Mente & cervello 83 – Novembre 2011
La voce umana è una straordinaria funzione della corporeità vivente, capace di modulare suoni, emozioni, significati, giudizi, concezioni del mondo, desideri. Essa «ci presenta al nostro interlocutore, che può dedurne facilmente il sesso e attribuirci altre caratteristiche come un’età anagrafica, il livello culturale, lo stato emotivo e tratti personali come il livello di sicurezza o insicurezza» (P.E.Cicerone, p. 86). E se accade di sentire la nostra propria voce registrata ci stupiamo e ci chiediamo se davvero sia nostra, «perché quando ci ascoltiamo la percepiamo dall’interno, e quindi diversa da come la sentono gli altri» (Id., 89).
Anche i sogni vengono dal profondo della corporeità e da millenni resistono al tentativo di comprenderne davvero dinamica e funzione. Credo che abbia sostanzialmente ragione la teoria neurobiologica denominata «“ipotesi di attivazione-sintesi”, secondo cui i sogni non significano nulla: sono semplici impulsi elettrici cerebrali che estraggono a caso pensieri e immagini dalla nostra memoria e che organizziamo in storie al nostro risveglio nel naturale tentativo di dar loro un senso» (S.van der Linden, 102). Questa loro insignificanza non contrasta comunque con il fatto che i sogni svolgano una importantissima funzione di difesa attraverso la costruzione di possibili scenari diurni, di rafforzamento della memoria del vissuto, di elaborazione delle emozioni che ci scuotono. Ma, naturalmente, nulla profetizzano e a nulla si riferiscono al di là del corpomente.
Da dentro deriva quella tristezza di fondo ma spesso creativa che Aristotele chiamava malinconia (e non “depressione”, come afferma S.Carson, 43), che si può attenuare con i sali di litio (poiché siamo fatti di chimica) ma che rimane difficile da superare del tutto perché -secondo l’esperienza anche personale di Kay Jamison Redfield- «bipolari si nasce, non si diventa» (D. Ovadia, 55). Psicologa che ha subìto e subisce sulla propria carne -sino a vari tentativi di suicidio- la depressione maniacale, Kay Jamison cerca giustamente di sfatare il legame romantico tra genio e follia, affermando che «se la malattia mentale può agire da catalizzatore per l’artista, la creatività esiste a prescindere dalla malattia. E per rendere al massimo, per riuscire a produrre, non si può stare male. […] La produttività, la creatività, sgorgano con la massima forza quando gli opposti si conciliano, quando il buio della depressione e la perdita di controllo legata alla mania si conciliano in un nuovo equilibrio» (Ibidem).
Ma dentro di noi, fitto nella corporeità che siamo, sta soprattutto il tempo. Alla lettera. Lo conferma un articolo di questo numero di M&C dedicato al problema di chi lavora nei turni di notte. Il ritmo circadiano che intesse la vita viene infatti in questi casi stravolto, poiché di luce siamo fatti come di tempo. La luce passa dagli occhi. E tuttavia non sono i coni e i bastoncelli a farci percepire il ritmo temporale bensì altre cellule sensoriali, le cellule gangliari retiniche che contengono la melanopsina, la quale regola l’orologio interno.
Appena la luce di una determinata lunghezza d’onda colpisce le cellule gangliari retiniche, queste, attraverso il nervo ottico, inviano segnali al cervello verso un fascio di neuroni grande come un chicco di riso e contenente circa 10.000 cellule per ogni emisfero. Questo gruppo di neuroni si trova, da entrambi i lati, sopra l’incrocio tra il nervo ottico destro e il nervo ottico sinistro -chiasma ottico- e viene chiamato nucleo soprachiasmatico o NSC. Il NSC, a sua volta, “comunica l’orario” a tutte le cellule del corpo, per mezzo di impulsi nervosi e di neurotrasmettitori immessi nel circolo sanguigno. È così che, proprio come un grande orologio che governa l’organismo, regola i processi biologici di tessuti e organi”. (T.Kantermann, 76)
Il NSC intensifica di giorno la propria attività, riducendo in questo modo la quantità di melatonina (l’ormone del sonno) presente nel sangue. È così che viviamo. L’orologio che siamo si fa svegliare chimicamente dalla luce percepita e decodificata dalla melanopsina. La luce diventa così subito tempo.
Il nostro orologio interno può essere paragonato a un’altalena per bambini che viene spinta continuamente. A seconda del punto di oscillazione in cui riceve la spinta, l’altalena accelera, rallenta o continua a oscillare nello stesso modo. Nel caso del nostro orologio interno, la spinta corrisponde alla luce: a seconda dell’orario in cui entra in gioco la luce, l’orologio si sposta in avanti, indietro o continua a battere il tempo come sempre. (Id., 77)
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4 commenti
Biuso
Cari Diego, Antonella, Paolina, vi ringrazio per le vostre riflessioni, citazioni, contributi. Quanto dite prende spunto da ciò che ho scritto ma va al di là. Le vostre parole offrono a chi ci legge la prova di quanto complesso e decisivo (oltre che affascinante) sia lo studio del corpomente, l’indagine su ciò che siamo.
Paolina Campo
In altre occasioni mi è capitato di scrivere come i suoi libri e il suo sito siano motivo di crescita e riflessione. Così succede che acquistare una rivista come Le Scienze diventi una bella e sana abitudine. Nel numero di novembre è allegato un libro dal titolo “TUTTO; E DI PIU’. Storia compatta dell’infinito.” A proposito di Cantor, un matematico di cui ultimamente sto apprezzando gli studi e il pensiero, si scrive: “Il lavoro di Cantor e il suo contesto sono tanto interessanti e belli che non vi è alcun bisogno di prometeizzare ad ogni costo la vita di quel povero uomo”. Questo dopo che Wallace, autore del libro, cita Chesterton:”I poeti non impazziscono, ma i giocatori di scacchi sì. Impazziscono i matematici, e anche i cassieri; ma agli artisti creativi accade di rado”. Ma vorrei ricordare, e poi chiudo, la risposta del fisico Leonard Susskind alla fine di un’intervista riportata nel numero di settembre di Le Scienze:” La gente pensa che vi siano regole chiare e distinte nella scienza…Il progresso scientifico, invece, è umano, caotico e conflittuale come tutto il resto”.
antonella
“Quella voce viene certamente da una persona, unica, irripetibile come
ogni persona, però una voce non è una persona, è qualcosa di sospeso
nell’aria, staccato dalla solidità delle cose. Anche la voce è unica e
irripetibile, ma forse in altro modo da quello della persona:
potrebbero voce e persona non assomigliarsi. Oppure assomigliarsi in
modo segreto, che non si vede a prima vista: la voce potrebbe essere
l’equivalente di quanto la persona ha di più nascosto e di più vero.
E’ un te stesso senza corpo che ascolta quella voce senza corpo?
Allora che tu la oda veramente o la ricordi o la immagini, non fa
differenza. Eppure, tu vuoi che sia proprio il tuo orecchio a
percepire quella voce, dunque quel che ti attira non è solo un ricordo
o una fantasticheria ma la vibrazione d’una gola di carne. Una voce
significa questo: c’è una persona viva, gola, torace,sentimenti,che
spinge nell’aria questa voce diversa da tutte le altre.”
Sotto il sole giaguaro, Italo Calvino
diegob
è l’unica rivista cartacea (a parte «vita pensata» quando arriverà…) che sto acquistando, ed è molto interessante
in effetti l’articolo sulla creatività cerca di smontare quel luogo comune ancora abbastanza diffuso per cui l’artista deve essere un tipo tormentato e possibilmente anche abbastanza depresso
in realtà a mio avviso il vero artista è semmai un uomo che è anche più lucido degli altri, che sa vedere «oltre» gli schemi consueti, non è un pazzo, bensì un anticonformista
l’arte richiede un duro e razionale lavoro, e la più indicativa a tale proposito è la scultura, con la sua complessità tecnica, la fatica, la capacità anche operativa e perfino organizzativa che richiede
confesso che l’articolo sul tempo non l’ho ancora letto, ma un lettore dei suoi libri, caro prof. biuso, sul tema ha già senz’altro attuato un buon approfondimento