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Sul tempo. Una prospettiva cinematografica

Amour
di Michael Haneke
Con: Jean-Louis Trintignant (Georges), Emmanuelle Riva (Anne), Isabelle Huppert (Eva)
Francia – Germania – Austria, 2012
Trailer del film

L’immobilità di un appartamento parigino abitato da Georges e Anne. Ottantenni. Hanno vissuto insieme un’esistenza dedicata alla musica, all’arte, al reciproco comprendersi. Tornano dal concerto di un loro brillante allievo. Durante la notte Anne veglia guardando fisso davanti a sé. Il mattino successivo, durante la colazione, per qualche minuto la donna non risponde alle parole e alle domande del marito. Il suo sguardo è fisso e perduto. Georges le prende il viso tra le mani, stupito e preoccupato. Quando Anne rientra in sé, non ricorda ciò che è accaduto.
Sono i segnali di un ictus che le paralizza il lato destro del corpo. Seduta sulla sedia a rotelle. Messa a letto da Georges. Aiutata da lui a lavarsi i capelli e a tagliare il cibo nel piatto. Urina a letto senza accorgersene. Esercizi con la gamba destra. Un faticoso camminare abbracciata a Georges per le stanze di casa. La doccia immobile. Le parole proferite a fatica. Parole in parte prive di senso. La bocca contratta in una smorfia, nella piega. Bocca chiusa a rifiutare il cibo, a respingere via l’acqua che Georges cerca di farle bere.
È il piano inclinato del corpomente che decade, si sfalda, si spegne. Georges ha un incubo nel quale qualcuno bussa alla porta ma dietro la porta non c’è nessuno. Apre. L’ascensore è sparito. Non sarà più possibile muoversi da un piano all’altro. I corridoi del palazzo sono pieni di acqua. Una mano lo afferra alla bocca per soffocarlo. Si sveglia. Ha sognato l’immobilità del corpo, l’acqua/urina, la mano paralizzata della moglie.
Un supremo gesto d’amore, anticipato nella scena iniziale con la quale il film irrompe sullo schermo per chiudersi infine con il pianissimo della figlia Eva che torna nella casa ormai vuota, dove qualcosa è accaduto, è accaduta la vita, è accaduto il dolore.
L’immobilità di un’opera tutta girata in un interno è soltanto apparente. Amour è il puro dinamismo di un far vedere il tempo nelle sue trasformazioni inesorabili, nella dissoluzione alla quale tutti siamo destinati. Il Körper –l’organismo– all’inizio emerge dalle stanze sigillate a impedire che si diffonda l’acre odore della morte. Il Leib -il corpo– è altra cosa, è l’inesorabile esserci come tempo, anche quando il ricordo del proprio bene e della propria bellezza induce a respingere da sé lo specchio che testimonia -oggettivo- l’avanzare del tempo. Il cinema è immagine/movimento, il corpo è tempo/movimento. Entrambi sono temporalità in atto che racconta di se stessa e del mondo. A metà del film la macchina da presa  si sofferma su una serie di dipinti che descrivono l’andare delle stagioni e della natura. Film intessuto di raffinate e discrete citazioni da Bergman, da Vermeer, da Kubrick.
Il movimento lento, anziano e scandito di un meraviglioso Jean-Louis Trintignant è quello di un dio della vita e della morte che si inchina alla potenza suprema, superiore a quella di ogni divinità. La potenza della necessità e del tempo, di Ananke e di Chronos. Frammenti di un tempo cinematografico in un’opera  crudele e radicalmente impudica, che mette a nudo la struttura interna, temporale, dei corpi viventi. Destinati a morire.

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