Nella giornata internazionale della lingua madre (e contro ogni servitù verso l’inglese o verso altre lingue), la Treccani ricorda La grande bellezza dell’italiano.
Il numero 316 della rivista Diorama letterario raccoglie una serie di interviste ad Alain de Benoist. In una di esse -a p. 13- il filosofo francese parla del dominio che la lingua inglese esercita sulle lingue europee:
========
«L’inglese progredisce […] perché gli Stati Uniti rimangono attualmente più potenti di quanto non siano i paesi europei, i quali accettano che sia consacrata come lingua internazionale una lingua che non è quella di nessuno dei paesi dell’Europa continentale. La soggezione degli uni rafforza la potenza degli altri. Da ciò discende questa egemonia dell’ ‘inglese da aeroporto’ che fa arretrare ovunque la diversità linguistica, ovvero anche la diversità di pensiero.
Il maggior errore che si possa commettere è infatti credere che le lingue siano soltanto un mezzo di comunicazione. In realtà, esse corrispondono ad altrettante maniere differenti di pensare.
Io parlo più o meno quattro o cinque lingue, ma se penso la stessa cosa in ciascuna di queste lingue, non la penso nella stessa maniera. È rivelatore il fatto che il linguista Claude Hagège, già professore al Collège de France, abbia intitolato Contre la pensée unique il suo ultimo libro, che vuole appunto essere una contestazione dell’imposizione su scala mondiale di un’unica lingua dominante»
Dario Generali presenterà questa sua edizione del testo di Antonio Vallisneri Che ogni italiano debba scrivere in lingua purgata italiana (Olschki, 2013) il prossimo 14 novembre a Livorno.
Sul sito del Centro Studi Enriques si possono trovare tutte le informazioni.
@Amelia
Grazie a te, cara Amelia, per la condivisione.
Sì, avevo notato anch’io con molto dispiacere che i francesi cominciano a cedere. La tua conferma mi amareggia. Ma neppure su questo dobbiamo rassegnarci.
@diegob
Le tue riflessioni, caro Diego, non sono mai lunghe e per me risultano sempre feconde.
Hai perfettamente ragione sull’inglese utilizzato come una vera e propria truffa ideologica e lessicale, tanto più odiosa quanto più sfrutta le parole, e cioè una delle strutture più belle che ci siano al mondo. Tu dici “un’arma letale” allo scopo di sottomettere le menti. E così è.
Personaggi diversi come Conte, Wittgenstein, Orwell, Debord, Vallisneri, Generali, Heidegger, hanno spiegato in modo assai chiaro che la lingua che si parla e nella quale si pensa determina gran parte di ciò che siamo. Anche per questo è così importante parlare e scrivere in maniera corretta e insieme personale, creativa, profonda: per essere liberi.
Il pensare umano è intrinsecamente
linguistico. Si abita una lingua
come si abita un mondo. È anche
per questo che, come conclude
Vallisneri, è certo doveroso conoscere
quanto meglio possibile
le altre lingue ma è fondamentale
che «cadaun italiano» sia «veramente
tenuto a parlar bene e a
scrivere bene in italiano».
Così chiude la tua brillante recensione, caro Alberto. E qui si apre il tema davvero interessante del rapporto fra un uomo e la lingua che parla. Io sono convinto (non solo io, ovviamente) che la lingua che apprendiamo in parte ci plasma, scolpisce la nostra mente. Sono abbastanza convinto che pensare in italiano non sia la stessa cosa che pensare in inglese o in tedesco (basti pensare alla difficoltà di tradurre i termini filosofici). Mi sovviene l’opinione di un artista (grande filosofo seppur involontario) come Paolo Conte che più volte ha scritto e affermato che esiste un «modo italiano» di scrivere, essere, vivere, pensare. Mi sovvengono anche l’involontaria comicità di coloro i quali per farti digerire una fregatura usano l’inglese: per esempio outsourcing invece di dire chiaro che il lavoro lo fai fare dove ti costa meno. Siccome tu, per intima natura e per profondità di studi, sei sempre attento alla questione del potere, giustamente poni l’accenno all’uso dell’inglese come colonizzazione politica, non da parte di uno stato, ma di un grande agglomerato di potere tecnofinanziario che tutto il pianeta fascia con spietata meticolosità.
Un tempo si guardava all’inglese come un modo per far entrare aria fresca, per accedere ad un senso di libertà antinazionalistica e invece, anche in questo le speranze degli anni ’70 paiono sepolte, giacchè l’inglese pare invece un’arma letale, la vera bomba atomica che azzera ogni cultura e soprattutto ogni idea non allineata. Son stato lungo, scusa Alberto, ma ogni tuo scritto è un propellente efficace alla mia macchina del pensiero.
Grazie per la segnalazione, caro Alberto. Ho letto il tuo articolo e ben sai quanto possa essere d’accordo.
Debbo dire , però, che purtroppo i francesi stanno perdendo colpi. Il franglais imperversa!
7 commenti
agbiuso
Nella giornata internazionale della lingua madre (e contro ogni servitù verso l’inglese o verso altre lingue), la Treccani ricorda La grande bellezza dell’italiano.
agbiuso
Su Laboratorio dell’ISPF. Rivista elettronica di testi, saggi e strumenti è stato pubblicato un nuovo articolo di Dario Generali dal titolo Anglofonia globale, subalternità culturale e progetti di dissoluzione della lingua nel sistema formativo italiano.
Ne consiglio la lettura.
agbiuso
Il numero 316 della rivista Diorama letterario raccoglie una serie di interviste ad Alain de Benoist. In una di esse -a p. 13- il filosofo francese parla del dominio che la lingua inglese esercita sulle lingue europee:
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«L’inglese progredisce […] perché gli Stati Uniti rimangono attualmente più potenti di quanto non siano i paesi europei, i quali accettano che sia consacrata come lingua internazionale una lingua che non è quella di nessuno dei paesi dell’Europa continentale. La soggezione degli uni rafforza la potenza degli altri. Da ciò discende questa egemonia dell’ ‘inglese da aeroporto’ che fa arretrare ovunque la diversità linguistica, ovvero anche la diversità di pensiero.
Il maggior errore che si possa commettere è infatti credere che le lingue siano soltanto un mezzo di comunicazione. In realtà, esse corrispondono ad altrettante maniere differenti di pensare.
Io parlo più o meno quattro o cinque lingue, ma se penso la stessa cosa in ciascuna di queste lingue, non la penso nella stessa maniera. È rivelatore il fatto che il linguista Claude Hagège, già professore al Collège de France, abbia intitolato Contre la pensée unique il suo ultimo libro, che vuole appunto essere una contestazione dell’imposizione su scala mondiale di un’unica lingua dominante»
agbiuso
Dario Generali presenterà questa sua edizione del testo di Antonio Vallisneri Che ogni italiano debba scrivere in lingua purgata italiana (Olschki, 2013) il prossimo 14 novembre a Livorno.
Sul sito del Centro Studi Enriques si possono trovare tutte le informazioni.
agbiuso
@Amelia
Grazie a te, cara Amelia, per la condivisione.
Sì, avevo notato anch’io con molto dispiacere che i francesi cominciano a cedere. La tua conferma mi amareggia. Ma neppure su questo dobbiamo rassegnarci.
@diegob
Le tue riflessioni, caro Diego, non sono mai lunghe e per me risultano sempre feconde.
Hai perfettamente ragione sull’inglese utilizzato come una vera e propria truffa ideologica e lessicale, tanto più odiosa quanto più sfrutta le parole, e cioè una delle strutture più belle che ci siano al mondo. Tu dici “un’arma letale” allo scopo di sottomettere le menti. E così è.
Personaggi diversi come Conte, Wittgenstein, Orwell, Debord, Vallisneri, Generali, Heidegger, hanno spiegato in modo assai chiaro che la lingua che si parla e nella quale si pensa determina gran parte di ciò che siamo. Anche per questo è così importante parlare e scrivere in maniera corretta e insieme personale, creativa, profonda: per essere liberi.
diegob
Il pensare umano è intrinsecamente
linguistico. Si abita una lingua
come si abita un mondo. È anche
per questo che, come conclude
Vallisneri, è certo doveroso conoscere
quanto meglio possibile
le altre lingue ma è fondamentale
che «cadaun italiano» sia «veramente
tenuto a parlar bene e a
scrivere bene in italiano».
Così chiude la tua brillante recensione, caro Alberto. E qui si apre il tema davvero interessante del rapporto fra un uomo e la lingua che parla. Io sono convinto (non solo io, ovviamente) che la lingua che apprendiamo in parte ci plasma, scolpisce la nostra mente. Sono abbastanza convinto che pensare in italiano non sia la stessa cosa che pensare in inglese o in tedesco (basti pensare alla difficoltà di tradurre i termini filosofici). Mi sovviene l’opinione di un artista (grande filosofo seppur involontario) come Paolo Conte che più volte ha scritto e affermato che esiste un «modo italiano» di scrivere, essere, vivere, pensare. Mi sovvengono anche l’involontaria comicità di coloro i quali per farti digerire una fregatura usano l’inglese: per esempio outsourcing invece di dire chiaro che il lavoro lo fai fare dove ti costa meno. Siccome tu, per intima natura e per profondità di studi, sei sempre attento alla questione del potere, giustamente poni l’accenno all’uso dell’inglese come colonizzazione politica, non da parte di uno stato, ma di un grande agglomerato di potere tecnofinanziario che tutto il pianeta fascia con spietata meticolosità.
Un tempo si guardava all’inglese come un modo per far entrare aria fresca, per accedere ad un senso di libertà antinazionalistica e invece, anche in questo le speranze degli anni ’70 paiono sepolte, giacchè l’inglese pare invece un’arma letale, la vera bomba atomica che azzera ogni cultura e soprattutto ogni idea non allineata. Son stato lungo, scusa Alberto, ma ogni tuo scritto è un propellente efficace alla mia macchina del pensiero.
Amelia
Grazie per la segnalazione, caro Alberto. Ho letto il tuo articolo e ben sai quanto possa essere d’accordo.
Debbo dire , però, che purtroppo i francesi stanno perdendo colpi. Il franglais imperversa!