Domenica 9 giugno sono stato al cinema, a Catania. Come è ormai fastidiosa necessità, ho dovuto richiamare al silenzio un gruppo di persone: non degli adolescenti toppo vivaci ma alcuni maturi signori e signore tra i cinquanta e i sessanta anni. È la maleducazione, certo, ma è anche la consuetudine di vedere i film in televisione e di scambiarsi le opinioni sul film stesso o su altro. Il cinema vero, naturalmente, lo si gusta e percepisce soltanto nelle sale cinematografiche.
Ma non basta: davanti a me c’era un tizio che ha acceso almeno una dozzina di volte il suo cellulare per controllare qualcosa sulla propria pagina di facebook. Una vera addiction, una dipendenza grave, una droga che crea dei fenomeni di astinenza pari a quelli di qualunque altro stupefacente. Non è un caso che della sensazione sia parte la Sucht, parola che in tedesco indica insieme desiderio, passione, malattia, tossicodipendenza. Presente in quasi tutte le società umane, l’utilizzo delle droghe è diventato tossicodipendenza soltanto quando l’ebbrezza è stata separata dalla festa collettiva per diventare esperienza del singolo e quindi sua personale debolezza. Ma la sensazione è anche un’esperienza di ricchezza percettiva, intellettuale ed esistenziale; non è soltanto un sensazionale tanto più stordente quanto più psichedelico. La sensazione è lo stesso stare al mondo. Non è il televisivo oppio del popolo.
Ne abbiamo parlato quest’anno nel corso di Sociologia della cultura. E lo abbiamo fatto anche tramite un libro ricco e profondo come La società eccitata. Filosofia della sensazione di Christoph Türcke (Bollati Borighieri, 2012; ne ho accennato pure qui). Di fronte a fenomeni così pervasivi non si può secondo Türcke invitare all’astinenza ma piuttosto praticare un atteggiamento da “freno d’emergenza”, per citare il Benjamin (Sul concetto di storia, Einaudi 1977, p. 101) che alla rivoluzione come “locomotiva della storia universale” (Marx) contrapponeva le rivoluzioni come -appunto- freno d’emergenza del genere umano che sul treno della storia viaggia :
Sulle strade, nei centri commerciali, negli alberghi, nelle banche, nei luoghi di lavoro, ovunque uno, se vuole continuare a pensare con la propria testa, deve tentare di tirar su le paratie contro l’imperversare di imbonimenti e stimolazioni. […] Qualcosa di così poco importante come la decisione di tollerare o meno la musica di sfondo in un ristorante può diventare improvvisamente una questione di principio, una cartina di tornasole del coraggio civile. […] Il ricopiare testi e formule, che un tempo era il contrassegno del tutto comune della scuola repressiva, nelle condizioni dell’universale irrequietezza degli schermi, da cui anche le classi scolastiche sono sempre meno risparmiate, può diventare inaspettatamente una misura di concentrazione motoria, affettiva e mentale, di ingresso nella propria interiorità […] Insegnanti che prestano seriamente attenzione affinché non ci sia qui un sottodosaggio operano resistenza, per quanto in base alla terminologia politica tradizionale possano passare per conservatori. Dove ogni concessione al solleticamento mediatico dei sensi porta avanti l’autoespropriazione estetico-neurologica, là il tirare su delle paratie contro l’ininterrotta radiazione audiovisiva, equivale a prendere partito per la sensibilità dei sensi. Li mantiene aperti a un’esperienza conforme alle cose, diventa luogotenente del miglior godimento alternativo e porta nuovamente in luce il senso fondamentale dell’ascesi. […] Là dove essa diventa l’ultima ratio contro il vampirismo audiovisivo, si avvicina nuovamente al rimedio d’emergenza arcaico. (La società eccitata, pp. 331-332)
7 commenti
Salvatore Ricupero
Amici,
come non condividere il vostro disappunto. Oggi, purtroppo, la tolleranza è sinonimo di complicità. Intendo la tolleranza verso chi invade gli spazi comuni, sia fisici che mentali, per appropriarsene a proprio uso e consumo, noncurante degli altri. Chi usa gli spazi riservati per i portatori di handicap, senza averne diritto e senza ricordarsi che un giorno tutti saremo menomati e quindi bisognosi di quegli spazi occupati abusivamente, chi sporca l’ambiente distante poche centinaia di metri dalla propria casa senza ricordarsi che quegli spazi violati con il proprio marciume sono bene comune e quindi anche suo, chi usa il cellulare in luoghi ove il silenzio e la meditazione ne costituiscono la ricchezza imponendo la propria sfera individuale, noncurante di una connessione socioculturale con gli altri, senza ricordarsi che se non si pone in ascolto del mondo che lo circonda presto sarà un arido e pericoloso essere dell’ecosistema in cui vive, …..e tanti altri, appartiene alla categoria di persone, purtroppo dilagante, che tollera ed è quindi complice inconsapevole di una globalizzazione che invece di avere uno sbocco positivo per l’umanità è divenuta strumento della finanza “pirata”, che governa il mondo e che sta “assassinando” le democrazie.
I sistemi di comunicazione globale avrebbero potuto costituire una eccezionale opportunità per l’uomo e invece lo stanno schiavizzando. Pochi sono i casi, anche se importanti,i in cui essi sono strumento di osmosi culturale e di arricchimento globale.
Che dire ancora? La ricerca e/o l’affermazione di paradigmi alternativi a quello imperante, oggi, appare ardua e difficile. Quelli citati dal Lei, professore, sono sintomi di una malattia che oramai è andati in metastasi nel corpo sociale. Ma fino a quando esiste, da un buon seme potrà scaturire una foresta. Solo questa speranza può alimentare la prospettiva di un futuro migliore.
Biuso
Grazie a voi, cari amici, che rendete questo spazio un luogo di riflessione comune.
Consiglio a chi ci legge la visita dei vostri siti, dai quali si impara molto:
http://dascola.me
http://diegod56.wordpress.com
Si impara soprattutto come si possa vivere interrogando con intelligenza l’esistere.
Pasquale D'Ascola
Caro Diegob, fossi saggio non starei a Malanno a dannarmi l’anima ma altrove; dunque a parte la dipendenza incurabile dal mio miserabile stipendio, e non sto scherzando, qualcosa non va in me come in molti ma ti ringrazio dell’apprezzamento. È vero peraltro che una diffusione della gentilezza cambierebbe di poco ma molto il quotidiano di città incurabili. Due eritree anziane oggi mi hanno ringraziato a suoni e gesti e sorrisi e per i prossimi vent’anni, solo perché mi sono fermato ma prima delle strisce su cui tentavano di posare i loro vecchi piedini. Grazie a Biuso che ci mette in contatto.
Con sentimento
diegob
Sei molto saggio, caro Pasquale. Io per esempio provo un brivido di piacere quando, saluto sul bus, spengo il cellulare, ho come la sensazione di esser fuggito chissà dove. I cordoni ombelicali, metafora spassosa ed elegante, come la tua scrittura ironica e antisaccente.
Pasquale D'Ascola
A parte la villania di molti atteggiamenti, la cialtroneria ciabattona del mondo in cui viviamo – io patisco molto in prossimità degli esami estivi quando cominciano ad apparire studenti in infradito e professori in zoccoli. Sarà ma desidero spesso una divisa per tutti, un kimono chissà – non credo che la questione si possa sbolognare intendendo per stupidi quelli che si attaccano al telefonino e sapienti quelli che non lo fanno. Mi pare ben detto che viviamo in un ambiente malato, compulsivo, tossico attaccato forse a plurimi cordoni ombelicali di cui credo le cose, specie quelle che, come matrigne benevole, promettono meraviglia e illusione, siano i succedanei simbolici. Insomma la faccenda è grave perchè tutto questo è sì sintomo ma anche focolaio epidemico. E attenti perchè occorre essere secondo me, tanto lucidi da domandarsi chi di noi, ammesso e non concesso che si appartenga alla categoria dei non stupidi, non è salito su un autobus, si è seduto e, come si dice, non ha guardato il proprio cellulare. Perché, per fare che cosa o nella speranza di che cosa: di un messaggio, di un nuovo avviso, di un mutamento repentino della facies del telefono. In attesa insomma di un Godot . Voilà quale mai messia ci si aspetta. A meno che, così mi è stato riferito oggi da un burlone, in una società stitica, chi non la fa, l’aspetti.
agbiuso
Caro Diego, il pensiero che i batteri e altre simili forme perfette della materia -come le rocce- esistevano ben prima della nostra comparsa e ci sopravviveranno, è qualcosa che offre una profonda pace.
Quanto alla Naked Ape (come la definisce anche Desmond Morris), rappresenta probabilmente un vicolo cieco dell’evoluzione, che -unica tra tutte le specie viventi- agisce alacremente per la propria autodistruzione. Nessuno ne avrà nostalgia.
diegob
davanti a me c’era un tizio che ha acceso almeno una dozzina di volte il suo cellulare per controllare qualcosa sulla propria pagina di facebook. Una vera addiction, una dipendenza grave, una droga che crea dei fenomeni di astinenza pari a quelli di qualunque altro stupefacente.
La scimmia chiamata homo sapiens quando è stupida lo è con incoercibile efficacia e potenza, e la tecnologia, in molti casi, aiuta a potenziare geometricamente la stupidità. Per fortuna, fra quattrocento milioni di anni, ci saranno solo i batteri, così come era quattrocento milioni di anni fa. E della scimmia glabra nessun rimpianto.
Vien voglia di scrivere certe cose, caro Alberto.