Nymphomaniac – Volume 1
di Lars von Trier
Danimarca, 2013
Con: Charlotte Gainsbourg (Joe), Stellan Skarsgård (Seligman), Stacy Martin (Joe da ragazza), Shia LaBeouf (Jerome), Christian Slater (il padre di Joe), Uma Thurman (la signora H), Sophie Kennedy Clark (B)
Trailer del film
Una donna dal volto tumefatto e ferito racconta la propria vita all’uomo che l’ha raccolta e soccorsa. Joe dice di se stessa che è persona spregevole, colma di egoismo e di peccati. Tra questi «l’aver chiesto di più al tramonto, i più spettacolari colori». Il padre le aveva insegnato, bambina, a godere della bellezza del faggio, «l’albero più bello e più invidiato del bosco». Il ricordo più intenso di Joe è la lunga agonia di questo giovane padre in ospedale, della quale il film nulla risparmia, mostrando i deliri e la cacca ma anche la dolcezza dell’essere stati e del commiato.
Tanti uomini. Sfidati, sfruttati, derisi, abbandonati, posseduti, distrutti. In una scena estrema uno di tali maschi, che nulla sono per lei, le si presenta con le valigie dopo aver lasciato la moglie e i tre bambini. La moglie lo segue, portando appresso la prole. E parla parla nello strazio dell’essere stata lasciata. Ma Joe dichiara, gelida, «è soltanto un grande malinteso, io non amo vostro padre».
Le sfide in treno con un’amica d’avventure: un sacchetto di cioccolattini sarà il premio per chi delle due si accoppierà con più maschi lungo il viaggiare. Soprattutto evitare l’amore, che è la suprema debolezza del desiderio. Ma un uomo, almeno uno, Joe sembra averlo amato. Jerôme, al quale ragazzina chiese di prendersi la sua verginità -e lui lo fece nel modo più sbrigativo e brutale-, che incontra dopo alcuni anni come datore di lavoro, del quale sembra innamorarsi ma che all’improvviso si sposa e scompare. «L’amore non è cieco, è peggio. L’amore distorce la realtà». Verissimo, naturalmente.
Eventi, piaceri, morte, solitudine. Tutto immerso nella piena, feroce e trionfante naturalità della nostra specie. Insetti, galassie, felini. Natura che accompagna altra natura e la sostanzia di assurdità e di senso. Sullo sfondo e nella trama concettuale il pensiero di Spinoza e quello di Sade. Due modi diversi di dire che «per bonum id intelligam quod certo scimus nobis esse utile» (Ethica IV, Definizione 1), che «humanas actiones atque appetitus considerabo perinde ac si quæstio de lineis, planis aut de corporibus esset» (Ethica III, Prefazione)1, Anche de Sade invita a «ne soupçonner de mal à rien, de voir avec la plus tranquille indifférence toutes les actions humaines, de les considérer toutes comme des résultats nécessaires d’une puissance, telle qu’elle soit, qui tantôt bonne et tantôt perverse, mais toujours impérieuse»2.
Un gelo geometrico percorre Nymphomaniac, un ritmo matematico che vibra nelle musiche di Bach e nella sin dall’inizio ripetuta serie di Fibonacci, quella per la quale il numero successivo è la somma dei due precedenti. 1+1=2, 1+2=3, 2+3=5, 3+5=8, 5+8=13, 8+13=21, 13+21=34, 21+34=55 e così via ∞. Lo stesso rapporto tende alla sezione aurea, fondamento del Partenone, e sta inscritto nell’ordine delle lettere che compongono il nome di Bach. 2-1-3-8, numeri della serie di Fibonacci la cui somma è 14, cifra che ricorre spesso nell’opera del compositore. Come se la bellezza estrema, il supremo ordine e l’armonia nascessero dalla serie disordinata delle passioni di cui siamo fatti.
Un film cupo e magnifico.
Note
1.«Bene è ciò che sappiamo con certezza che ci è utile»; «Le azioni e gli appetiti devono essere osservati come se fosse questione di linee, superfici o corpi».
2. «Non supporre nulla di male nelle cose, considerare con la più tranquilla indifferenza tutte le azioni umane, ritenerle tutte come prodotti necessari di una potenza, qualunque essa sia, a volte buona a volte perversa ma sempre imperiosa» (Eugénie de Franval).
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10 commenti
Alberto G. Biuso » Dipende
[…] e tale argomento è cinematografico per eccellenza» (Merleau-Ponty). Questo è l’argomento di Nymphomaniac: la potenza e i limiti della […]
mario
che acuta riflessione, incamero in vista della recensione del volume II 😉
Dario Carere
Ti sono molto grato per aver dedicato dello spazio a questo splendido film, di cui ho visto entrambi i volumi. Questa perla si aggiunge a Dogville, Manderlay e Dancer in the dark, tutti magnificamente sinceri nella rappresentazione delle illusioni umane, nonché lucidamente sfiduciati nei confronti di qualunque giustificazione consolatoria. Von Trier si è per fortuna disinteressato alla mentalità dello spettatore comune, anche perché ormai, dato lo stratosferico budget di cui disponeva per questo film, se lo poteva permettere.
Il dramma di Joe va visto, secondo me, anche sotto la luce della sublimazione estetica: l’affermazione iniziale e finale della protagonista, cioè quella secondo cui il suo male è stato quello di desiderare fino alla fine colori più intensi, ossia una vita più autentica, è forse la spiegazione più perfetta che poteva darsi circa il travaglio dell’artista, o in generale della mente che non accetta di rinunciare a pensare – quel tipo di mente che ieri disponeva del tempo e dei soldi per fare ragionamenti, oggi è il più delle volte costretta in una vita mediocre e alienante.
Il conseguimento dell’orgasmo, per quanti pensano attivamente ad esso, rimarrà sempre di per sé deludente rispetto allo sforzo per compierlo, e non poteva essere trovata metafora migliore di quella sessuale per esprimere il continuo desiderio di riempire il proprio vuoto, di colmare finalmente il proprio nichilismo (desiderio di chi, ovviamente, è all’altezza del nichilismo).
Alcune osservazioni di Joe, come quella che i valori umani non hanno altro nome che “ipocrisia”, o quella che la maggioranza resterà sempre troppo mediocre per la democrazia, dà finalmente giustizia ai (pochi) animi pensanti, sempre disadattati e fuori luogo in un mondo di finti pensanti che perseguono finti orgasmi per finte convinzioni ecc. ecc. L’arte, si potrebbe dire, è una ninfomania della mente.
diego
Mi sia concessa una segnalazione macabra/ironica, a riguardo dei numeri di Fibonacci, della spirale come elemento cardine del dispiegarsi della vita.
Se ne sono accorti anche i responsabili del marketing di questa ditta di attrezzature funebri, che hanno collocato a sfondo del loro prodotto «bio-funerbag» proprio la spirale delle conchiglie. Secondo me non è un caso.
Caro Alberto, scusami per il link davvero inusuale
http://www.ceabis.it/ita/bio-funerbag/sacchi-in-mater-bi-per-feretri.html
Lucrezia Fava
Sì,”come se fossimo destinati al vizio di comprendere” e quindi a elaborare qualsiasi cosa possa soddisfare la nostra struttura semantica… o qualsiasi struttura semantica possa viziarci?! 🙂
Esplicitando la mia intuizione, caro Professore Biuso, l’ha resa sicuramente molto feconda.
agbiuso
“Sembra invece che voglia dimostrare l’inevitabile permanenza del senso in ogni parte in cui lo si scompone”.
La sua, cara Lucrezia, mi sembra un’intuizione ermeneutica molto feconda, che coniuga la struttura-donante-senso in cui consiste l’animale umano con (nel finale del suo testo) la dimensione ludica nella quale alla fine ogni nostro agire si dissolve, per quanto tragico possa essere. Come se fossimo destinati al vizio di comprendere e -là dove a comprendere non riusciamo facilmente- ci inventiamo linee, ragnatele, visioni del mondo, fedi, leggi scientifiche, filosofie, passioni, piaceri. Todo modo pur di vivere, per quanto gettati.
Di questo spazio può “approfittare” quando vuole.
Lucrezia Fava
Aggiungo la mia voce alla polifonia. Non avendo né un blog né un sito per le mie riflessioni approfitto di questo spazio.
Ho apprezzato molto sia la recensione di Mario che questa del Professore Biuso. Condivido le riflessioni di entrambi.
“La fica come cannocchiale puntato verso la morte”,
come ennesimo modo di vivere utile a ingannare il tempo nell’attesa di poter morire. Ma tra tanti modi possibili, il più ironico, il più inequivocabile, più sfacciatamente onesto: basato solo sul piacere, che nasce e muore di continuo con la brevità di un soffio e al di là di ogni giudizio e spiegazione razionale: come ogni vita umana.
“La bellezza estrema, il supremo ordine e l’armonia”
come risultato della serie disordinata delle nostre passioni. La possibilità di un senso che raccoglie e rischiara la molteplicità dell’essere proprio perché scaturisce da questa molteplicità -che quel genio di Lars Von Trier è in grado di rappresentare.
Lars Von Trier presenta fin dall’inizio un senso definito e fa del seguito del film un mezzo (perverso) per scomporlo. L’obiettivo non credo sia né dimostrare che il senso degenera o scompare se lo si frantuma, né che sopravviva alla frantumazione soltanto perché è l’unico filo logico in grado di raccoglierla e spiegarla. Sembra invece che voglia dimostrare l’inevitabile permanenza del senso in ogni parte in cui lo si scompone.
All’inizio del film Joe si definisce un essere umano orribile. Pensa che il senso della vita -deve averne un’idea per poter formulare un giudizio su se stessa-, nel suo caso, sia degenerato. E continuerà a sostenerlo durante e con il suo racconto. Seligman, da parte sua, tenterà con gentilezza, pacatezza e cultura di mostrare a Joe che è “soltanto” un essere umano: per quanto orribili siano i capitoli del suo racconto, possiamo vedervi un senso che si mantiene immune dalla degenerazione. Questa dialettica tra i due mi ha fatto subito pensare a un altro gioiello di Lars von Trier, l’esperimento cinematografico sviluppato con Jørgen Leth, Le cinque variazioni. Il fine pedagogico -dichiarato dallo stesso von Trier- è dimostrare a Leth -autore del cortometraggio L’essere umano perfetto– come non possa elaborare una rappresentazione della perfezione umana senza ingannare se stesso, senza prendere le distanze dall’essere umano stesso nell’atto di rappresentarlo. La linea di von Trier risulterà perdente: Leth dimostra che non è neppure possibile rappresentare che l’essere umano non sia perfetto, come vorrebbe von Trier.
Così come il senso, anche la perfezione è vista nell’inevitabile totalità dei modi di essere. Per questo, e riprendo un’affermazione di Seligman, non può essere confutata dall’idea del peccato, estrapolando quest’ultima dalla religione. La perfezione deve comprendere in sé ogni idea. Deve: sta a noi dare unitarietà alle nostre azioni, con la “semplice” consapevolezza del fatto che nel momento in cui agiamo, agiamo in accordo a un nostro desiderio -Seligman annota anche questo dopo aver ascoltato l’episodio del treno.
Un’interpretazione generica di Nymphomaniac potrebbe essere: scomporre l’essere umano nella molteplicità dei suoi vizi produce piacere nella misura in cui questa scomposizione può avvenire all’infinito, nella misura in cui non si perde il senso d’insieme o la logica sottostante alla scomposizione. E questo vale sia per chi scompone sia per chi assiste alla scomposizione. Il vizio del piacere ovviamente fa tutt’uno col piacere della scomposizione.
Aspettiamo la II parte 🙂
Un cordiale saluto,
lf
agbiuso
Sì, cari amici, questo film così matematico merita una riflessione a più voci. Perché polifonica è l’esistenza. E in essa l’eros.
Grazie a Mario per il link dentro la sua recensione, da leggere per comprendere da dove nasca l’opera di von Trier.
mario
Sapevo che avremmo potuto abbeverarci a una lettura del film densa di spunti filosofici, come appunto il geniale danese richiede. Più profonda della mia, più descrittiva e collegata ai recenti film del von Trier, che comunque leggete QUI, opportunamente corredata del link a questa di Alberto… in attesa della riflessione “polifonica” che andiamo covando per la conclusione del Volume II del film 🙂
diego
Fibonacci, un argomento di enorme interesse, caro Alberto.