Absence of Subject
August Sander e Michael Somoroff
A cura di Diana Edkins e Julian Sander
Palazzo delle Stelline – Milano
Sino al 7 aprile 2013
Un fotografo crea dei ritratti: corpi, volti, figure intere, sfondi. Un altro fotografo conserva di queste immagini gli oggetti, le cose, gli alberi, la campagna, il cielo, i mobili, le pareti, le porte. E toglie gli umani, li cancella. A sei di questi ritratti aggiunge poi il vento. Le fotografie diventano così dei video nei quali lo spazio si anima lentamente, scompaginando le pagine dei libri, carezzando i prati, aprendo e socchiudendo una porta, muovendo le tende. Intensa e straniante azione di risemantizzazione del già esistente, il cui senso è certo molteplice -estetico, tecnico, filosofico- e che intende soprattutto raffigurare la morte.
Quando infatti August Sander (1876-1964) fotografa l’umanità tedesca tra gli anni Dieci e Trenta del Novecento, non soltanto compone dei magnifici ritratti individuali e collettivi ma sa di aver consegnato quelle persone al loro tramonto, di aver lasciato traccia di una comunità e di alcune singole esistenze che in un quando più o meno lontano non saranno.
Michael Somoroff (1957) ha colto alla radice questa intenzione e l’ha portata a compimento. Il vuoto che le sue immagini comunicano è qualcosa di doloroso e insieme oggettivo, di inevitabile. Nell’assenza del Soggetto rimangono a dominare il tempo, lo spazio, le morte cose alle quali soltanto l’arte e il concetto restituiscono vita.
3 commenti
| Alberto G. Biuso – Assenze
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Biuso
Bellissimo e profondo questo suo commento, cara Adriana.
Soltanto per quanto riguarda le sculture di Tinguely direi che l’obiettivo e il senso di un’opera d’arte è di incarnare e trasmettere qualcosa che faccia a meno anche del suo creatore e degli umani. Per il resto, certo, anche quelle opere sono in primo luogo dei significanti, come lo è tutta l’arte che -per essere tale- non deve risultare didascalica e moralistica ma deve costituirsi come pura forma.
Adriana Bolfo
Così, a caldo: mai visto come sembrano/sono morti gli oggetti di chi è appena morto, se abbiamo frequentato abbastanza la persona e i suoi oggetti? Miseri, piccoli. Ci accorgiamo che queli oggetti sono miseri e freddi e che li vediamo morti perché non si muove più quel vivo che accompagnavano.
Mi affiora un’epressione : “così totalmente disanimata” che, scandita mi pare in questo modo, “così/totalmente/disanimata”, è la pietra-montagna
di Ungaretti, “analogon” al pianto che non si vede nel freddo paesaggio di guerra, perciò di morte, in un momento immobile.
Disanimata.
E, del resto, con moto uguale e contrario a quello del post e delle foto e dell’animazione (indotta), mi viene in mente “anima” latina, cioè soffio vitale, greco antico “ànemos”, vento, soffio, dunque.
Ancora, e questo è Cavalcanti: “Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira/che fa tremar di chiaritate l’are”…
Talmente vivo è un essere vivo che è in grado di trasmettere tremito anche di luce – moto,dunque – all’aria, già mobile.
Per contro: come sono morti e freddi e disperanti (si possono vedere anche così) i macchinari semoventi di Tinguely, potenziale moto perpetuo di perpetuo oggetto, nulla-significante perché mai stato vicino a un organismo caldo e vivo, mai di nessuno.