4.782.400 euro di stipendio annuo, più di 13.102 euro al giorno. Ai quali aggiungere benefit e premi di varia natura e quantità. Questa è la retribuzione di Sergio Marchionne, Amministratore Delegato della Fiat. Il quale è il primo a denunciare il crollo di vendite di automobili in Italia, in particolare di quelle prodotte dalla sua azienda. Mi chiedo come un manager che sta portando la sua azienda al disastro possa guadagnare cifre enormi, invece che essere licenziato. Più in generale, come pensa la Fiat -e ogni altra grande azienda e pure Monti (un robot fuori dalla realtà sociale e ben dentro l’illusione delle banche)– di continuare a vendere i propri prodotti favorendo il licenziamento di coloro che dovrebbero comprarli, diminuendo stipendi e salari, portando le fabbriche all’estero, chiudendo le aziende italiane? Chi dovrebbe acquistare auto e altre merci se si toglie lavoro agli italiani?
A questa domanda Dario Sammartino -ottimo conoscitore, tra l’altro, del mercato automobilistico- mi ha così risposto: «Marchionne non è licenziato perché forse sta ottenendo risultati finanziari utili ai padroni della Fiat. Infatti ormai la Fiat è anche Chrysler, e questa va benone. La Fiat va male in Europa perché non offre prodotti all’altezza dei concorrenti, neanche se fossero costruiti da schiavi senza retribuzione. E non offre prodotti perché non sta investendo: forse Marchionne sta conservando i soldi per completare l’acquisto della Chrysler o per qualche altro intrigo finanziario internazionale: di certo l’Italia non interessa più. In generale, poi, questi grandi manager prendono retribuzioni fuori da qualsiasi legame con i loro risultati, anche se negativi: basti pensare agli amministratori delegati dell’Alitalia o delle Ferrovie»
Questa risposta conferma che la Fiat dopo aver spremuto l’Italia con i soldi elargiti dai governi e sottratti agli italiani, dopo aver contribuito a ricondurre le relazioni industriali a livelli ottocenteschi, dopo aver mentito sulle sue intenzioni, è decisa a lasciare il Paese. Una volta si diceva “privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite”, ora siamo alla distruzione del lavoro e all’incameramento del bottino. In questo tipo di azioni la Fiat, i suoi padroni e i suoi amministratori delegati sono sempre stati bravissimi. Forse per questo Marchionne merita tutti i soldi che la Fiat gli dà.
Al di là di uno specifico capitalista -l’uno infatti vale l’altro, essendo essi non tanto degli umani quanto delle macchine atte a generare e a incassare profitti- le peculiarità del capitalismo contemporaneo sono ben descritte in un articolo di Maurizio Lazzarato pubblicato sul numero 18 (aprile 2012, pp. 3-4) di alfabeta2:
il capitalismo «dal 2007 è vivo grazie alle trasfusioni di somme astronomiche di denaro pubblico. Eppure continua a girare a vuoto. Nel migliore dei casi riesce a riprodursi, ma dando un colpo di grazia, con rabbia, a ciò che resta delle conquiste sociali degli ultimi due secoli. […] Le agenzie di rating, dopo aver dato un giudizio di triplice A a titoli che oggi non valgono più niente, hanno la pretesa, contro qualunque buon senso, di detenere il giusto giudizio e la buona misura economica. Gli esperti (professori di economia, consulenti, banchieri, funzionari di Stato ecc.) -la cui cecità sui disastri che la presunta autoregolazione dei mercati e della concorrenza ha prodotto sulla società e sul pianeta è direttamente proporzionale alla loro servitù intellettuale- sono stati catapultati dentro governi “tecnici”, che ricordano irresistibilmente i “comitati d’affari della borghesia”. […] Ma al colmo del ridicolo stanno probabilmente i media. […] In una recente intervista, il presidente della Bce [Mario Draghi] propone, con un cinismo alquanto tatcheriano, rimedi che non solo sono all’origine della crisi, ma che non faranno altro che aggravarla: diminuzione dell’imposizione per arricchire i ricchi e riduzione delle spese sociali per impoverire i poveri. […] Fare della povertà e della precarizzazione una variabile strategica della flessibilità del mercato del lavoro è quanto, dietro il ricatto del debito, sta avvenendo in Italia, Portogallo, Grecia, Spagna, Inghilterra e Irlanda. […] È con le tecnologie di governo dei poveri che si testano dispositivi di potere e di controllo che in un secondo tempo verranno estesi all’insieme della società, cosa che non sembra interessare né la sinistra né i sindacati». A proposito della Grecia, sullo stesso numero di alfabeta2 si può leggere una struggente ma non rassegnata lettera aperta di Mikis Théodorakis -dal titolo La verità sulla Grecia– dalla quale emergono con chiarezza le modalità con le quali la speculazione internazionale e le complicità interne hanno progettato a tavolino la distruzione dell’economia ellenica «con lo scopo di far passare la Grecia sotto la tutela dell’Fmi [Fondo monetario internazionale]».
L’irrazionale patologia alla quale il capitalismo è approdato viene ben descritta da Anselm Jappe (sempre su alfabeta2, p. 18) in un articolo dedicato all’obsolescenza del denaro. «In quale momento il crack delle borse non sarà più una notizia appresa dai media, ma un evento di cui ci si accorgerà uscendo per strada? Risposta: quando il denaro perderà la sua funzione abituale. Sia rarefacendosi (deflazione), sia circolando in quantità enormi ma svalutate (inflazione). […] Ci saranno magazzini pieni, ma senza clienti; fabbriche in grado di funzionare perfettamente, ma senza nessuno che ci lavori; scuole in cui i professori non si presenteranno più, perché privi di salario da mesi. Allora ci si renderà conto di una verità che era talmente evidente da non essere più vista: non esiste alcuna crisi nella stessa produzione. La produttività aumenta continuamente in tutti i settori. Le superfici coltivabili della terra potrebbero nutrire tutta la popolazione del globo e allo stesso modo le officine e le fabbriche producono molto più di quanto sia necessario, desiderabile e sostenibile. Le miserie del mondo non sono dovute, come durante il Medioevo, a catastrofi naturali, ma a una specie di incantesimo che separa gli uomini dai loro prodotti. Quello che non funziona più è l’ “interfaccia” che si pone tra gli uomini e ciò che producono: il denaro».
E così torniamo alla Fiat, che produce automobili in grande quantità ma che poi non le vende: «Allora, come il Tantalo del mito greco ci troviamo di fronte a ricchezze che si ritraggono proprio quando ci vogliamo mettere sopra le mani: perché non possiamo pagarle. Questa rinuncia forzata è sempre stata la sorte del povero. Ma ora, situazione inedita, questa sorte potrebbe toccare all’intera società, o quasi. L’ultima parola del mercato è allora di lasciarci morire di fame in mezzo ad alimenti stipati ovunque e che marciscono, ma che nessuno deve toccare» (Jappe). Questo è il risultato della lotta di classe che il capitalismo ha vinto, come spiega Luciano Gallino in un suo testo recente.
Una possibile alternativa a questo trionfo dell’irrazionalità è forse la decrescita che -chiarisce assai bene Marino Badiale in un breve articolo che consiglio di leggere integralmente– non ha nulla a che fare con la recessione o con il pauperismo ma «è un progetto politico ed economico di demercificazione della società».
2 commenti
Alberto G. Biuso » Madre / Capitale
[…] economico il capitale- si fondono integralmente nella violenza della quale entrambi, maternità e capitalismo, sono intessuti. Alla domanda di Kang-do su che cosa siano i soldi, la madre risponde: «L’inizio […]
antonio
tutto vero …però a tutti piace comprare made in china….a quattro soldi