di Rafael Spregelburd
Regia di Luca Ronconi
Piccolo Teatro / Teatro Grassi – Milano
Trad. di Manuela Cherubini
Scene di Marco Rossi
Con Francesca Ciocchetti (Ángeles / Anja Terezovna), Maria Paiato (María Fernanda / Leandra), Paolo Pierobon (Arturo / Smederovo), Fausto Russo Alessi (San Javier / Terzov)
Produzione: Piccolo Teatro di Milano – Festival dei Due Mondi di Spoleto – Mittelfest di Cividale del Friuli
Sino al 5 febbraio 2012
Un uomo in un appartamento di Buenos Aires. È entrato con le chiavi dategli dal proprietario, la cui moglie -non conoscendolo- è lì a minacciarlo con una pistola. Parlano di una confusa storia di videocassette.
Terzov è uno scrittore russo, gravemente malato di tubercolosi. La moglie induce un medico a curarlo gratuitamente, in cambio dei diritti su un romanzo che però non è stato il marito a scrivere ma il padre di lei.
Ritorniamo alla prima scena: ora i due personaggi visti all’inizio si trovano nella casa dell’amante della donna con la pistola e di sua moglie. I due uomini sono degli avvocati.
Terzov si è trasferito nella casa del medico Smederovo, che cerca di convincerlo a consegnargli tutto ciò che ha già scritto.
Nella scena successiva si torna a Buenos Aires…
È evidente che di quest’opera non si può stilare una sinossi. La trama è in fondo semplice ma riguarda due vicende dislocate in luoghi e tempi diversi. Il passaggio dall’una all’altra è immediato. Lo spettatore deve essere molto attivo e attento per cercare di capire. È un po’ quello che è costretto a fare anche il visitatore del Prado quando guarda il dipinto di Hieronymus Bosch dal titolo La ruota dei Sette Peccati capitali. Il quadro non è appeso alla parete ma è esposto su un tavolo, intorno al quale l’osservatore si deve muovere per cogliere i particolari delle singole e differenti scene.
Il drammaturgo argentino Rafael Spregelburd si è ispirato a quest’opera di Bosch per scrivere la sua Eptalogia, sette drammi di diversa durata nei quali i peccati hanno preso altri nomi: L’inappetenza, La stravaganza, La stupidità, Il panico, La paranoia, La cocciutaggine e -appunto- La modestia.
Attraverso una scrittura oggettiva e insieme labirintica, patetica e divertente, filosofica e banale, il mondo comincia a ruotare in tutta la sua inafferrabile complessità, facendo emergere la «natura menzognera di quella che chiamiamo realtà» (Spregelbund, Programma di sala, p. 30). Le leggi della percezione -la dinamica tra Figura e Sfondo, la Chiusura dell’immagine- si dissolvono senza speranza. E soprattutto svanisce l’illusione di un’identità stabile nel tempo e nello spazio.
Una drammaturgia ideale, questa, per un regista come Luca Ronconi, il cui obiettivo è stato sempre la creazione di «uno spettacolo infinito in un teatro di fuga» (ivi, p. 10). Assecondato da quattro attori straordinari per la loro capacità di transitare senza scosse e senza artifici tra le diverse identità, Ronconi ha messo in scena un’opera che -come dichiara il suo autore- vorrebbe mostrare «duplicità di trame, opacità di significati, collusione di universi linguistici, labirinti etici» (ivi, p. 25). Ma tutto questo nei modi più quotidiani e persino melodrammatici, dunque apparentemente tradizionali.
Di che cosa parla questo spettacolo? E chi lo sa.
1 commento
dafnevisconti
Ronconi e’ davvero pressoché l’unico vero regista di teatro contemporaneo che faccia della sua attività una continua ricerca? Al di la’ di questo trovo davvero molto interessante ed importante quanto descritto nel post riguardo alla volontà di mostrare “duplicità di trame, opacità di significati, collusione di universi linguistici, labirinti etici”, credo che debba essere soprattutto questo insinuare i dubbi, il compito di ogni attività culturale ed artistica.