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Bianco / Ontologia

Bianco / Ontologia

Piero Manzoni 1933-1963
Palazzo Reale – Milano
A cura di Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo
Sino al 2 giugno 2014

Piero Manzoni cominciò con cupe opere «nucleari», dense e scurissime, dalla quali sembra gorgogliare una profonda angoscia. Poi, intorno al 1957, l’epifania del bianco, i magnifici Achrome. Opere dinamiche e luminose, realizzate con una grande varietà di supporti, tutti fissati con il caolino. Achrome di carta, pelli, paglia, cloruro di cobalto, fibra artificiale, peluche, panini (le milanesi michette), polistirolo, ovatta, cotone idrofilo, panno, sassolini. Insieme a queste opere le Linee tendenti all’infinito dello spazio e del tempo ma intanto inscatolate in cilindri e numerate (in esse, scrisse Vincenzo Agnetti, «finalmente il tempo si è fatto visibile»).
Ancora: Uova con sopra le impronte digitali di Manzoni, uova che dai partecipanti alle sue serate venivano mangiate (eucaristia) o, da qualcuno, conservate (reliquia). La Base magica, saliti sulla quale si diventava automaticamente delle opere d’arte con tanto di certificato da parte dell’autore; ma lo si rimaneva solo fintanto che si stava là sopra. Cominciò a firmare i corpi di alcune modelle rendendole Sculture viventi e a soffiare in dei palloncini, creando il Fiato d’artista.
Nel 1961 l’editore Jan Petersen gli propose di pubblicare una monografia a lui dedicata. Manzoni la intitolò Vita e opere e la fece consistere in una serie di fogli di plastica traslucida. Vuoti.
Vuoti? No, riempiti della pienezza semantica della quale l’opera di Manzoni è forse la più radicale testimonianza nell’ambito delle arti figurative. Manzoni_Sculture_viventiManzoni infatti scrisse che «un quadro vale solo in quanto è essere totale», che le immagini devono risultare «quanto più possibile assolute» e cioè non debbono valere per ciò che esprimono o che spiegano «ma solo in quanto sono: essere». Il gioco serissimo dei significanti va molto oltre Duchamp, va oltre tutto. L’opera è un puro significare senza alcun significato. Soltanto in questo modo si può raggiungere l’obiettivo al quale Manzoni si dedicò con lucidità: «La trasformazione dev’essere integrale» e radicata sul terreno universale dell’essere, la temporalità. «Consumato il gesto, l’opera diventa dunque documento dell’avvenimento di un fatto artistico». Sul significante assoluto -il tempo e il suo procedere- la mostra infatti si chiude: «Non c’è nulla da dire: c’è solo da essere, c’è solo da vivere».

 

3 commenti

  • agbiuso

    Maggio 14, 2014

    Caro Diego, le riflessioni di Sommovigo -compresa quella sulla differenza tra l’arte italiana e la Pop art statunitense- mi sembrano condivisibili. Sì, il significante primo è il corpomente.

  • diego

    Maggio 14, 2014

    Qualche settimana fa, nella libreria, chiesi a una persona abbastanza competente di arte italiana contemporanea una sua spiegazione su le azioni/produzioni di Manzoni. Anzitutto mi ha confermato la genialità e la potenza significativa di questo grande artista, e poi mi ha detto che a suo avviso un elemento importante in Manzoni è il senso della corporeità (come si evince per esempio da palloncini gonfiati a fiato, le impronte sulle uova, fino alle celeberrime scatolette), corporeità che impregna di significato al di là del «pensare» artistico convenzionalmente accettato. L’intervista è un video rudimentale fatto al volo. Sommovigo insiste anche sulla enorme superiorità dell’arte italiana (per esempio di Pistoletto) rispetto alla pop art statunitense che, secondo lui, è stata spinta da interessi economici e di potere. Io non sono in grado di giudicare queste posizioni, però mi sembrano interessanti.

  • Pietro Ingallina

    Aprile 29, 2014

    “L’arte è sempre stata borghese, consolatoria idiota, mentecatta, stupida; soprattutto è stata cialtrona e puttanesca e ruffiana. L’arte deve essere incomunicabile. L’arte deve solamente superare se stessa! Ecco perché tocca a noi – chissà a chi! -, ma a noi, una volta fuori di noi essere un capolavoro; uscire fuori dal modo, come diceva S. Juan de la Cruz, per pervenire là dove non va più modo. Quello che i Nostri ci si auspicavano, volevano e dicevano: dall’informe. Mi sono spiegato? Ma non posso che cercare di spiegare il mio disagio. Eh… non altro… Non posso dare appuntamenti con il reale, con l’ovvio, con l’odio, con il razionale. Ecco, è questo: il Buio! spegniamo le luci!”

    Carmelo Bene. Il buio

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