbiuso
Dedicato agli insegnanti che hanno votato per il Partito Democratico.
Bravi.
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Televideo
P.a., modifiche governo: via “quota 96”
04/08/2014 11:50
11.50 Il governo ha presentato quattro emendamenti “soppressivi” al decreto Pubblica amministrazione, tra cui uno che cancella l’articolo aggiuntivo inserito alla Camera che sbloccava 4mila pensiomenti nella scuola la cosiddetta ‘quota 96’. Lo annuncia il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, a margine dei lavori della commissione Affari costituzionali del Senato.
agbiuso
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Mentre Renzie si balocca con l’abolizione del Senato e in cambio Berlusconi salva il “grano”, l’unica cosa a cui tenga, grazie al Patto del Nazareno di cui i cittadini non sanno nulla, l’Italia va allo sfascio economico. E chi lo denuncia è considerato un “gufo”, ma i fatti sono fatti e non slogan e non possono essere contraddetti con battute da bambino scemo. In ogni caso meglio gufi che sciacalli.
“I numeri sono numeri. E non si può mica accusarli di essere “gufi”, “frenatori” o “sfascisti” come si fa con i dissidenti interni e con le opposizioni in Parlamento. “I fatti sono argomenti testardi”, diceva John Adams. Quei fatti il M5S li vede e li denuncia da oltre un anno, da quando siamo entrati in Parlamento e abbiamo visto come questi governi legiferano in materia economica.
Renzi ancora stenta a togliersi il suo giubbottino di pelle di ottimismo. Ma la tempesta dei conti è già all’orizzonte e nel governo hanno capito che un look sbarazzino alla Fonzie non sarà sufficiente per ripararsi dal diluvio.
Il premier ha bisogno, nel 2015, di almeno 10 miliardi per rendere strutturale la promessa elettorale degli 80 euro. Poi gliene servono altri 4-5 per dare seguito alla parola data: allargare il bonus a incapienti, pensionati, famiglie numerose e non si sa chi altri. E ci vorranno 3-4 miliardi per le spese cosiddette incomprimibili, dalla cassa integrazione in deroga (a proposito, che fine ha fatto il decreto per riorganizzare gli ammortizzatori in deroga?) alle missioni militari all’estero. Infine ci sono le tagliole disseminate qui e lì dai governi precedenti, come gli oltre 4 miliardi di clausole di salvaguardia (che spostano le fregature da oggi a domani) contenute nella legge di Stabilità di Enrico Letta, amara eredità che il M5S ha più volte denunciato.
Renzi adesso si aggrappa ai miracoli della spending review di Cottarelli. Ma già sui 3 miliardi di tagli previsti dal decreto Irpef per quest’anno il meccanismo è inceppato (soprattutto sul fronte dei Comuni). E i benefici derivanti dal calo degli spread non saranno sufficienti a eludere l’amara verità che stiamo denunciando da tempo: questo governo, come i suoi predecessori, resta schiavo dell’austerity e sprofonda in un gorgo in cui il rigore fiscale uccide l’economia e genera l’illusione che altro rigore fiscale sia necessario.
Il cane si morde la coda. E’ evidente l’avvitamento su noi stessi. La crescita è ferma e il Def si sta dimostrando l’ennesimo libro dei sogni. Il debito esplode, il deficit non scende, la deflazione uccide le aspettative di ripresa della domanda interna, la produzione industriale continua a declinare, persino il salvagente dell’export si sta sgonfiando. E intanto le tasse aumentano, la Tasi è un caos, il risparmio viene massacrato, persino le Province continuano a riscuotere 4,5 miliardi di imposte (ma non erano state cancellate?).
I trucchetti contabili, le poste di bilancio spostate come il gioco delle tre carte e le solite clausole di salvaguardia sono nodi che ora vengono al pettine. Nel frattempo, malgrado la grancassa di Palazzo Chigi, l’Europa continua a guardarci con diffidenza e non concede nulla sul fronte della flessibilità: niente scorporo dal deficit degli investimenti (meglio così se si tratta di fare grandi e inutili opere mangiasoldi), niente rinvio del pareggio di bilancio strutturale, niente sconti sui cofinanziamenti dei progetti Ue. Accesso ai fondi della Bei o debito europeo comune? Nemmeno a parlarne.
Insomma, niente di niente: la Merkel continua a essere padrona di casa e il duo tragicomico Renzi-Padoan fa la parte dei camerieri in livrea a bordo tavolo con tovagliolo al braccio.
Anche i giornali esteri, persino quelli anti-austerity di tradizione anglosassone, dal Wsj all’Economist, hanno già sbeffeggiato gli ardori riformatori del premier. La stampa italiana, invece, è ancora in larga parte accomodata sul carro del vincitore. Ma il vento cambia presto e qualche spiffero già si avverte.
Il M5S lo aveva detto chiaro: i soldi degli 80 euro andavano usati diversamente. Bisognava darli agli strati più deboli della società o, meglio ancora, investirli nei settori produttivi che possono far ripartire davvero il motore del Paese in modo sano e sostenibile, dalle rinnovabili all’economia digitale, dal turismo alla ricerca e innovazione.
Invece questi governi continuano a buttare il danaro dove non serve o dove serve solo agli amici loro (chi ricorda che Letta mise in Stabilità 400 milioni per il Mose e 20 milioni appena per la banda larga?).
Abbiamo anche presentato una risoluzione secondo cui i proventi delle privatizzazioni (se proprio vanno fatte) devono essere usati per la crescita, per migliorare il denominatore e per allargare la nostra base monetaria. Basta con le svendite dei gioielli di famiglia che diventano un secchiello con cui si cerca di svuotare il mare del debito.
Secondo M5S c’è un modo sano di usare il deficit e il debito. L’unico deficit che davvero ci preoccupa è quello di comprensione della realtà che affligge Renzie e il suo governo”.
M5S Commissione Bilancio
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Fonte: La tempesta perfetta
agbiuso
A che cosa serve il Movimento 5 Stelle.
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“Cominciamo con un po’ di cronaca politica degli ultimi tempi. Dopo il fallimento di Bersani, Giorgio Napolitano non ha neppure per un momento pensato di affidare l’incarico al M5S, prima forza politica nelle elezioni del febbraio 2013. Il M5S è così passato all’opposizione, dove ha svolto un lavoro egregio: dalla battaglia sull art. 138 in difesa della Costituzione – una battaglia vinta perché quel progetto è fallito – alla denuncia dell’evasione di 98 miliardi di euro delle società che gestiscono il gioco d’azzardo, tollerata da una politica vicina e collusa; dalla lotta contro Equitalia, Fiscal Compact e Mes alla restituzione di milioni di euro di stipendi non percepiti per un fondo per le Pmi, per non considerare i 42 milioni di euro di finanziamenti non percepiti. E la lista potrebbe essere ancora molto lunga. E’ coerenza, è un modello di buona politica che si potrebbe attuare, ma, purtroppo, di tutto questo non resta traccia. Negli organi di informazione si è parlato solo di scontrini, espulsioni, occupazione clandestina di tetti e così via.
Ma l’accusa piu infamante, il grande alibi, è stato quello dei cosiddetti “voti congelati” ovviamente per convincere chi ha votato il MoVimento 5 Stelle a non “congelare ulteriormente il proprio voto” con chi “non è uscito dal blog”. Il M5S è figlio della rete, ma nel Parlamento ha assunto con grande forza, impegno e determinazione il ruolo della opposizione che gli ha riservato per lui il Presidente della Repubblica. Per i due partiti che hanno governato insieme da decenni con il velo della finta opposizione, che si accendeva e solo a parole nei finti talk show in rete televisive da loro gestite, è stato uno shock culturale vedersi in Parlamento cittadini che hanno voluto indagare a fondo ogni singola postilla del loro mercificare.
La legge elettorale è un nodo da risolvere, spartiacque per la vita politica futura del paese. Dopo che la Consulta ha dichiarato che due punti fondamentali del Porcellum sono incostituzionali, Pd e Forza Italia hanno trovato l’intesa su un disegno di legge che presenta gli stessi profili di illegittimità di quella precedente. Con un grande gesto di responsabilità politica, l’opposizione ha offerto al principale partito del Paese di discutere una proposta alternativa che introdurrebbe in Italia un sistema elettorale in grado di bilanciare rappresentatività e governabilità.
Anche gli organi di informazione si sono dovuti piegare alla realtà dei fatti ed ammettere che esiste un’alternativa e questa è già una grande vittoria per il M5S. È abbastanza difficile pensare che il matrimonio tra Renzi e Berlusconi si sciolga. Il premier per ora ha solo annunciato e deve portare a casa un risultato. Berlusconi, confermando la famigerata intesa del Nazareno, può aspirare a presentarsi come Padre costituente e chissà che re Giorgio, ormai ad un passo dall’abdicare seguendo le orme di Juan Carlos in Spagna, possa pensare ad un atto di clemenza nei suoi confronti. Intanto su una cosa il patto Renzi-Berlusconi ha sicuramente funzionato: la legge anticorruzione è finita nel dimenticatoio di quel Parlamento sempre meno organo sovrano e decisionale.
La politica può riservare sorprese, ma una cosa è certa: la fine del Grande Alibi.”
Paolo Becchi
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Fonte: Il Grande Alibi
Alberto G. Biuso » Il vincitore
[…] parole di commento ai risultati delle elezioni europee 2014. Sono assolutamente contento del mio voto, che come hanno già mostrato questi risultati -e sempre […]
cristina
Con convinzione sempre crescente ho, ancora una volta, espresso la mia preferenza per il M5S. Tanto più convinta perchè ho votato anche per le amministrative (pseudo politiche) nella città dove attualmente risiedo (Bergamo) dove la “simpatica confusione” dei partiti di “mal -governo” ha la faccia “pulitina” del candidato PD…(udite! udite!) Giorgio Gori! ah …dimenticavo! è appoggiato da compagnia delle opere ecc…:-) se non è questa comicità!
agbiuso
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Un estratto dell’intervento di Ferdinando Imposimato in piazza San Giovanni, a Roma, il 23 maggio scorso.
“E’ un grande onore partecipare a questo evento del Movimento 5 Stelle, pacifico e non violento. Al quale sono grato per le battaglie che fa con passione civile in difesa della democrazia e dell’uguaglianza. Oggi, 23 maggio, anniversario della strage di Capaci, dedico questo mio modestissimo intervento al mio amico Giovanni Falcone, alla moglie e agli agenti della scorta. Un pensiero reverente anche a Paolo Borsellino e alla sua scorta, e consentitemi, anche a mio fratello Franco morto per mano mafiosa.
La crisi economica è grave. E opprime la maggioranza dei cittadini. La responsabilità primaria è delle maggioranze di destra che hanno governato l’Italia per 20 anni, e oggi questa responsabilità si estende con le larghe intese. Il presidente del Consiglio, coi suoi annunci perentori, promise che avrebbe cambiato le cose e indicò i sacrifici che bisognava sopportare. Ma non ha cambiato niente. Aveva promesso il cambiamento con la fine del finanziamento pubblico ai partiti, il taglio degli stipendi dei manager di Stato, interventi per la scuola, la lotta all’evasione fiscale. Ebbene, nessuna di queste promesse è stata mantenuta. La riforma del lavoro varata dalla maggioranza prevede maggiore flessibilità per i lavoratori. Cioè maggiore precarietà.
[…] Gli scandali Alta Velocità, Expo e oggi Carige, si traducono in maggiori tasse a carico del cittadino, che sopporta tutto. Vi è una parte del popolo, dall’operaio al pensionato, dal disoccupato all’insegnante, dal carabiniere al poliziotto, che sopporta tutto il peso della disastrosa situazione. Mentre la parte abbiente non accetta i sacrifici, anzi, specula per aumentare il proprio benessere. […]
Noi siamo grati a Beppe Grillo e a Gianroberto Casaleggio per aver costruito, dopo anni di consociativismo, un’opposizione democratica che persegue il bene comune, fatta di giovani capaci e onesti che ci hanno riconciliato con la speranza di un avvenire migliore”.
Ferdinando Imposimato
Fonte: Ferdinando Imposimato in Piazza San Giovanni
agbiuso
Ho votato per il Movimento 5 Stelle, per l’Europa dei popoli e delle persone libere, per l’Europa del pensiero e non della finanza e delle mafie. Ho votato per l’Europa universale di Dante, Cervantes, Voltaire, Nietzsche, Husserl.
biagio guastella
🙂 Lei sa meglio di me che non si tratta di tattica politica, ma di numeri, e nei parlamenti contano quelli. I “capolista civetta”, a differenza del passato, qui sono personalità che hanno dichiarato anticipatamente la loro scelta. Non è un inganno. Si sono messi al servizio della battaglia a causa dell’oscuramento mediatico che di certo non ha colpito né Grillo né il M5S, bensì l’unica forza temuta dalla Merkhel e dalla finanza. Lo scorrimento avviene sempre con le preferenze, quindi alcun rischio di mandarci gente che non ha un seguito elettorale.
Il posto della lista è dentro la GUE-NGL, se faranno scelte diverse tradiranno il mandato degli elettori. Ad oggi il sostengono il leader della GUE-NGL quindi non ho motivo di pensare che faranno altre scelte, anche perché tale eurogruppo sarà, probabilmente la III forza europea.
Per carità ciascuno ha la propria visione, staremo a vedere. In ogni caso se il M5S si batterà per quello che annuncia, si troverà a fianco della sinistra europea, tanto meglio!
agbiuso
Caro Biagio,
la ringrazio anche a nome del Movimento 5 Stelle perché “quegli obiettivi che” io avrei “brillantemente elencati” li ho semplicemente trascritti dal sito e dai manifesti del Movimento stesso.
Per quanto riguarda la collocazione dei deputati 5 Stelle nel Parlamento europeo, a me interessano i contenuti e la credibilità delle persone che se ne faranno portavoce. Il resto è tattica politica che sarà di volta in volta gestita.
Avrei preferito non parlare de L’altra Europa con Tsipras ma visto che lei in qualche modo mi “costringe” a farlo, dirò che anche se non ci fosse stato il M5S non avrei votato per tale lista e ciò per due fondamentali ragioni:
la prima è la presenza di capilista civetta, vale a dire persone note che hanno già dichiarato che anche se elette si dimetteranno (“perché non abbiamo le competenze”) lasciando il posto a funzionari di SEL e ad altri soggetti simili, una pratica che mi sembra ricalcare le peggiori consuetudini della vecchia politica;
la seconda ragione sta nel fatto che il gruppo di italiani/Tsipras se dovesse arrivare al Parlamento europeo si allineerebbe ben presto al PSE di Schulz e di Renzi, probabilmente in nome dell’emergenza e della “Sacra Unione contro le Destre e tutti i Populismi”.
Qualche decennio di attenzione alle dinamiche dei Parlamenti mi fa pensare che è questo che accadrà e non posso correre il rischio di vedere il mio voto utilizzato da Schulz (vale a dire Merkel) e Renzi.
Ricambio come sempre il suo affetto e ringrazio Marina per il suo interessante intervento.
biagio guastella
Caro Prof. Biuso, lei sa la stima e l’ammirazione che ho per lei e il suo lavoro. Tuttavia politicamente non ci troviamo d’accordo. Troppi hanno pensato che domenica ci sia un test elettorale nazionale (in primis Grillo, con fantomatici annunci di ritorno alle urne) e poco, troppo poco si è detto sull’Europa. Europa che determina quasi l’80% delle legislazioni nazionali. In molti punti sono d’accordo con lei, per questo sostengo L’Altra europa con Tsipras, perché ritengo che quegli obbiettivi che lei ha brillantemente elencati saranno perseguiti con molta più efficacia da una lista che è iscritta a un gruppo parlamentare europeo (in questo caso GUE-NGL). Il M5S non iscrivendosi ad alcun gruppo farà parte del Gruppo Misto (“Gruppo dei non iscritti” nel parlamento europeo) con gravi conseguenze per il peso politico dei propri parlamentari. Meno tempo per gli interventi, impossibilità di ricoprire ruoli di presidenza delle commissioni. Proprio perché credo che sia davvero importante che l’Europa cambi volto e sostanza sostengo la Sinistra Europea.
@marina molto bella la sua espressione di “brodo primordiale” per il movimento, in potenza pieno di vita, ma troppo informe per dare certezze, troppe contraddizioni e lati oscuri per convincermi. Spero lei ripenserà all’astensione e scelga di sostenere una sinistra nuova che possa avere l’ascendente di SYRIZA. Abbiamo bisogno che i più grandicelli ci diano una mano per continuare il grande sogno di un mondo più giusto.
A presto, caro Prof. Biuso, con affetto,
biagio
marina
Prof. Biuso, invidio un po’ il suo coraggio. Anch’io, lo ammetto, avevo preso in considerazione l’idea, ma alla fine ho concluso che non me la sento di dare il mio voto (per poco che conti…) a un movimento il cui leader è Beppe Grillo, un esagitato che, secondo la necessità, il momento o, apparentemente, l’umore, dice (o meglio, urla) tutto e il contrario di tutto. E il tutto non è sempre di sinistra, anzi, spesso è il contrario. Per ora vedo il M5S come una sorta di brodo primordiale, ricco senza alcun dubbio di promesse di vita, come lo sono anche movimenti spontanei, centri sociali, e via dicendo. Il 25 aprile, a Milano, di fronte al deprimente spettacolo dell’ufficialità, il corteo dei centri sociali – centinaia, forse migliaia di ragazzi che cantavano “Fischia il vento” (chissà come si trasmette di generazione in generazione? Me lo sono sempre chiesto) – mi ha dato un momento di commozione e un barlume di speranza. Ma da questo a vedere questo magma come una speranza per il futuro temo che ci corra moltissimo. Se non fosse per un problema di età, mi ci tufferei senza problemi, ma ormai penso che farò largo a giovani…. e domenica resterò vigliaccamente a casa.
Grazie per l’ospitalità.