Mente & cervello 87 – Marzo 2012
Bellissime le «istantanee dal cervello» presentate alle pagine 50-55 di questo numero di Mente & cervello. Sembrano davvero delle opere d’arte astratta e forse questo significa che l’arte concettuale è la più autentica forma di realismo, quella mediante la quale la mente umana rappresenta se stessa, la propria capacità di generare mondi, colori, forme.
Così potente e plasmabile è il cervello da essere continuamente sottoposto a tentativi di controllo e di manipolazione. L’agone politico, lo spettacolo e la pubblicità hanno esattamente questo scopo. Un nuovo strumento di dominio è la connessione costante che la Rete permette. Anche per suo tramite «veniamo sottoposti a una pubblicità onnipresente: questa distruttrice delle capacità attenzionali non è altro che un uso metodico, a fini commerciali, di astuti furti di attenzione» (C. André, p. 35). La dispersione mentale è uno dei rischi impliciti nel multitasking che caratterizza ormai i comportamenti di molti di noi: «La moltitudine di sollecitazioni rende invece carente la nostra mente: carente di calma, di lentezza, di continuità. Tre nutrimenti vitali per le capacità attenzionali» (Id., 36).
Un’altra forma di violenza linguistica è il sarcasmo, compagno feroce dell’ironia. A esso è dedicato un divertente articolo che ne mostra la funzione filogenetica e sociale di sostituto della violenza fisica: «Possiamo sostenere quindi che se da un giorno all’altro scomparisse il sarcasmo dalla faccia della terra ricominceremmo a tirarci i sassi e le lance? “È molto probabile” risponde Casadio» (M. Barberi, 69). La violenza sociale viene giudicata nei tribunali, ai quali la ricerca neurologica sembra offrire un nuovo strumento d’esame: il neuroimaging capace di evidenziare «anomalie che potrebbero compromettere la capacità di controllo» (V. Rita, 78). Tra i più entusiasti sostenitori di queste tecniche ci sono Giuseppe Sartori e Pietro Pietrini, le cui perizie hanno contribuito in modo determinante a far ottenere degli sconti di pena in due casi di omicidio. Se ne era accennato anche in un precedente numero della Rivista e anche questo nuovo articolo conferma tutte le perplessità che tale approccio suscita. L’illusione del libero arbitrio è in realtà una delle testimonianze più chiare e radicali di quell’antropocentrismo che un libro di Giorgio Vallortigara, recensito da D. Ovadia, giustamente critica sul fondamento di «due dei concetti base delle neuroscienze moderne: che non esiste una scala gerarchica tra gli esseri viventi (e nemmeno tra i loro cervelli, come dimostrano alcuni esperimenti su polli o pappagalli che mostrano doti inaspettate in particolari compiti cognitivi) e che il cervello non è un organo affidabile e non è stato costruito per darci una fotografia veritiera della realtà: un bel bagno di relativismo per le nostre radicate convinzioni antropocentriche» (105).
Una delle prove più potenti del fatto che la “realtà” è anche un frutto della nostra mente è il tempo, il quale è una costruzione insieme psichica, biologica e sociale. Il cervello utilizza una maggiore quantità di energia quando si trova ad affrontare situazioni, problemi, oggetti nuovi. Questo spiega per quale motivo «per i giovani il tempo scorra più lentamente: per loro gran parte delle esperienze sono nuove -e sono quindi registrate in memoria- mentre gli anziani, per cui molte esperienze sono già note e non sono quindi registrate dal cervello, hanno la percezione che il tempo scorra più velocemente. I tempi delle nostre azioni e la percezione del tempo sono dunque in gran parte legati a una dimensione biologica» (A. Oliverio, 18). Anche le rappresentazioni spaziali del tempo, delle quali giustamente Bergson e Heidegger mostrano l’insufficienza e i rischi, sono radicate nel corpomente: «Le rappresentazioni dello spazio sono infatti fondamentali per raffigurare il tempo. Ci rappresentiamo il tempo “spazializzandolo” tramite artefatti culturali come gli orologi, le clessidre, i calendari. Inoltre descriviamo con i gesti le relazioni temporali e ci affidiamo a parole che indicano lo spazio -davanti, dietro, lungo, corto- per indicare ordine e lunghezza degli eventi» (Ibidem). È anche per questo che è così difficile pervenire a una comprensione del tempo puro. Ma senza tale comprensione non capiremo mai che cosa veramente siamo.