Mente & cervello 101 – maggio 2013
La mente umana è un dispositivo semantico così potente, «è talmente portata a costruire significati che lo fa anche con materiali incongrui tra loro, un po’ come accade con il patchwork» (John Allan Hobson, intervistato da D. Ovadia, p. 48). È questa l’origine dell’attività onirica. I sogni «non hanno alcun significato misterioso» (M. Cattaneo, 3), non rivelano nulla né del futuro -come sostenevano indovini e aruspici del mondo antico- né del passato -come afferma la psicoanalisi. I sogni riflettono piuttosto, al pari di ogni altra attività della coscienza, quello che pensiamo del mondo e della vita. E lo fanno in modo particolarmente creativo, sino a presentare come possibile l’impossibile e come reale l’assurdo. Questo accade perché «i sogni sono prodotti della chimica cerebrale, generati casualmente nel corso di un’attività di consolidamento delle tracce acquisite durante l’attività cosciente. Non nascono con un significato: piuttosto possiamo dire che quando gli stimoli interni, le rievocazioni casuali di eventi e sensazioni occorse durante la veglia, arrivano alla corteccia in determinate fasi del sonno, questa tende a riorganizzarli dando loro un significato coerente. Il cervello umano è infatti costruito per dare un senso alla realtà, sia questa esteriore o interiore, e i sogni non sono altro che fenomeni biochimici reali che avvengono nel nostro cervello. Non c’è nulla di mistico in essi, né di magico […] La loro funzione è consolidare ciò che abbiamo vissuto o appreso durante la veglia» (Hobson, 46-48).
Un sogno è spesso il matrimonio. E i fotografi chiamati a rendere immortale l’effimero “sì” dell’illusione istituzionale sono sempre più indotti a trasformare il loro reportage in un vero e proprio spettacolo costruito a imitazione dello show televisivo. «Un cambiamento anche inquietante» -afferma la semiologa Maria Pia Pozzato, che sta studiando tali immagini- «perché molto narcisistico: queste spose non parlano dello sposo ma di se stesse, anche le valenze estetiche si perdono a favore di esperienze estesiche, fatte di sensazioni» (intervista di P.E. Cicerone, 72). Lo scopo è stare al centro della scena, “farsi vedere”, secondo quella modalità dell’Esse est percipi nella quale Christoph Türcke individua uno degli elementi fondamentali delle società contemporanee. La sensazione è diventata «una necessità vitale. Uno deve fare sensazione e aver sensazione se vuole esserci, se vuole avere un’esistenza sia in senso letterale, sia in senso metaforico» (C. Türcke, La società eccitata. Filosofia della sensazione, Bollati Boringhieri 2012, p. 87). La sensazione si è trasformata nel sensazionale. Uno slittamento semantico che è andato «dalla percezione più comune alla percezione dell’inconsueto, per designare, da ultimo, l’inconsueto stesso» (Ivi, p. 9). Il significato di base -sensazione come processo fisiologico del percepire- tuttavia permane e addirittura diventa totale: come voleva Berkeley, ma in un senso a lui certo inaccessibile, Esse est percipi, esistere significa essere noti a qualcuno, transitare nell’essere mediatico, diventare notizia, immagine, pixel, video, trasformarsi in qualcosa di sensazionale, non importa per quanto tempo. Fosse anche soltanto per il giorno delle nozze.
Tra gli esperimenti più famosi, e in questo caso anche più infami, della psicologia vi sono quelli praticati negli anni Cinquanta del ‘900 da Harry Harlow. Per verificare in che cosa davvero consista l’amore genitoriale tra i mammiferi, questo psicologo separava i cuccioli di alcune scimmie dalle madri, proponendo loro due madri surrogate: una fatta di stoffa calda e con un seno vuoto e l’altra di scatole e di ferro con un seno dal quale usciva del latte. I cuccioli preferivano la prima, mostrando che non è soltanto il bisogno di cibo ma anche il contatto fisico a determinare i comportamenti e le necessità dei figli. Naturalmente una simile pratica produceva disperazione e urla nelle madri private dei loro figli e una profonda ansia e terrore da parte dei cuccioli. Non contento, Harlow costrinse le femmine così cresciute, che rifiutavano da adulte il contatto con i maschi, a essere legate e stuprate, in modo da verificare come poi si comportassero in quanto madri. Era necessaria una simile infamia per capire che tali madri sarebbero state indifferenti o violente nei confronti dei loro cuccioli? Viene da augurarsi che la fantasia di film come Il pianeta delle scimmie si realizzi in modo da far sperimentare agli umani che cosa significhi essere trattati con tale ferocia. Un contrappasso comunque per fortuna lo si ebbe subito: Harlow, «che dichiarava di non provare alcun sentimento verso gli animali che usava, soffrì per tutta la vita di gravi crisi depressive e fu persino sottoposto a elettroshock negli ultimi anni della sua esistenza» (D. Ovadia, 61).
Di fronte al Primate Research Center del Wisconsin, dove Harlow svolgeva le sue pratiche sadiche, si riuniscono ogni anno delle associazioni animaliste per ricordare tutto questo. Anche se «oggi la ricerca sui primati con i quali condividiamo dal 94 al 99 per cento del genoma, a seconda della specie, è regolata in modo molto restrittivo», anche se «il laboratorio di Harlow è ancora attivo, ma nessuna scimmietta viene separata alla nascita dalla madre per essere gettata nelle braccia poco amorevoli di un fantoccio di stoffa» (Id., 60), tali pratiche devono essere del tutto abolite per la semplice ragione che la nostra specie non è “superiore” o “inferiore” a nessun’altra e non ha alcun diritto sugli altri viventi. A meno che, naturalmente, non si rivendichi il diritto della pura forza. Ma allora dove starebbe la nostra superiorità etica rispetto agli altri animali?
8 commenti
agbiuso
I suoi interventi, cara Paolina, sono sempre meditati, saggi e concreti.
La ringrazio davvero.
Paolina Campo
Mi sembra che ci sia una profonda relazione tra l’arte dell’apparire propria dei servizi fotografici di oggi e l’invidia distruttiva di cui si parla in un altro articolo interessante di Mente&Cervello di questo mese. L’invidia, l’osservare con occhi attenti “l’erba del vicino” può sicuramente essere la molla giusta che fa scattare quel qualcosa che sveglia la nostra curiosità e la voglia di provare a potere migliorare le nostre capacità. Quando l’invidia diventa l’arma per una esaltata esibizione di sè stessi, calpesta ogni emozione, sentimento, sensazione. Ed ecco che la televisione, attraverso real time di ogni genere, propone feste sfarzose, vestiti eleganti, ricchi banchetti dove a un certo punto si può pure dimenticare il vero motivo di tanti sforzi.
agbiuso
Ti ringrazio, caro Diego, di questa testimonianza resa dall’interno del sistema di produzione delle immagini matrimoniali.
Le fasi storiche che tu enunci sono del tutto plausibili.
Sì, un matrimonio dovrebbe essere vissuto nel modo che indichi -“in una comunità autentica”- e invece la televisione avvelena anche questo momento della vita. Avvelena tutto.
diegod56
Nel numero di questo mese, fra gli articoli, ho trovato di grande interesse quello sulle foto dei matrimoni (ambito col quale ho dei rapporti di lavoro). In effetti, caro Alberto, anche in questo ambito l’avvento della subcultura televisiva ha lasciato una plastica raffigurazione nel modificarsi delle foto di cerimonia nuziale. Quelle degli anni ’50 (penso alle immagini in B&N dei miei genitori) sono foto che descrivono la cerimonia, hanno una elegante compostezza e sono dense di reale immedesimazione, coscienza del passaggio sociale che la cerimonia sottende. Le foto a partire dai tardi anni ’70 somigliano sempre più ad un set da rivista di moda, la cerimonia stessa diviene solo un passaggio del set e il fotografo è molto meno discreto, il tutto assai più superficiale. Alla fine le vere foto del matrimonio sono quelle scattate dagli amici, nei momenti conviviali, e non il servizio da copertina del fotografo. Personalmente ritengo il matrimonio un momento che va vissuto in modo autentico, in una comunità autentica, ma è chiaro come vivere, in certi ambiti, è diventato un’imitazione della messa in scena televisiva. L’argomento televisione è da te spesso trattato con brio e sagacia, Alberto carissimo, ma chi vive vicino alla bottega dei matrimoni, queste cose le toccacon mano ogni giorno.
Laura Caponetto
L’amore è un sentimento. Ovvero una forma di affetto auto o eteroriferito che si imprime nell’animo in maniera duratura. L’amore è un sentimento, come lo sono l’odio, la rabbia, la paura, il piacere e il dolore. Mi pare che l’esperimento di Harlow, volto a verificare il contenuto dell’amore genitoriale tra i mammiferi, dia per scontata la capacità degli stessi di amare. Ma un animale capace di provare un sentimento è, quanto meno in linea teorica, psichicamente in grado di provarli tutti. Dove voglio arrivare? Alla conclusione che Harlow sapesse che l’animale soffre, perché ama. Questo stesso uomo però “dichiarava di non provare alcun sentimento verso gli animali che usava”, di non avere cioè la minima pietà per loro. Il superamento della prospettiva cartesiana della bête-machine e la conseguente consapevolezza di trattare con esseri senzienti (cioè con persone), e tuttavia il ricorso a pratiche legate a doppio filo alla corrente più sadica dell’antropocentrismo, testimonia a mio avviso un grave deficit empatico. Lo stesso di cui soffrono stupratori, omicidi e psicopatici.
Pasquale D'Ascola
Ecco appunto. Si tratta di finestre. Che l’elettrochimnica organica sia il mezzo, è con molta probabilità fuori di dubbio ma un pensiero, un gesto d’ira o d’affetto, sono un filino più complessi e immotivati di un fagiolo che nasce perché deve nascere. I viventi, appena sopra i ragni, non sono determinati o avrebbero ragione le religioni che di ogni inshallah fanno un fascio. Ho visto pesci venire a curiosare nell’acquario chi fosse quello strano occhialuto che li osservava da dietro un vetro. Forse intendono per acquario quello senz’acqua quello in cui ci vedono muovere e gli osservati siamo noi. Non affermo il primato dei bipedi ma un’equa distribuzione di infinite possibilità. Hmm il discorso si fa complesso, troppo per la mia ridotta capacità. Buona domenica
diegod56
In effetti, buon Pasquale, leggendoti ho pensato all’accadimento di alcune notti, nelle quali ho sognato un mio zio, cui ero legatissimo, morto di recente. Sarà anche solo biochimica, ma il sentimento, il piacere, il turbamento di veder rappresentato nel sogno il mio interloquire con lui, vuol dire aver spalancato una finestra su me stesso, sulla mia vita. Del resto, anche il suono di un violino, se è quello giusto, non è certo solo lo sfregamento di un budello di gatto su una corda tesa.
Pasquale D'Ascola
Non ho la minima competenza per contestare le affermazioni di Hobson il cui disagio psichico, chissà negato e mai risolto è forse il motivo di tanta negazione: della psicoanalisi cioè. Si sa che non sono pochi, tra le persone intelligenti peraltro, a negarla, si badi non in quanto strumento di indagine e dopo, solo dopo, forse di cura ma a negarla in quanto tale e tanto da attribuirle addirittura, cito un episodio a me noto,la capacità di fare danni incalcolabili alle persone; l’autrice di questa brillante affermazione non specificò se pertanto si stésse meglio quando si stava peggio, ai tempi delle isterectomie forzate, delle docce gelate, del dott. Cerletti, delle lobotomie e, last but not least dei “quante volte” figliola. Questo parla, a mio modo di vedere, di un atteggiamento disturbato che in superficie, mi pare, ripropone l’antica querelle tra organicisti e psicologisti, in profondità può darsi nasconda qualche astio o vai a sapere cosa e di chi contro chi, anche se ho le mie opinioni in merito. Non interessanti qui. Psicoanalizzati, certi personaggi rivelerebbero molto di sé al resto del mondo e a sé stessi ma è evidente che psicoanalizzare non si farebbero mai. Affermare però che i sogni sono fenomeni biochimici mi pare non voglia dire niente, anche la Traviata, le poesia di Antonio Machado e le canzoni di Pilar, di cui caldeggio l’ascolto, sono il prodotto di qualche chimica. L’affermazione infatti non capisce né perché si sogna, qual’è la funzione del sogno, nucleo della ricerche in merito di Freud ( cfr. L’interpretazione dei sogni) né spiega perché si sogna invece di orinare, defecare, e basta, per esempio; né perchè si pensa, fatto che è di pochi lo so, eppure qualcuno tra i bipedi implumi lo fa. Due, nessuno ha mai affermato, a parte gli aruspici e gli indovini, che i sogni abbiano una funzione o un significato magico; alla lettera della parola significare, non possono averlo; né che vi sia una mistica di cui sono colpevoli innocenti dato che la mistica è un’attitudine del bipede implume indipendente dal fatto che gli sogni o non sogni. Forse si può discutere su sogno latente e sogno manifesto, cosa che mi pare la psicoanalisi abbia fatto. E riflettere sì, è la mia opinione di analizzante, se il sogno non sia una potente forma di pensiero, autonoma e forse non così primitiva, portatrice di senso en si misma, come un quadro, che, non vuole dire qualcosa di altro rispetto a quello che è. Il signor Hobson è uno psichiatra americano,confiderà nelle benzodiazepine e nel DSM 5 che classifica tutti i comportamenti dei bipedi sub specie insanitatis. Le benzodiazepine non sono poi così male ma mi pare male pubblicare asserzioni che non sono dello spirito scientifico ma di quello di fede. Hobson ha fede solo in quello che dice lui e in quello cui dà contro. Andare contro è il motivo dominante della sua ricerca,così parrebbe, ma non si fa ricerca per andare contro o ancora una volta, mi pare di poter dire, c’è qualche warning malfunction, come strillano gli allarmi nelle astronavi dei film.Può dire cento stupidaggini il signor Hobson e nesssuno glielo vieterà mai tranne il buon senso che, intervenisse di più, sarebbe non male. Concludo perchè se no rompo, se il signor Hobson sa spiegare come mai il pensiero poetico, musicale o plastico o motorio o letterario, si manifesta proprio come si manifesta e con la varietà che ci è nota e perlopiù, nel suo nocciolo, nè svelabile, né spiegabile, al contrario di quanto chiedono le maestre di scuola, ebbene il signor Hobson ha le chiavi dell’esistenza umana quanto e forse più del papa; questo non potrà essere visto così bene in vaticano. Buon per il signor Hobson se forse legge solo il codice da vinci e cerca di calcolarne la biochimica. Sarebbe bello se certe persone avessero il dono del silenzio.