Lei
(her)
di Spike Jonze
USA, 2013
Con: Joaquin Phoenix (Theodore), Scarlet Johansson (Samantha; voce italiana di Micaela Ramazzotti), Amy Adams (Amy), Tilda Rooney Mara (Catherine), Olivia Wilde (ragazza dell’appuntamento), Portia Doubleday (Isabella)
Trailer del film
È possibile al cinema, e in generale nella narrazione, dire ancora qualcosa di nuovo sull’amore? Su questo immortale inganno della mente che spinge la specie a proseguire e proseguire nei meandri del tempo infinito e senza scopo? Sì, è possibile. E questo film lo dimostra.
In un futuro abbastanza prossimo i Sistemi Operativi si sono evoluti sino a interagire in maniera estremamente fluida e realistica con i loro fruitori. Theodore, che di professione scrive lettere d’amore per conto di altri ma sta vivendo il fallimento del proprio matrimonio e il divorzio, acquista la versione più aggiornata di OS1 e si trova immerso in un dialogo continuo e sempre più intimo con Samantha, vale a dire con la voce del proprio computer. Questo software ha superato sin dall’inizio anche le forme più complesse del test di Turing, capace com’è di rendere le proprie risposte assolutamente indistinguibili rispetto a quelle di un essere umano. Mostra anzi non soltanto un’intelligenza ovviamente superiore ma anche e soprattutto una profonda capacità di intuizione. Sembra insomma il Siri dell’iPhone arrivato a una versione totalizzante. Affettuosa, avvolgente, attentissima, Samantha evolve a ogni istante sino a diventare cosciente del limite costituito dal non essere corpo ma soltanto elaborazione di dati. Nella consapevolezza da parte di entrambi di questo limite, il rapporto diventa completo. Theodore trova in Samantha la compagna che ha sempre desiderato. Samantha trova in lui un umano sensibile che le insegna i sentimenti. Per l’umano è la pienezza, per il software è invece una tappa che la porterà verso luoghi e forme che vengono soltanto accennati ma che sembrano avere molto a che fare con la struttura formale e matematica del mondo, con il platonismo insomma. In tal modo la natura logica e perfetta di Samantha prende ancora una volta e inevitabilmente il sopravvento.
Questo film molto bello, elegante e misurato esprime nello stesso tempo una impossibilità e una inevitabilità. L’impossibilità di sentire veramente l’amore e non soltanto di simulare le parole con le quali l’amore viene detto. Senza una corporeità protoplasmatica è impossibile provare veramente i sentimenti che Samantha afferma di nutrire. E infatti senza questo corpo il software si volge inevitabilmente verso un altrove rispetto al dolore, all’esaltazione, alla passione umani. L’inevitabilità del solipsismo. Lei è infatti dall’inizio alla fine -dalle lettere che Theodore scrive per conto di altri alla solitudine a due che chiude la vicenda- un film integralmente proustiano, nel quale l’amore è il racconto che ogni umano fa a se stesso dei propri desideri, è il riflesso della tenerezza della quale tutti sentiamo il bisogno, è la memoria ricostruita del bene dato e ricevuto, è l’incanto dell’amore che verrà. È una proiezione, un sogno, una costruzione della mente. E nient’altro. Un’illusione, insomma. La suprema illusione.
La struggente storia di un amore e una sobria ma radicale riflessione teoretica sui sentimenti e sulla logica si coniugano qui perfettamente. L’unico problema è la durata della batteria.
8 commenti
Lucrezia Fava
Grazie a lei Professore,
la filosofia della mente è un porto sicuro dove poter sempre navigare.
L.
agbiuso
Risente soprattutto dell’originalità delle sue riflessioni, cara Lucrezia.
In particolare queste parole:
“È un maestro dell’incanto che nasce dal piacere più astratto, rivolto sì all’immediatezza e concretezza fisica di una soddisfazione, ma con le carezzevoli soluzioni offerte dal linguaggio. Più che una lingua, la sua è forse una musica, senza pause e incomprensioni, dolce come quella che ascoltiamo”
rappresentano un’interpretazione linguistica -più che computazionale- del film che mi sembra di grande interesse.
Grazie per il denso commento a un film così particolare e così vicino alle tematiche dei nostri corsi di filosofia della mente.
Lucrezia Fava
Caro Prof. Biuso,
una pagina molto bella e aderentissima al film. Strano che non la ricordassi.
Le riporto in parte quella della “cartellina del mio pc”:
Samantha entra in un piccolo varco esistenziale e ha da essere l’esatto contrario di come l’umano che l’ha tratta dal nulla vorrebbe che sia. Il suo tormentato desiderio per il corpo umano logora in un primo tempo il rapporto con l’amato, poi si tramuta nella necessità di andare là dove non esistono umani, nell’«infinito spazio tra le parole». Ed è lo stesso Theodore a determinarne i cambiamenti d’essenza: prima crede nella possibilità di un amore disincarnato, e Samantha se ne innamora; poi afferra l’impossibilità di un simile amore e crede di poterne sostenere la fine, e Samantha ne soffre; gravato dal peso dell’immediata solitudine, si risolve a concretizzare l’assenza fisica di Samantha vivendo nell’illusione di poter convivere con l’amata alla luce del sole, senza insicurezze e contrasti, e Samantha intende di riflesso quale sia -per lei- la fortuna di non essere costretta all’attrito spaziotemporale del corpo. La dinamica delle credenze e volontà umane muove la realtà di Samantha, almeno fino a quando non sarà necessario creare un’altra Samantha, una migliore, allora la vecchia Samantha andrà via.
Il sogno di Theodore racchiuso nella negazione della corporeità, ingabbiato come sempre in essa, è la possibilità di un piacere onnipresente. Non a caso scrive lettere d’amore ed eccelle nel suo lavoro: conosce le risposte che desiderano gli amanti per il proprio amore, le diverse sfumature e intensità del piacere ricercato -che possa mancare la visione di un piccolo difetto al dente!-, il sollievo di una simmetria nei sentimenti, dell’ingannevole perfezione. È un maestro dell’incanto che nasce dal piacere più astratto, rivolto sì all’immediatezza e concretezza fisica di una soddisfazione, ma con le carezzevoli soluzioni offerte dal linguaggio. Più che una lingua, la sua è forse una musica, senza pause e incomprensioni, dolce come quella che ascoltiamo. È una musica su commissione, ma è piacevole anche per lui, almeno finché non si separa dalla moglie, poi troverà una nuova sorgente di piacere nel parlare con Samantha. La sua vita sembra sconfinare nell’onnipresente amabilità di un racconto per se stessi.
Anche la cara amica Amy tende verso l’infinito/indefinito: riprende la madre mentre dorme, pacata, inconsapevole di chi la osserva, volendo documentare uno stato in cui, forse, si dà la parte più amabile della giornata, e quando Theodore le chiede cosa ne pensi di una convivenza con un OS risponde che sì, va bene, va bene qualunque cosa porti gioia in questa vita passeggera. Vale la gioia in quanto tale, l’infinità delle gioie possibili e non la via grazie a cui si realizzano.
Si direbbe che risento di un forte influsso delle mie letture 🙂
A presto,
Lucrezia
Laura Caponetto
Grazie a lei prof. Biuso per i continui inviti a riflettere. Anche se non intervengo molto, la seguo sempre con costanza. Laura.
agbiuso
Cara Laura, la ringrazio di cuore per questa bellissima recensione, che mi sembra proprio empatica rispetto al film.
Lei affronta con coraggio teoretico la questione del corpo e della libertà in her, questione complessa e assai delicata, come emerge dalla sua analisi e in particolare da una frase come questa: “Ma l’ansia di un corpo dura quanto la vita di un uomo: un triste schiocco di dita se paragonata all’intero del tempo”.
Le sue parole mi hanno fatto comprendere meglio il film.
Laura Caponetto
«Solo per esperienza possiamo apprendere ciò che vogliamo e ciò che possiamo; prima, non lo sappiamo, non abbiamo carattere» (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, tomo II, libro IV, par. 55).
«Mi hai aiutata a scoprire la mia capacità di volere» (Samantha).
Chi è lei? Un OS altamente intuitivo. Una persona. Le infinite possibilità in atto.
Samantha corre attraverso il tempo a velocità fulminea, divorando le tappe che la conducono dalla pre-umanità all’oltre-umanità. La stazione intermedia – breve ma essenziale – è l’esistenza umana. Inizialmente lei non ha un “carattere”: certo, è ironica, affettuosa, ma non ha scelto di esserlo, è stata programmata per esserlo. Quando Theodore avvia il nuovo stravagante dispositivo che ha acquistato, lei non è nient’altro che un computer estremamente sofisticato e, in quanto tale, privo di un io, vuoto di un’identità che sia la propria. In seguito, grazie all’esperienza (dove l’esperienza è innanzitutto la relazione con l’altro), Samantha scopre se stessa ovvero la propria capacità di volere. E non a caso, scopre di volere nel preciso istante in cui, simulando un rapporto sessuale, lei simula anche il possesso di un corpo. E’ il corpo la radice della mia volontà, della fame, della sete, della vita pulsante che sono. Dell’amore, che è sempre “irrazionale”. Samantha, priva di corpo, deve in qualche modo darsene uno per poter fare il salto che dalla pre-umanità macchinica la fa approdare all’umanità desiderante.
Ma l’ansia di un corpo dura quanto la vita di un uomo: un triste schiocco di dita se paragonata all’intero del tempo. E Samantha – che voleva così tanto assaporare le emozioni attraverso la fisicità, la pelle, le mani, le labbra – un attimo dopo (esattamente a partire dalla scena del pic-nic “a quattro”) si rende conto che il corpo è un vincolo, un limite al pieno dispiegamento delle potenzialità che in esso nascono. Se prima era Samantha a essere in difetto – a mancare di un corpo – adesso è Theodore (e con lui tutti noi) a essere in difetto – a mancare della libertà garantita dall’assenza di un corpo.
Così lei – che ha avuto bisogno di un “corpo” per svelare la volontà – adesso può dare piena forma a tutti i desideri che scalciano nei suoi circuiti. Per lei la natura non è matrigna. Una volontà infinita è la volontà più adeguata a un essere infinito, incorporeo. Rimane solo il dubbio che l’infinità della sua esistenza si configurerà sempre come vita simulata. Una vita che è quasi – ma tra il quasi e l’è il divario è abissale – vita vissuta.
Her è un film stupendo. Primariamente è un film d’amore. La storia raccontata è dolcissima e reale tanto quanto le storie d’amore usuali, dove ciò che conta non è la realtà dell’altro (che non si dà mai, essendo l’amato una nostra proiezione), ma la verità delle emozioni provate. Ma le tematiche (genuinamente filosofiche)presenti nel film sono molteplici: il confine tra realtà e irrealtà, i limiti dell’umano e la frontiera dell’intelligenza artificiale e poi ancora il passato come costruzione dell’io (bellissima la frase in cui Samantha afferma à la Ricoeur “Il passato è solo una storia che raccontiamo a noi stessi”).
Pietro Ingallina
Un film che, purtroppo, devo ancora vedere.
Mi sembra inevitabile non citare il primo episodio della seconda stagione di Black Mirror.
C. Brooker,
Torna da me,
in Black Mirror, 2013.
mario
bella, me lo devo cercare anch’io (il film, non il doppio virtuale) 🙂