Margin Call
di Jeffrey J. Chandor
USA, 2011
Con: Kevin Spacey (Sam Rogers), Paul Bettany (Will Emerson), Jeremy Irons (John Tuld), Zahary Quinto (Peter Sullivan), Simon Baker (Jared Cohen), Stanley Tucci (Eric Dale), Demi Moore (Sarah Robertson)
Trailer del film
Un film è anzitutto una narrazione. Di eventi, situazioni, personaggi, sviluppi, drammi, cadute, rassegnazioni, superamenti. Margin Call è la narrazione di quanto è avvenuto nel 2008 alla Lehman Brothers, una delle più importanti banche d’affari di Manhattan e quindi del mondo. Una banca che le ormai leggendarie e potentissime agenzie di rating classificavano con la tripla A -il massimo dell’affidabilità- poco prima del suo rovinoso crollo e quando i suoi titoli non valevano già più niente. Puro azzardo e truffa. Questo sono le grandi banche, che distribuiscono profitti stellari ai loro proprietari e conducono alla rovina milioni di persone che a esse si affidano o per bisogno oppure per il desiderio di una vita che vada al di là dell’agio. Salvo precipitare dall’alto delle proprie speculazioni.
Viene narrata la notte nella quale un giovane impiegato apre la chiavetta affidatagli da un collega più anziano licenziato in tronco e scopre che l’equazione sulla quale era fondata la previsione di crescita era inutilizzabile, che l’esposizione della banca superava ormai l’intero capitale sociale dell’azienda. L’uno dopo l’altro, in rigorosa scala gerarchica, vengono informati i dirigenti della banca. La decisione sarà di vendere tutti i titoli-spazzatura a chiunque sia disposto a comprare -anche alla mamma- e, alla fine, a qualunque prezzo. Dal crollo di quell’istituto finanziario sono derivate a domino le conseguenze che riguardano la vita di ciascuno di noi, anche di chi non ha soldi a sufficienza per investire in borsa o non vuole farlo. I mercati finanziari, infatti, sono i veri padroni della politica e dell’economia, com’è naturale che sia nella logica del capitalismo, quello nel quale siamo immersi tutti e che tutti rischia di frantumarci. Forse è soltanto questione di tempo.
Quel tempo che in questo film è serrato e discreto, osservatore e osservato, inesorabile e chiuso. Chandor conferma che si può fare puro spettacolo hollywoodiano senza per questo rinunciare a far capire ciò che accade, il suo buio. “Margin Call” viene definita «la richiesta fatta all’investitore, da parte dell’intermediario in titoli, di integrare il quantitativo di contante o titoli di Stato depositato in garanzia presso lo stesso intermediario. Questa richiesta viene avanzata quando il variare delle condizioni di mercato rende insufficiente il margine disponibile a tutelare l’intermediario dalle perdite» (Fonte: Performancetrading).
[Nelle loro recensioni Diego Bruschi e Marcella Leonardi evidenziano la struttura tragica di quest’opera, l’ineluttabilità greca, l’Ananke. Ma ne traggono giudizi opposti].
9 commenti
Alberto G. Biuso » «Economic Sense» e filosofia
[…] Davvero sono delle affermazioni di buon senso economico, che però il puro ideologismo dei banchieri che governano la finanza mondiale si rifiuta di comprendere e di praticare, preferendo la catastrofe sociale e umana pur di salvare non i popoli ma le banche e le loro operazioni speculative. Banche che se vincono le loro scommesse d’azzardo -questo è di fatto “il Mercato”- incassano il danaro; se perdono, chiedono e ottengono che siano i cittadini a ripianare i loro debiti. È quello che sta succedendo a partire dal fallimento della Banca Lehman Brothers nel 2008. […]
mario gazzola
Non lo nego, meno male che lo è 🙂
E’ per questo che l’umanità l’ha prodotta ed è naturale che menti avvedute se ne abbeverino, traendone le dovute conseguenze anche nel proprio agire quotidiano.
Quel che dicevo io – e lì è la cosa che ci stupisce contraddicendo i nostri cliché mentali – è che pur in menti avvedute e razionalmente strutturate su una serie di profondi stimoli scientemente raccolti e introitati, permangano aree di pensiero in qualche modo ‘assorbite’ dall’ambiente, sia esso l’educazione appresa nei primi anni o il clima sociale respirato da adulti nel mondo del lavoro e delle relazioni sociali in genere.
Ma magari era solo che, fra le menti avvedute, io sto fra le “meno avvedute” del lotto e sono solo un “agrimensore K” delle P.R. intrinsecamente succubi al capitalismo della jungla globale, che solo sogna di “essere qualcosa di diverso” dal suo ambiente…… come scrive nei suoi deliranti racconti.
Spero di potervi proporre uno di questi, che un po’ tocca questi temi. S’intitola “G 25”, Alberto G l’ha letto appena finito, ma io ancora attendo che esca nel neosbandierato formato ebook (e forse diventi drammaturgia teatrale), speriamo prima che il vento disperda le ceneri di questo scambio ma non ci conto molto… 😉
diego b
ben raramente secondo gli insegnamenti dei filosofi
la questione è complessa
per esempio il pensiero dell’amico e filosofo alberto non è che influenzi direttamente il mio agire, non è che mi faccia mutare scelte immediate
ma, alcuni aspetti della sua riflessione, in specie in merito a quel che siamo (o meglio ancora quel che non siamo), in merito a quella che è la nostra essenza di materia che vive l’autocoscienza, in una prospettiva in cui naufraga ogni vascello di provvisorie essenze storiche
non mi lascia indifferente, mi cambia, aumenta la mia calma, la mia serena accettazione della finitezza
insomma, caro mario, guarda che la filosofia è un grande ricostituente, nel senso letterale di ri-costituzione di noi stessi
forse son stato un po’ oscuro, ottimo mario, ma che ci vuoi fare, sono un po’ dilettante, in questi argomenti
mario gazzola
grazie Diego, sì, l’idea è proprio quella, non si può non ‘contaminarsi’.
A 20 anni rimasi molto turbato quando una psicologa mi disse in una conversazione informale, “alla fine, nelle grandi decisioni, tutti seguiamo bene o male l’inprinting che abbiamo ricevuto in famiglia da piccoli”.
Ma cazzarola, e il libero arbitrio?! Io ero convinto di pensare con la mia testa, non con quella di mio padre… eppure, diventando grande, ti rendi conto che quel fattore c’è eccome, così come mia figlia oggi mi somiglia molto in tratti caratteriali e altrettanto assorbe da sua mamma.
Come possiamo pensare che il clima che respiriamo 8 o più ore al giorno per 20, 30 anni, non abbia un effetto su di noi? Quando poi si tratta di valutare scelte sostanziali, modello di sviluppo, ripartizione delle risorse, diritti e doveri miei e degli altri nella società… chi ha più diritto di accampare la tal pretesa? Osserviamo di fronte a queste banali questioni come si struttura subito il pensiero individuale… ben raramente secondo gli insegnamenti dei filosofi, mi pare, purtroppo, no?
diegob
è molto interessante, caro gazzola, il tuo commento
in sostanza affermi che un certo modo di pensare e di leggere il mondo, quando diviene egemonico, penetra anche nelle personalità che si ritengono alternative, critiche
mi viene in mente le riflessioni di debord spesso citate dal nostro qualificatissimo padrone di casa
io credo che in parte è inevitabile contaminarsi, come quando bene o male se vai a vivere in un posto ne prendi l’accento
ma non si puo’ essere mai totalmente altrove, in fondo il vecchio marx era anche un po’innamorato della grande capacità dinamica del capitalismo
un tema interessante non poco
mario gazzola
hehe, ecco, vedete, osservate attentamente: nel mio ‘rosicare’ per essere arrivato ‘tardi’ nella ‘partita’ paragiornalistica del commento ai film si riflette l’influenza che la società descritta dai 2 film ha sulle nostre menti.
Perfino su quella di un ‘volontario della cultura’ come il sottoscritto, che non dedica il 100% del suo tempo al profitto e dalla cultura trattata x passione non ricava (quasi) un quattrino.
Disse una volta Wim Wenders: “gli americani hanno colonizzato il nostro subconscio”. E pensava al rock, al cinema dei grandi spazi e delle avventure on the road che lui stesso amava etc.
Ma forse non aveva sott’occhio ancora quanto l’avevano colonizzato con la loro cultura del ‘vincere’, dell’arrivare primi nella corsa della vita (di cui la finanza è summa ontologica), ben metaforizztata nel romanzo “La Lunga Marcia” dello Stephen King degli anni ’70. Vincere o morire.
Ecco, io mi credo un ‘alternativo’ eppure se mi specchio sotto il cerone mi tocca vedere sfumature di quella mentalità che non condivido persino nei miei moti minimi dell’animo….
Potreste recensirmi come installazione performativa life-specific ;-)))))
agbiuso
Caro Mario, per fortuna le opere d’arte -o almeno dell’ingegno- non sono delle partite 🙂
Si tratta di due opere che dimostrano come le modalità espressive delle narrazioni possano essere irriducibili tra di loro.
Il tema è analogo ma Margin Call lo racconta come un thriller fondato sull’inevitabile; Cosmopolis è una meditazione claustrofobica-metafisica, che va molto al di là del suo tema.
La vittoria è dunque facile per Cronenberg ma Chandor non sfigura.
mario gazzola
ecco, m’avete fregato ancora una volta, io non sono ancora riuscito a vederlo e subisco lo stimolante dibattito senza poter intervenire a proposito…
bella la storia-verità dell’impiegato reale, sarebbe da far apparire anche in un articolo pubblico, non solo in un forum privato!
Allora il match Cronenberg-Chandor come si chiude secondo voi?
diegob
ti ringrazio per aver accostato la mia recensione a quella, più competente, più interessante, di marcella leonardi
in realtà il film non è un film di denuncia, non vuole esserlo, ma non è neppure un film «amico» di quel mondo
l’intento di chandor è, secondo me caro alberto, far del buon cinema e ci riesce
ho un piccolissimo scoop personale, che ho già rivelato: ho commentato in un forum privato il film proprio con un giovane impiegato di quella banca, uno che l’ha vissuta davvero, e mi ha confermato l’esattezza del racconto, anche in dettagli, come l’arrivo dei supercapi con l’elicottero dal cielo, la riunione notturna, insomma la vicenda
diciamo che il film è simbolico ma assolutamente documentato, cambiano i nomi magari, ma non i fatti