“Offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica”.
Un bel reato d’opinione di stampo ottocentesco, in vigore nell’Italia contemporanea.
Nell’impossibilità di replicare alla marea di livorose imbecillità anti-anarchiche che sta montando al momento, come Archivio Giuseppe Pinelli non possiamo però esimerci dall’intervenire a proposito delle dichiarazioni fatte da alcuni individui afferenti alla commissione parlamentare cultura sull’Archivio Storico della Federazione Anarchica Italiana. Sono dichiarazioni che, pur nominando solo l’ASFAI (probabilmente per semplice incompetenza, perché era troppo difficile individuare i nomi di altri soggetti), sono ovviamente riferibili a tutti gli archivi anarchici.
Viene richiesto di togliere qualsiasi riconoscimento (e finanziamento) pubblico a ogni archivio che faccia “apologia di terrorismo”, chiedendo persino l’intervento del Ministero dell’Interno per individuare sui loro scaffali eventuali documenti “pericolosi”, che nulla avrebbero a che fare con le “carte storiche” che un archivio dovrebbe conservare.
Da tali affermazioni emergono – poco sorprendentemente – concezioni della storia e della cultura a dir poco problematiche. Si confonde innanzitutto il lavoro culturale degli archivi con la propaganda politica. Se gli archivi non potessero preservare tutti i documenti esistenti in merito a un movimento politico, o riferiti a un certo periodo storico, che tipo di storia si finirebbe a fare? Forse lo sappiamo: come emerso da alcune parti del discorso inaugurale del nuovo governo, appare evidente la passione per cancellare o riscrivere le pagine di storia italiana non gradite (e qui potrebbe essere illuminante approfondire, per esempio, quali forze politiche erano nella Resistenza e quali nella Repubblica di Salò).
Una componente non secondaria del ragionamento in merito all’ASFAI è l’assioma “anarchico uguale terrorista”, tornato in questi giorni nuovamente alla ribalta. Dando per buona la definizione di terrorista, che in questo periodo viene applicata in maniera disinvolta anche per bollare atti terrificanti come delle scritte sui muri, che cosa stanno cercando di dirci? Che bisognerebbe dare alle fiamme testi e documenti che parlano di pratiche e idee violente? E che ne facciamo allora degli archivi di storia militare? Che ne facciamo degli istituti di storia risorgimentale dato che gran parte dei patrioti italiani possono essere considerati dei terroristi a pieno titolo (a partire da Mameli, ferito mortalmente sulle barricate della Repubblica Romana mentre sparava al potere costituito)?
In altre parole, dev’essere il Ministero dell’Interno a decidere quali documenti possano essere conservati? In questo caso, proprio come sono state inventate alcune fantasiose denominazioni per diversi ministeri, ne poteva beneficiare anche quello alla Cultura, diventando ad esempio il Ministero della Cultura Autorizzata.
La storia dell’anarchismo – pur non essendo per ovvi motivi storia dello Stato italiano – fa parte a pieno titolo della storia italiana, sia per il contributo degli anarchici a momenti storici decisivi, sia per l’influenza (spesso non riconosciuta) dei suoi contenuti sulla più generale cultura. Lo Stato può pure decidere di non finanziare la preservazione di questo patrimonio storico e culturale – che peraltro è in buona parte autogestito – ma siamo curiosi di sapere quale criterio adotterà nella selezione dei soggetti da finanziare con la cosa pubblica. Quella annunciata è un’eccezione per gli anarchici o si allarga a tutte le “forze antisistema”? Perché, in questo secondo caso, che si dovrebbe fare con gli istituti che si occupano di storia del fascismo (e sia chiaro che noi non siamo per la cancel culture)?
È cosa nota che la storia sia in buona parte scritta dai vincitori, ma da qui a tornare alle veline di polizia per parlare degli anarchici – come si sta facendo adesso – è davvero un segno dei tempi. Che non sono tempi di “terrore”, ma di miseria politica e di eroi di cartapesta.
Da molto tempo ormai il sostantivo anarchia è ingiustamente usato come contenitore di tutto ciò che è inspiegabile, disordinato, estremo, violento ma in questo momento storico si assiste a una sua banalizzazione e strumentalizzazione che sfiora il ridicolo. È scontato ma sembra che vada sottolineato: non c’è nessun rischio di rivoluzione anarchica. Anche perché l’anarchia non si può istituzionalizzare. Questo è uno dei suoi capisaldi condiviso peraltro dal marxismo (Marx scrive infatti: ‘Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente’) ma non ditelo ai sovietici convinti. In soldoni sta accadendo che Bakunin, Kropotkin, Malatesta, solo per citare i più noti, vengano criticati dai cronisti più mediocri di sempre. Ah, quasi dimenticavo: dei mediocri che non hanno mai letto una pagina di teoria politica e di questi che ho elencato.
Un caro saluto
La fabbrica dei nemici è sempre aperta, e lavora a tambur battente per garantire a tutti la giusta dose di paura. Quando la produzione di un nuovo nemico si inceppa, si vanno a pescare vecchi nemici dal passato remoto, dalle linee di produzione dismesse: funziona sempre. E così, monta una “emergenza terrorismo” proveniente dal XX secolo (se non da quello prima), e si moltiplicano le “piste anarchiche”, fra “attentati” alle sedi diplomatiche italiane in Europa (particolarmente “credibile” quello che aveva colpito la sorella di Elly Schlein ad Atene all’inizio di dicembre), roghi di macchine (“5 auto a fuoco: si ipotizza la pista anarchica”), incendi generici (“Pescara, fiamme in pieno centro: l’ipotesi degli anarchici”). Questi misfatti si sarebbero consumati proprio nel momento in cui Alfredo Cospito, l’anarchico in sciopero della fame da cento giorni per protestare contro il regime di carcere duro che gli è stato inflitto ad onta di ogni principio giuridico, campeggia sulle copertine a fianco di Matteo Messina Denaro, la cui cattura, secondo le prevedibili malelingue, rientrerebbe in quella famosa trattativa Stato-Mafia che non si è mai interrotta e nell’ambito della quale sarebbe ora sul piatto l’abolizione del 41-bis per i boss condannati nei processi degli anni passati. Tutto questo alla faccia della pinocchiesca affermazione “Lo Stato non tratta con mafiosi e terroristi”, pronunciata in questi giorni da diversi esponenti della maggioranza di governo, fra cui quel Giovanni Donzelli che è stato mandato avanti, come il proverbiale cretino del film, ad associare con disinvoltura anarchici e mafiosi, lotte politiche e faide criminali, nemici pubblici ed “impiegati pubblici” che al posto di penne e timbri hanno usato il tritolo. In tutto questo ci guadagna pure il PD, che è stato accusato da Donzelli di essere un fiancheggiatore del terrorismo: il tesseramento è ai minimi storici, le primarie non se le fila nessuno, la liquefazione è lì a un passo…ed ecco che, davanti a questo “ignobile attacco della destra”, si serrano i ranghi, si urlacchia privi di fiato “siamo tutti antifascisti!”, si convince il cugino riottoso che con Elly Schlein sarà tutta un’altra roba. Prima dell’arresto di Messina Denaro, Cospito si era guadagnato giusto qualche trafiletto, nonostante la sua protesta andasse avanti da mesi, e le notizie sulle iniziative di solidarietà erano circolate solo su siti e canali poco frequentati. Ora pare che siano tornati gli anni di piombo, quelli in cui le “piste anarchiche” si fabbricavano a tavolino per depistare le indagini sulle stragi di Stato. gli anarchici volavano dalle finestre delle questure per inspiegabili “malori attivi” e i vari “terroristi” a libro paga dei servizi ed al servizio degli americani facevano il loro sporco lavoro portando la paura in ogni piazza, in ogni strada, in ogni tinello. Comunque la si pensi sulla questione, Cospito non c’entra nulla con la Mafia; egli si trova ormai alla mercé di un gioco più grande di lui partorito dalle solite menti raffinatissime, nell’ambito del quale è solo una pedina fra le tante.
Gli anarchici sono da due secoli l’alibi preferito di ogni regime. Ora lo è anche di quello incarnato da Meloni, Mattarella e loro soci presenti e passati. In realtà milioni di cittadini – me compreso – sono da anni sotto la minaccia dello stato italiano e delle sue leggi inique.
Così si pronuncia il governo italiano, che detiene al 41bis un cittadino che non ha ucciso o ferito nessuno.
Invece “scendere a patti” con i criminali mafiosi è cosa sempre possibile e legittimata da presidenti della Repubblica (Napolitano e altri). Anche per questo quelle del governo sono parole false.
L’anarchismo si dà come obiettivo la massima libertà possibile unita alla massima eguaglianza possibile, in modo da evitare l’arbitrio della libertà di uno solo o di pochi e la piattezza di una eguaglianza imposta con la forza. Credo che sia un buon progetto, anzi il migliore.
Mi piace molto questo passaggio perché caratterizza l’anarchismo per la sua reale vocazione di pensiero sociale, sventando il tentativo, spesso anche abilmente riuscito, di leggere l’anarchismo in chiave prettamente individualista, in stile «destra colta». Dunque una critica potente del potere quando opprime il sano dispiegarsi dell’essere umani, nella consapevolezza che una sostanziale egualianza va perseguita, proprio per rendere liberi, in un concetto di libertà concreto, quasi quotidiano. Del resto poi ogni intellettuale userà il suo talento laddove meglio eccelle, e di certo la lettura della macchina spettacolare, sulla scia di Debord e di Pasolini, è un aspetto centrale del filosofo Biuso «politico». Direi che ci siamo, è un buon orizzonte, questo, per ragionare assieme.
Caro Diego,
come hai visto anche dall’articolo (ma credo che tu abbia letto per intero L’anarchismo oggi), l’anarchismo non è un partito né un movimento unitario ma costituisce un arcipelago di individui e gruppi convinti che la libertà sia il bene supremo della vita collettiva.
Non esiste pertanto una dottrina anarchica ed è quello che ho cercato di dire. Ci sono dei teorici che condividono l’ottimismo di cui parli, altri che hanno una posizione più articolata sull’umano e le sue possibilità. Io mi sento più vicino ai secondi.
Come hai ricordato, comunque, l’anarchismo contemporaneo è diverso e assai più antropologicamente avvertito rispetto a quello dei due secoli che ci hanno preceduto.
In ogni caso, credo che sia scorretto trarre conclusioni in ambito politico e sociale a partire dalle scienze naturali o dalla biologia, che sono importantissime ma non possono essere determinanti poiché si tratta di livelli differenti della vita e del sapere.
Da Darwin, per esempio, sono state tratte sia tesi razziste sia tesi solidaristiche in ambito sociale; credo che si tratti in entrambi i casi di errori.
Che ci sia nell’umano un desiderio di autonomia mi sembra innegabile, così come c’è un desiderio di sottomissione. Ma la politica è la tecnologia collettiva che si dà degli scopi e cerca di perseguirli. L’anarchismo si dà come obiettivo la massima libertà possibile unita alla massima eguaglianza possibile, in modo da evitare l’arbitrio della libertà di uno solo o di pochi e la piattezza di una eguaglianza imposta con la forza. Credo che sia un buon progetto, anzi il migliore. Sul modo di perseguirlo, le scelte sono differenti.
Étienne de La Boétie (1530-1563) si chiedeva proprio come potesse nascere tra gli uomini la servitù. Nonostante i secoli che ci separano dalle sue celebri risposte, credo che la lettura del Discorso sulla servitù volontaria (Chiarelettere, 2011) sia ancora oggi molto utile.
Il mio pensiero è che il dramma del potere e la sua forza stiano anche nella complessità della natura umana e delle relazioni che individui e società intessono tra di loro. Per abbattere “il Tiranno”, la cui madre è naturalmente sempre incinta, bisogna prima di tutto comprendere il labirinto dell’autorità, senza illudersi di percorrere scorciatoie psicologiche come quelle fondate sul primato (cristiano) della volontà. Se la servitù appare così spesso “volontaria” è anche perché essa si radica nella necessità della salvaguardia dei corpi individuali e collettivi. Salvaguardia tuttavia apparente, visto che il potere è per sua natura una macchina stritolatrice. Proprio per questo la riflessione politica e filosofica sui dispositivi sociali ha il compito di individuare la struttura storica del potere come potestas separandola dalla inevitabilità biologica -e quindi naturale e non volontaristica- del potere come potentia. Se la seconda è nella nostra natura, la prima va sempre combattuta. Credo che questa sia l’idea di molti anarchici, oggi. Molti, non tutti. Proprio perché gli anarchici non hanno dogmi né ideologi né comitati centrali né segretari né presidenti.
Caro Alberto, avrei una domanda, non allo scopo di contestare le interessanti e benissimo esposte considerazioni, ma per meglio acclarare il tuo pensiero al riguardo.
Prendiamo questo punto:
eguaglianza e differenza al di fuori di uno schema ottimistico sulla natura umana che Rousseau ha idealizzato in contraltare all’antropologia pessimistica di Hobbes, ma di cui fortunatamente il pensiero anarchico più avvertito è esente
Questo è molto interessante ed è anche un tema da te affrontato in «Contro il Sessantotto», cioè la critica alla concezione roussoviana dell’uomo. Io domando allora: non c’è comunque nell’anarchismo almeno su un punto un certo ottimismo a priori, e mi riferisco all’idea che gli umani ambiscano ad essere liberi? Chi puo’ con certezza affermare che un essere umano desideri «per natura» la libertà? In fondo il suo corpomente si è evoluto soprattutto in funzione della sopravvivenza, la stessa autocoscienza altro non è che un vantaggio evolutivo sviluppatosi per favorire l’auoconservaziione. La libertà, non è comunque un concetto culturale? Importante, bellissimo, nobile, ma non penso che sia innestata nel patrimonio genetico in quanto tale. Scusa Alberto per la domanda forse derivante dalla pochezza delle mie conoscenze, ma di certo il tuo parere puo’ come sempre esser prezioso strumento di chiarezza e conoscenza.
12 commenti
agbiuso
“Puoi essere anarchica, ma tienilo per te e non fare attività politica”
La repressione delle idee, di tutto.
agbiuso
“Offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica”.
Un bel reato d’opinione di stampo ottocentesco, in vigore nell’Italia contemporanea.
agbiuso
Archivi anarchici, terrorismo e censura
4.2.2023
Nell’impossibilità di replicare alla marea di livorose imbecillità anti-anarchiche che sta montando al momento, come Archivio Giuseppe Pinelli non possiamo però esimerci dall’intervenire a proposito delle dichiarazioni fatte da alcuni individui afferenti alla commissione parlamentare cultura sull’Archivio Storico della Federazione Anarchica Italiana. Sono dichiarazioni che, pur nominando solo l’ASFAI (probabilmente per semplice incompetenza, perché era troppo difficile individuare i nomi di altri soggetti), sono ovviamente riferibili a tutti gli archivi anarchici.
Viene richiesto di togliere qualsiasi riconoscimento (e finanziamento) pubblico a ogni archivio che faccia “apologia di terrorismo”, chiedendo persino l’intervento del Ministero dell’Interno per individuare sui loro scaffali eventuali documenti “pericolosi”, che nulla avrebbero a che fare con le “carte storiche” che un archivio dovrebbe conservare.
Da tali affermazioni emergono – poco sorprendentemente – concezioni della storia e della cultura a dir poco problematiche. Si confonde innanzitutto il lavoro culturale degli archivi con la propaganda politica. Se gli archivi non potessero preservare tutti i documenti esistenti in merito a un movimento politico, o riferiti a un certo periodo storico, che tipo di storia si finirebbe a fare? Forse lo sappiamo: come emerso da alcune parti del discorso inaugurale del nuovo governo, appare evidente la passione per cancellare o riscrivere le pagine di storia italiana non gradite (e qui potrebbe essere illuminante approfondire, per esempio, quali forze politiche erano nella Resistenza e quali nella Repubblica di Salò).
Una componente non secondaria del ragionamento in merito all’ASFAI è l’assioma “anarchico uguale terrorista”, tornato in questi giorni nuovamente alla ribalta. Dando per buona la definizione di terrorista, che in questo periodo viene applicata in maniera disinvolta anche per bollare atti terrificanti come delle scritte sui muri, che cosa stanno cercando di dirci? Che bisognerebbe dare alle fiamme testi e documenti che parlano di pratiche e idee violente? E che ne facciamo allora degli archivi di storia militare? Che ne facciamo degli istituti di storia risorgimentale dato che gran parte dei patrioti italiani possono essere considerati dei terroristi a pieno titolo (a partire da Mameli, ferito mortalmente sulle barricate della Repubblica Romana mentre sparava al potere costituito)?
In altre parole, dev’essere il Ministero dell’Interno a decidere quali documenti possano essere conservati? In questo caso, proprio come sono state inventate alcune fantasiose denominazioni per diversi ministeri, ne poteva beneficiare anche quello alla Cultura, diventando ad esempio il Ministero della Cultura Autorizzata.
La storia dell’anarchismo – pur non essendo per ovvi motivi storia dello Stato italiano – fa parte a pieno titolo della storia italiana, sia per il contributo degli anarchici a momenti storici decisivi, sia per l’influenza (spesso non riconosciuta) dei suoi contenuti sulla più generale cultura. Lo Stato può pure decidere di non finanziare la preservazione di questo patrimonio storico e culturale – che peraltro è in buona parte autogestito – ma siamo curiosi di sapere quale criterio adotterà nella selezione dei soggetti da finanziare con la cosa pubblica. Quella annunciata è un’eccezione per gli anarchici o si allarga a tutte le “forze antisistema”? Perché, in questo secondo caso, che si dovrebbe fare con gli istituti che si occupano di storia del fascismo (e sia chiaro che noi non siamo per la cancel culture)?
È cosa nota che la storia sia in buona parte scritta dai vincitori, ma da qui a tornare alle veline di polizia per parlare degli anarchici – come si sta facendo adesso – è davvero un segno dei tempi. Che non sono tempi di “terrore”, ma di miseria politica e di eroi di cartapesta.
Marco Iuliano
Da molto tempo ormai il sostantivo anarchia è ingiustamente usato come contenitore di tutto ciò che è inspiegabile, disordinato, estremo, violento ma in questo momento storico si assiste a una sua banalizzazione e strumentalizzazione che sfiora il ridicolo. È scontato ma sembra che vada sottolineato: non c’è nessun rischio di rivoluzione anarchica. Anche perché l’anarchia non si può istituzionalizzare. Questo è uno dei suoi capisaldi condiviso peraltro dal marxismo (Marx scrive infatti: ‘Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente’) ma non ditelo ai sovietici convinti. In soldoni sta accadendo che Bakunin, Kropotkin, Malatesta, solo per citare i più noti, vengano criticati dai cronisti più mediocri di sempre. Ah, quasi dimenticavo: dei mediocri che non hanno mai letto una pagina di teoria politica e di questi che ho elencato.
Un caro saluto
agbiuso
Anche il caso Cospito mostra con chiarezza che in Italia la magistratura è soltanto un organo politico tra i più squallidi e servili, in ogni campo.
Alfredo Cospito, Pippo e Nonna Papera
di Ivan Carozzi, Il Tascabile, 27.2.2023
agbiuso
Le piste anarchiche
di Giuseppe Russo
Avanti!, 2.2.2023
La fabbrica dei nemici è sempre aperta, e lavora a tambur battente per garantire a tutti la giusta dose di paura. Quando la produzione di un nuovo nemico si inceppa, si vanno a pescare vecchi nemici dal passato remoto, dalle linee di produzione dismesse: funziona sempre. E così, monta una “emergenza terrorismo” proveniente dal XX secolo (se non da quello prima), e si moltiplicano le “piste anarchiche”, fra “attentati” alle sedi diplomatiche italiane in Europa (particolarmente “credibile” quello che aveva colpito la sorella di Elly Schlein ad Atene all’inizio di dicembre), roghi di macchine (“5 auto a fuoco: si ipotizza la pista anarchica”), incendi generici (“Pescara, fiamme in pieno centro: l’ipotesi degli anarchici”). Questi misfatti si sarebbero consumati proprio nel momento in cui Alfredo Cospito, l’anarchico in sciopero della fame da cento giorni per protestare contro il regime di carcere duro che gli è stato inflitto ad onta di ogni principio giuridico, campeggia sulle copertine a fianco di Matteo Messina Denaro, la cui cattura, secondo le prevedibili malelingue, rientrerebbe in quella famosa trattativa Stato-Mafia che non si è mai interrotta e nell’ambito della quale sarebbe ora sul piatto l’abolizione del 41-bis per i boss condannati nei processi degli anni passati. Tutto questo alla faccia della pinocchiesca affermazione “Lo Stato non tratta con mafiosi e terroristi”, pronunciata in questi giorni da diversi esponenti della maggioranza di governo, fra cui quel Giovanni Donzelli che è stato mandato avanti, come il proverbiale cretino del film, ad associare con disinvoltura anarchici e mafiosi, lotte politiche e faide criminali, nemici pubblici ed “impiegati pubblici” che al posto di penne e timbri hanno usato il tritolo. In tutto questo ci guadagna pure il PD, che è stato accusato da Donzelli di essere un fiancheggiatore del terrorismo: il tesseramento è ai minimi storici, le primarie non se le fila nessuno, la liquefazione è lì a un passo…ed ecco che, davanti a questo “ignobile attacco della destra”, si serrano i ranghi, si urlacchia privi di fiato “siamo tutti antifascisti!”, si convince il cugino riottoso che con Elly Schlein sarà tutta un’altra roba. Prima dell’arresto di Messina Denaro, Cospito si era guadagnato giusto qualche trafiletto, nonostante la sua protesta andasse avanti da mesi, e le notizie sulle iniziative di solidarietà erano circolate solo su siti e canali poco frequentati. Ora pare che siano tornati gli anni di piombo, quelli in cui le “piste anarchiche” si fabbricavano a tavolino per depistare le indagini sulle stragi di Stato. gli anarchici volavano dalle finestre delle questure per inspiegabili “malori attivi” e i vari “terroristi” a libro paga dei servizi ed al servizio degli americani facevano il loro sporco lavoro portando la paura in ogni piazza, in ogni strada, in ogni tinello. Comunque la si pensi sulla questione, Cospito non c’entra nulla con la Mafia; egli si trova ormai alla mercé di un gioco più grande di lui partorito dalle solite menti raffinatissime, nell’ambito del quale è solo una pedina fra le tante.
GR
agbiuso
Gli anarchici sono da due secoli l’alibi preferito di ogni regime. Ora lo è anche di quello incarnato da Meloni, Mattarella e loro soci presenti e passati. In realtà milioni di cittadini – me compreso – sono da anni sotto la minaccia dello stato italiano e delle sue leggi inique.
agbiuso
Così si pronuncia il governo italiano, che detiene al 41bis un cittadino che non ha ucciso o ferito nessuno.
Invece “scendere a patti” con i criminali mafiosi è cosa sempre possibile e legittimata da presidenti della Repubblica (Napolitano e altri). Anche per questo quelle del governo sono parole false.
agbiuso
“Decine di avvocati hanno denunciato un particolare accanimento dei tribunali nei confronti di persone di area anarchica”
Cosa ci insegna il caso Cospito sul 41 bis
di Federica Delogu e Claudia Torrisi , L’Essenziale, 30.11.2022
diegod56
L’anarchismo si dà come obiettivo la massima libertà possibile unita alla massima eguaglianza possibile, in modo da evitare l’arbitrio della libertà di uno solo o di pochi e la piattezza di una eguaglianza imposta con la forza. Credo che sia un buon progetto, anzi il migliore.
Mi piace molto questo passaggio perché caratterizza l’anarchismo per la sua reale vocazione di pensiero sociale, sventando il tentativo, spesso anche abilmente riuscito, di leggere l’anarchismo in chiave prettamente individualista, in stile «destra colta». Dunque una critica potente del potere quando opprime il sano dispiegarsi dell’essere umani, nella consapevolezza che una sostanziale egualianza va perseguita, proprio per rendere liberi, in un concetto di libertà concreto, quasi quotidiano. Del resto poi ogni intellettuale userà il suo talento laddove meglio eccelle, e di certo la lettura della macchina spettacolare, sulla scia di Debord e di Pasolini, è un aspetto centrale del filosofo Biuso «politico». Direi che ci siamo, è un buon orizzonte, questo, per ragionare assieme.
agbiuso
Caro Diego,
come hai visto anche dall’articolo (ma credo che tu abbia letto per intero L’anarchismo oggi), l’anarchismo non è un partito né un movimento unitario ma costituisce un arcipelago di individui e gruppi convinti che la libertà sia il bene supremo della vita collettiva.
Non esiste pertanto una dottrina anarchica ed è quello che ho cercato di dire. Ci sono dei teorici che condividono l’ottimismo di cui parli, altri che hanno una posizione più articolata sull’umano e le sue possibilità. Io mi sento più vicino ai secondi.
Come hai ricordato, comunque, l’anarchismo contemporaneo è diverso e assai più antropologicamente avvertito rispetto a quello dei due secoli che ci hanno preceduto.
In ogni caso, credo che sia scorretto trarre conclusioni in ambito politico e sociale a partire dalle scienze naturali o dalla biologia, che sono importantissime ma non possono essere determinanti poiché si tratta di livelli differenti della vita e del sapere.
Da Darwin, per esempio, sono state tratte sia tesi razziste sia tesi solidaristiche in ambito sociale; credo che si tratti in entrambi i casi di errori.
Che ci sia nell’umano un desiderio di autonomia mi sembra innegabile, così come c’è un desiderio di sottomissione. Ma la politica è la tecnologia collettiva che si dà degli scopi e cerca di perseguirli. L’anarchismo si dà come obiettivo la massima libertà possibile unita alla massima eguaglianza possibile, in modo da evitare l’arbitrio della libertà di uno solo o di pochi e la piattezza di una eguaglianza imposta con la forza. Credo che sia un buon progetto, anzi il migliore. Sul modo di perseguirlo, le scelte sono differenti.
Étienne de La Boétie (1530-1563) si chiedeva proprio come potesse nascere tra gli uomini la servitù. Nonostante i secoli che ci separano dalle sue celebri risposte, credo che la lettura del Discorso sulla servitù volontaria (Chiarelettere, 2011) sia ancora oggi molto utile.
Il mio pensiero è che il dramma del potere e la sua forza stiano anche nella complessità della natura umana e delle relazioni che individui e società intessono tra di loro. Per abbattere “il Tiranno”, la cui madre è naturalmente sempre incinta, bisogna prima di tutto comprendere il labirinto dell’autorità, senza illudersi di percorrere scorciatoie psicologiche come quelle fondate sul primato (cristiano) della volontà. Se la servitù appare così spesso “volontaria” è anche perché essa si radica nella necessità della salvaguardia dei corpi individuali e collettivi. Salvaguardia tuttavia apparente, visto che il potere è per sua natura una macchina stritolatrice. Proprio per questo la riflessione politica e filosofica sui dispositivi sociali ha il compito di individuare la struttura storica del potere come potestas separandola dalla inevitabilità biologica -e quindi naturale e non volontaristica- del potere come potentia. Se la seconda è nella nostra natura, la prima va sempre combattuta. Credo che questa sia l’idea di molti anarchici, oggi. Molti, non tutti. Proprio perché gli anarchici non hanno dogmi né ideologi né comitati centrali né segretari né presidenti.
diegod56
Caro Alberto, avrei una domanda, non allo scopo di contestare le interessanti e benissimo esposte considerazioni, ma per meglio acclarare il tuo pensiero al riguardo.
Prendiamo questo punto:
eguaglianza e differenza al di fuori di uno schema ottimistico sulla natura umana che Rousseau ha idealizzato in contraltare all’antropologia pessimistica di Hobbes, ma di cui fortunatamente il pensiero anarchico più avvertito è esente
Questo è molto interessante ed è anche un tema da te affrontato in «Contro il Sessantotto», cioè la critica alla concezione roussoviana dell’uomo. Io domando allora: non c’è comunque nell’anarchismo almeno su un punto un certo ottimismo a priori, e mi riferisco all’idea che gli umani ambiscano ad essere liberi? Chi puo’ con certezza affermare che un essere umano desideri «per natura» la libertà? In fondo il suo corpomente si è evoluto soprattutto in funzione della sopravvivenza, la stessa autocoscienza altro non è che un vantaggio evolutivo sviluppatosi per favorire l’auoconservaziione. La libertà, non è comunque un concetto culturale? Importante, bellissimo, nobile, ma non penso che sia innestata nel patrimonio genetico in quanto tale. Scusa Alberto per la domanda forse derivante dalla pochezza delle mie conoscenze, ma di certo il tuo parere puo’ come sempre esser prezioso strumento di chiarezza e conoscenza.