Ieri pomeriggio -19 novembre- davanti a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, un gruppo di manifestanti ha ricordato che cosa sta succedendo nella Striscia di Gaza.
Sta succedendo che:
«1) Gli israeliani sono la potenza occupante, gli aggressori e non gli aggrediti.
2) Netanyahu e Barak, come gli altri loro colleghi, sono in campagna elettorale, e hanno bisogno di incassare il consenso politico dei loro elettori facendo strage di gazawi.
3) Quasi due milioni di gazawi stanno vivendo nel terrore, in queste ore, a causa delle bombe e dei massacri israeliani che finora hanno ucciso 10 persone [ormai più di cento e migliaia di feriti, n.d.r.], tra cui bimbi piccolissimi, carbonizzati.
4) I leader israeliani stanno cercando di convincere il mondo che sono loro le vittime, invece hanno le mani macchiate dal sangue palestinese, e ci sono tribunali, in vari Paesi, pronti ad arrestarli appena dovessero mettere piede sui loro territori.
5) Israele ha violato una tregua mediata dall’Egitto, bombardando Gaza.
6) I palestinesi hanno il diritto, riconosciuto dalle leggi internazionali, di difendersi come ritengono opportuno, dalle aggressioni israeliane.
7) Il popolo palestinese vorrebbe vivere in pace sulla propria terra, nelle proprie case, ma Israele non lo permette.
8) Israele non può che rimproverare se stesso per l’escalation in corso.
9) La scorsa settimana, Israele ha ucciso 7 civili, e la resistenza ha risposto lanciando razzi. Ora Israele sta raccontando che i bombardamenti in corso contro la Striscia sono una rappresaglia ai razzi della resistenza, quando è vero esattamente l’opposto.
10) Israele continua a imporre da anni l’assedio alla Striscia di Gaza».
(Fonte: Angela Lano, Bombardamenti israeliani e il capovolgimento della ragione)
Poche cose sono infami come la manipolazione dei fatti attuata dai potenti contro le loro vittime. È quello che accade sistematicamente nei rapporti tra lo Stato di Israele e il popolo palestinese.
Milioni di persone sono costrette a vivere dietro un muro altissimo e lungo centinaia di chilometri -rispetto al quale quello di Berlino era un manufatto artigianale- prive di medicine, di risorse produttive, di libertà. Trattate come umanità inferiore. Destinate a un chiaro genocidio, attuato anche tramite «politiche di colonialismo e d’apartheid» ispirate a una concezione razzistica che affonda le sue radici nella Bibbia.
Stavolta Davide-Palestina non ha molte speranze di resistere allo strapotere militare di Golia-Israele.
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agbiuso
Ariel Sharon: Una storia criminale di Zvi Schuldiner
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Era stato colpito da emorragia cerebrale otto anni fa l’allora primo ministro Ariel Sharon; finito in coma, in stato vegetativo, non aveva mai ripreso conoscenza. Adesso i media sono invasi dall’immagine dolce del nonno grande statista, che sembra occultare il vero passato di un leader arrivato a compiere azioni criminali. È necessario ricordare parte della sua storia, anche per capire un po’ meglio una società israeliana sommersa e impantanata in un’enorme onda razzista, nazionalista, fondamentalista.
Negli anni ’50 del secolo scorso il capitano Sharon era un aspro combattente che partecipava ad atti di provocazione, con l’obiettivo di far deflagrare la situazione alla frontiera giordana. Nel 1953, in una delle famose «azioni di rappresaglia» di quel periodo, un’unità comandata da Sharon assassinò sessanta abitanti del villaggio di Quibia, in Giordania.In non poche occasioni, la lunga carriera militare di Sharon si inscrive nella brutalità e nell’escalation di un conflitto fattosi ancor più sanguinoso con la guerra del 1967. Sharon, al tempo già generale, comandante della zona sud, dà avvio a una brutale repressione a Gaza negli anni ’70, in seguito diventa il discusso eroe della guerra del 1973 e poco dopo inizia una turbolenta carriera politica. Con curiosi andirivieni, a poco a poco arriva a essere uno dei leader del Likud. Quando giunge al potere Menachem Begin, Sharon inizia una carriera che lascerà nella storia segni indelebili, ancora più degli attacchi criminali compiuti quando comandava la famigerata unità 101, o della repressione dei palestinesi a Gaza.Soffermiamoci brevemente su quattro drammatiche decisioni politiche di Sharon, indispensabili per capire da un lato la stessa realtà odierna di Israele e la possibilità o meno di un trattato di pace, dall’altro la pericolosa carriera di un leader che nei suoi ultimi anni di vita politica era stato ritenuto – a torto – un possibile De Gaulle, che avrebbe fatto ritirare Israele dai Territori occupati.
Sharon era ministro dell’agricoltura nei giorni di Camp David, quando con la mediazione statunitense si discuteva di una possibile pace israelo-egiziana. E all’epoca fu uno dei principali architetti del progetto di colonizzazione dei territori occupati, con molte iniziative e fiumi di denaro. Sharon pensava che la pace con l’Egitto avrebbe permesso di inaugurare una serie di trattative che potevano arrivare alla discussione sul destino della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, e riteneva che nuovi insediamenti e un arrivo massiccio di coloni fossero la ricetta migliore per rendere impossibile la pace.L’allora ministro della difesa Ezr Weitzman, un noto falco diventato ardente colomba durante le trattative di pace con l’Egitto, volle cambiare la posizione del primo ministro Begin rispetto a possibili trattative di pace con i palestinesi e dopo aspre discussioni con il premier rinunciò alla carica, una delle più importanti nella gerarchia politica israeliana.
Così Sharon, da sempre frustrato per non essere arrivato al grado di comandante generale dell’esercito, poté realizzare il suo sogno, comandando l’esercito come ministro della difesa. Poco tempo dopo il suo arrivo a questa carica chiave, diede inizio ai preparativi per la guerra del Libano.È tuttora ignoto l’autore del tentativo di assassinio dell’ambasciatore israeliano a Londra Shlomo Argov, che fu gravemente ferito; l’evento rappresentò comunque la scusa ufficiale che serviva per avviare la guerra del Libano, il 5 giugno 1982. «Come sempre», avrebbe dovuto essere una guerra lampo, di pochi giorni. Per alcuni era la guerra necessaria per distruggere l’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina), liquidare Arafat e affossare i negoziati sul futuro della Cisgiordania. Per Sharon e altri era molto di più: si trattava anche di intronizzare a Beirut la famiglia Gemayel, alla testa delle Falangi cristiane del Libano; in casi specifici le falangi si erano alleate ai siriani, e avevano liquidato palestinesi, come nel caso del massacro del campo di Tel Al Zaatar, ma esse diventarono alleate di Israele ed esecutrici dei suoi ordini, arrivando a essere un baluardo anti-siriano.
Il giovane Bashir Gemayel, presidente eletto con la protezione delle armi israeliane, salta in aria poco dopo, forse assassinato dai siriani. La grande vendetta arriva pochi giorni dopo: le falangi cristiane entrano nel campo di rifugiati palestinesi a Sabra e Shatila con l’avallo delle forze israeliane – «non sapevamo – non abbiamo visto – non immaginavamo – non abbiamo sentito». La mattanza commuove il mondo e la commozione arriva anche in Israele.Le proteste nel paese obbligano alla fine il governo a formare una commissione d’inchiesta, la quale fra l’altro arriva a concludere che Sharon deve lasciare la carica di ministro della Difesa. La guerra «di pochi giorni» durerà oltre 18 anni; la ritirata delle forze israeliane sarà decisa solo nel maggio 2000, dal primo ministro Ehud Barak. Sharon continua a fare il ministro, dapprima senza portafoglio, poi incaricato degli alloggi, una carica che gli permette di tornare a essere il grande architetto della colonizzazione dei territori occupati.
Nel settembre del 2000, Sharon fa una mossa che il primo ministro Barak avrebbe potuto impedire: va alla moschea di Al Aqsa. La sua visita scatena la seconda intifada, che ha termine anni dopo, quando Sharon è già primo ministro. Non entriamo qui nel merito della posizione di Barak, che allora era appena tornato dal fallimento dei negoziati con Yasser Arafat e Bill Clinton a Camp David. L’intifada, la brutale escalation repressiva, il susseguirsi di attacchi palestinesi: è in questo scenario che la carriera politica di Sharon arriva al culmine, quando tutti pensano che il grande generale sia politicamente morto. In effetti Sharon ha ereditato il partito dello sconfitto Netanyahu e dopo i tre tristi anni di governo di quest’ultimo, Barak sembra portatore delle grandi speranze di rinnovamento. Ma in poco tempo monumentali errori portano quest’ultimo a una grande sconfitta, e così il «morto politico» Sharon diventa improvvisamente primo ministro.Il fatidico 11 settembre 2001 apre un nuovo capitolo di storia. George W. Bush, che tutti consideravano un fallimento totale, diventa leader mondiale grazie alle sue criminali guerre in Afghanistan e Iraq. Il rancherostatunitense Bush trova un linguaggio comune con il ranchero israeliano Sharon. Le pressioni di alcuni paesi arabi portano Bush e Sharon a ripensare alcuni elementi nel quadro mediorientale: si fanno piccole aperture per scongiurare l’acuirsi del conflitto, e per evitare grandi cambiamenti reali.
Il ritiro dalla Striscia di Gaza nell’agosto 2005 sarebbe il «grande passo» di Sharon, il «pacifista», agli occhi di molti osservatori disattenti della politica mediorientale, e di politici europei al traino di Bush e del sorridente Tony Blair. I nostri lettori possono ritrovare sulle pagine del manifesto di allora le ragioni della nostra opposizione a questo ritiro, che molti stupidi considerarono un vero cambiamento.Un ritiro dai territori occupati ha sempre elementi positivi, ma nel 2005 la mossa politica era chiara; il ritiro da Gaza, con tutta la sceneggiata, con un’enorme copertura mediatica da parte di stampa e tivù del mondo intero, con l’apparenza di un passo verso la pace fu in realtà un’iniziativa unilaterale grazie alla quale il governo israeliano posticipava di molti anni qualunque negoziato sulla Cisgiordania.La colonizzazione galoppante di quest’ultima, in effetti, diventa da allora sempre più grave e massiccia, ma al tempo stesso l’immagine di Israele e del nostro grande leader migliora. Sharon non cerca nemmeno di parlare o negoziare con Abu Mazen; l’immagine di un possibile campo palestinese moderato ne esce indebolita e già agli inizi del 2006 il trionfo di Hamas è l’ideale per il rafforzamento della politica del grande generale.
La mossa di Sharon aveva funzionato; altri scontri avevano acuito l’odio fra i due popoli e il cosiddetto processo di pace era caduto in disgrazia, agonizzante o dormiente, quando l’improbabile De Gaulle entrò, nel 2006, in uno stato di coma. In questi anni, la retorica pacifista israeliana non ha affatto rimesso in moto il processo di pace, e altri coloni hanno occupato territori.
Sharon che era stato uno dei principali leader della protesta contro gli accordi di Oslo firmati nel 1993 da Isaac Rabin, Shimon Peres e Yasser Arafat; Sharon che era stato in prima fila nelle manovre per far fallire il processo di Oslo dopo l’assassinio di Rabin, muore vent’anni dopo, mentre la pace si fa sempre più lontana. Sharon, considerato da molti un artefice del cambiamento, è stato in realtà uno dei principali ideatori della colonizzazione dei territori occupati nel ’67; e il grande affossatore di ogni possibile processo di pace.
(Traduzione di Marinella Correggia)
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Da il manifesto, 11.1.2014
agbiuso
“Si può vivere bene in Germania solo se si è ariani, ricchi, sani, alti e belli”.
Questo si sarebbe potuto dire della Germania hitleriana.
Questo afferma Avi Mograbi,regista israeliano ed ebreo:
«Si può vivere bene in Israele solo se si è ebrei, ricchi, sani, alti e belli»
E aggiunge, rispondendo alle domande di Cristina Piccino:
«Chiariamo subito una cosa: Alì è palestinese, è un arabo israeliano, la sua posizione è molto diversa da quella di un israeliano ebreo come sono io. Che ho alle spalle una famiglia importante, sono cresciuto nella classe agiata di Tel Aviv, mentre Alì è un rifugiato cacciato via dalla sua casa, cresciuto ai margini. Il mio vivere “a metà” è più che altro metaforico, è legato al fatto che non accetto le regole della società israeliana. Ti faccio un esempio: due giorni fa Alì e sua moglie hanno preso il volo per Roma. Sono sposati, sono entrambi cittadini israeliani ma ai controlli hanno fermato solo Alì chiedendogli di mostrare un altro documento. Lui si è rifiutato esigendo una spiegazione, che nessuno gli darà mai, perché nessuno dirà mai che Alì in quanto arabo è un cittadino di categoria inferiore. Situazioni del genere sono continue. Alì continua a vivere nella società ebraica, e rifiuta con le sue scelte le separazioni che Israele costruisce ogni giorno. Ma è molto dura, lo è stato con le famiglie, adesso c’è Yasmin che rappresenta una connessione tra di loro, lei ha un legame molto forte coi nonni…
A quanto racconta nel film Yasmin, il razzismo è radicato profondamente nella società israeliana.
Sì ma il problema nei confronti dei cittadini arabi è un altro: la discriminazione è ufficializzata. I palestinesi sono cittadini di secondo grado perché Israele è uno stato ebraico. Si può lottare contro un sistema sociale, contro un’educazione, un punto di vista. Ma quando la discriminazione, come accadeva nel Sudafrica dell’apartheid, fonda lo stato allora tutto diventa inutile».
Fonte: il manifesto, 5.12.2012
agbiuso
138 a favore -tra cui l’Italia-, 9 contrari, 41 astenuti.
In questo modo alcuni giorni fa l’Assemblea generale dell’ONU ha accolto finalmente la Palestina come “Paese osservatore non membro”.
La reazione di Israele-Golia è ancora una volta nel segno della sopraffazione e dell’illegalità.
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[…]
Sul piano internazionale, l’isolamento del governo israeliano manifestatosi con il voto all’Assemblea generale dell’Onu, è stato confermato dal coro di condanne per la scelta di espandere gli insediamenti in Cisgiordania e soprattutto nella zona E1, quella tra la città-colonia di Ma’aleh Adumim e Gerusalemme est. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha detto in una nota affidata al suo portavoce che si tratta “di un colpo quasi fatale alla possibilità di creare due stati per due popoli”, una decisione che causa “grave preoccupazione e disappunto”. L’espansione in quella zona isolerebbe Gerusalemme est dal resto della Cisgiordania, tagliando in due la regione e privando ogni futuro stato palestinese della continuità territoriale.
Più dure le reazioni europee. Francia, Svezia, Gran Bretagna e Spagna hanno convocato gli ambasciatori israeliani per protestare contro la decisione del governo. La Svezia ha inoltrato una protesta formale. Il governo britannico, che pure si era astenuta al voto all’Onu pochi giorni fa, ha diramato una nota in cui “deplora la decisione di costruire 3 mila case negli insediamenti in Cisgiordania e di sbloccare lo sviluppo nell’area E1. Tutto ciò minaccia la soluzione dei due stati – prosegue la nota – E pertanto chiediamo al governo israeliano di ritornare sulla sua decisione”.
Anche il governo tedesco ha fatto sentire la sua voce con una dichiarazione affidata al portavoce Steffen Seibert: “Facciamo appello al governo israeliano affinché desista da questa procedura”. Seibert ha aggiunto che mercoledì, quando il premier israeliano Netanyahu sarà in Germania per incontrarle la cancelliera Angela Merkel, “ci aspettiamo una franca discussione, tra amici”, lasciando intendere che le preoccupazioni europee per l’espansione degli insediamenti saranno presentate direttamente al capo del governo israeliano. Francia e Gran Bretagna, inoltre, secondo la stampa israeliana, non vogliono limitarsi alle note di protesta ma starebbero pensando anche a un gesto più forte, che potrebbe arrivare fino a richiamare in patria gli ambasciatori accreditati a Tel Aviv. Un passo, sottolineano i media israeliani, che non ha precedenti. Una decisione in questo senso potrebbe arrivare già oggi.
Il quotidiano Haaretz, tuttavia, aggiunge citando una fonte che appartiene all’ufficio del primo ministro Netanyahu, che il governo avrebbe in mente altre misure contro l’Autorità nazionale palestinese: “I palestinesi si renderanno conto di aver commesso un grave errore con l’atto unilaterale compiuto all’Onu”. L’ennesimo braccio di ferro, insomma, sembra solo all’inizio. Anche perché Israele non intende in alcun modo accogliere le richieste della comunità internazionale: “Israele continuerà a difendere i suoi interessi vitali, anche arrivando a sfidare la la pressione internazionale, non ci sarà alcun cambiamento nelle decisioni prese”.
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Fonte:il Fatto quotidiano, 3.12.2012
Poco fa su televideo la notizia che anche la Spagna ha richiamato il proprio ambasciatore in Israele:
18.18 Madrid si è unita a Londra e Parigi per manifestare “il profondo malessere” per le decisioni assunte da Israele e ha convocato l’ambasciatore israeliana in Spagna. Per il ministro degli Esteri spagnolo, Garcia-Margallo, “la costruzione di nuovi alloggi nell’area occupata in territorio palestinese che taglia la Cisgiordania in due e, pertanto, impedirebbe la creazione di uno Stato palestinese.
Giuseppe Ronco
Geniale il titolo. Davide è diventato palestinese. Israele è diventato Golia benché sia un gruppetto di persone circondato da una massa di fanatici pseudo-religiosi che non vuole alcun accordo. Il fatto è che non gliene frega a nessuno dei palestinesi e degli arabi ma si perpetua l’antisemismo, com’è sempre stato, travestendolo di volta in volta con nuovi pretesti. I crociati fanno vignette per mettere maometto alla berlina ma lo amano se serve per riportare gli ebrei nei ghetti e nei lager (che comunque non sono mai esistiti e non è mai esistito primo levi). Bravi
agbiuso
Grazie, Aurora, del suo commento.
Moni Ovadia, musicista e attore ebreo, ha formulato per il sito di Grillo un’analisi dal titolo Israele verso la catastrofe, nella quale sostiene tra l’altro che “non c’è una trattativa in corso, non si vuole accedere alla trattativa e c’è un governo in Israele, che secondo me è il peggiore della storia di Israele, che semplicemente non vuole uno Stato palestinese di fianco a Israele. Non lo vuole, e questa secondo me è la ragione principale di tutto il disastro”.
aurora
La diaspora ebraica è la dispersione del popolo ebraico nel mondo,poi David Ben Gurion alle 16,00 del 14 maggio 1948, nei locali del Museo di Tel Aviv,proclamò la nascita ufficiale dello Stato d’Israele a scapito del popolo palestinese a quel tempo nessuno voleva gli ebrei non ne conosco la ragione. Il romanzo di Gordon Thomas.racconta che nel 1939 una nave tedesca salpa da Amburgo per Cuba con 937 ebrei in esilio politico. Ma all’Avana non li vogliono e negli USA nemmeno. Si torna indietro finché il calvario dei poveretti finisce con il permesso di sbarco ad Anversa.
Oggi gli ebrei hanno rimosso la tragedia della shoah l’olocausto perpetrato da Adolf Hitler e l’hanno rivolto ad altri esseri umani con il beneplacito delle nazioni unite
agbiuso
Sì, caro Diego, l’operazione di propaganda forse stavolta riuscirà meno che in precedenti occasioni.
Il nervosismo dei giornali filosionisti -in prima fila la Repubblica– è confermato dalla censura operata nei confronti di Piergiorgio Odifreddi, che per questo ha deciso di rinunciare al suo spazio su quel quotidiano.
Ecco che cosa aveva scritto Odifreddi ieri:
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Dieci volte peggio dei nazisti
Uno dei crimini più efferati dell’occupazione nazista in Italia fu la strage delle Fosse Ardeatine. Il 24 maggio 1944 i tedeschi “giustiziarono”, secondo il loro rudimentale concetto di giustizia, 335 italiani in rappresaglia per l’attentato di via Rasella compiuto dalla resistenza partigiana il 23 maggio, nel quale avevano perso la vita 32 militari delle truppe di occupazione. A istituire la versione moderna della “legge del taglione”, che sostituiva la proporzione uno a uno del motto “occhio per occhio, dente per dente” con una proporzione di dieci a uno, fu Hitler in persona.
Il feldmaresciallo Albert Kesselring trasmise l’ordine a Herbert Kappler, l’ufficiale delle SS che si era già messo in luce l’anno prima, nell’ottobre del 1943, con il rastrellamento del ghetto di Roma. E quest’ultimo lo eseguì con un eccesso di zelo, aggiungendo di sua sponte 15 vittime al numero di 320 stabilito dal Fuehrer. Dopo la guerra Kesselring fu condannato a morte per l’eccidio, ma la pena fu commutata in ergastolo e scontata fino al 1952, quando il detenuto fu scarcerato per “motivi di salute” (tra virgolette, perché sopravvisse altri otto anni). Anche Kappler e il suo aiutante Erich Priebke furono condannati all’ergastolo. Il primo riuscì a evadere nel 1977, e morì pochi mesi dopo in Germania. Il secondo, catturato ed estradato solo nel 1995 in Argentina, è tuttora detenuto in semilibertà a Roma, nonostante sia ormai quasi centenario.
In questi giorni si sta compiendo in Israele l’ennesima replica della logica nazista delle Fosse Ardeatine. Con la scusa di contrastare gli “atti terroristici” della resistenza palestinese contro gli occupanti israeliani, il governo Netanyahu sta bombardando la striscia di Gaza e si appresta a invaderla con decine di migliaia di truppe. Il che d’altronde aveva già minacciato e deciso di fare a freddo, per punire l’Autorità Nazionale Palestinese di un crimine terribile: aver chiesto alle Nazioni Unite di esservi ammessa come membro osservatore! Cosa succederà durante l’invasione, è facilmente prevedibile. Durante l’operazione Piombo Fuso di fine 2008 e inizio 2009, infatti, compiuta con le stesse scuse e gli stessi fini, sono stati uccisi almeno 1400 palestinesi, secondo il rapporto delle Nazioni Unite, a fronte dei 15 morti israeliani provocati in otto anni (!) dai razzi di Hamas. Un rapporto di circa 241 cento a uno, dunque: dieci volte superiore a quello della strage delle Fosse Ardeatine. Naturalmente, l’eccidio di quattro anni fa non è che uno dei tanti perpetrati dal governo e dall’esercito di occupazione israeliani nei territori palestinesi.
Ma a far condannare all’ergastolo Kesserling, Kappler e Priebke ne è bastato uno solo, e molto meno efferato: a quando dunque un tribunale internazionale per processare e condannare anche Netanyahu e i suoi generali?
Piergiorgio Odifreddi
diegob
Anche a chi non avesse alcuna simpatia filopalestinese appare evidente una sproporzione di mezzi e di potenza militare.
Ho l’impressione, però, che il nuovo Egitto si muova di più in aiuto verso i palestinesi rispetto al precedente regime (seppur con grande cautela).
Ho l’impressione anche che l’opinione pubblica europea sia abbastanza tiepida nell’accettare la versione israeliana dei fatti per cui l’operazione seppur riuscita nel suo intento aggressivo non stia riuscendo dal punto di vista propagandistico.
Certo lo spettacolo delle piccole vittime è lacerante, ci si sente in colpa anche solo nel saperlo.