The Wolf of Wall Street
di Martin Scorsese
Con: Leonardo Di Caprio (Jordan Belfort), Jonah Hill (Donnie Azoff), Margot Robbie (Naomi Lapaglia), Kyle Chandler (Patrick Denham), Matthew McConaughey (Mark Hanna), Jean Dujardin (Jean-Jacques Saurel)
USA, 2013
Trailer del film
Nel fiume di parole, di urla, di sniffate, di risate, di orge, di azioni e di colori di cui questo film è fatto, c’è un’espressione che lo svela: «La Stratton Oakmont è gli Stati Uniti d’America». Lo afferma il fondatore e proprietario di questa società di brokeraggio in uno dei numerosi discorsi che rivolge al pubblico osannante e festoso dei cofondatori e degli impiegati. E in effetti è vero. Gli Stati Uniti d’America sono nati nel culto del successo professionale in quanto segno della salvezza ultraterrena, come Max Weber ha in maniera persuasiva dimostrato. E quando la benevolenza divina è passata in secondo piano, a dominare la cultura statunitense è rimasto il dollaro, sulle cui banconote è infatti scritto «In God we trust».
Il lupo di Wall Street non è soltanto un simbolo della borsa di New York e delle sue pratiche. Esiste veramente (lo si vede nella foto qui sopra), ha raccontato in un libro la sua storia, che Scorsese e Di Caprio trasformano in una delle rappresentazioni più allegre ed efficaci di quel culto del successo, di quell’orrore della medietà che da sempre distingue e segna la cultura statunitense. Di modestissime origini, Jordan Belfort esordisce come broker il 19 ottobre 1987, proprio il giorno del crollo di Wall Street. Alla ricerca di un nuovo lavoro, incappa in un’agenzia di scalcagnati venditori che cercano di piazzare penny stock, titoli assai economici ma ad altissimo rischio, titoli spazzatura insomma. Il suo successo di telefonista/venditore gli consente di creare una propria società -la Stratton Oakmont per l’appunto- e di arricchirsi enormemente, tanto da avere il problema di come spendere questi soldi. In droghe soprattutto, di qualunque genere e forma. In donne. In aerei, barche, gioielli, palazzi, feste.
Questa vita è raccontata da Scorsese in modo frenetico, esagerato, senza soste e senza misura. Un vero e proprio poema epico al dollaro e a tutto ciò che con esso si può raggiungere. Sino alla galera, anche, ma poi si ricomincia. Un eccellente Di Caprio -sempre più vicino al suo modello Jack Nicholson- è capace di restituire le sfumature più ambigue di un personaggio apparentemente monocorde ma in realtà fatto di tutti gli umori profondi e di tutta la follia esistenziale che intessono il «sogno americano». Il divertimento è assicurato, come il crimine. Ma è assicurato soprattutto il cinema. Non c’è qui altro che cinema, infatti. Nessun messaggio, nessuna redenzione o giustizia, nessun bisogno di riscatto o invito a migliorarsi. Nessuna condanna e nessuna giustificazione. Nessuna morale. Soltanto cinema.
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