Alice Rohrwacher
Corpo celeste
Con: Yle Vianello (Marta), Pasqualina Scuncia (Santa), Salvatore Cantalupo (Don Mario), Anita Caprioli (Rita), Renato Carpentieri (Don Lorenzo)
Italia, 2011
Trailer del film
La tredicenne Marta è tornata a Reggio Calabria dopo dieci anni vissuti in Svizzera. Perlopiù tace e guarda il mondo dall’alto di un piano non finito della casa dove abita, dall’alto dei ponti, dall’alto della profonda estraneità che sente nei confronti di un ambiente che lei non giudica ma che forse non comprende. Marta deve prepararsi alla cresima sotto la guida di Santa, una catechista devota, entusiasta e limitata, che per spingere i ragazzi a una maggiore convinzione li esorta a essere soldati di Cristo imitando Rambo. Sono uno spettacolo, infatti, questo catechismo e questa cresima, scanditi dai ritmi di una canzonetta che dice: «Mi sintonizzo con Dio / è la frequenza giusta / mi sintonizzo proprio io / e lo faccio apposta / voglio scegliere Gesù / voglio scegliere Gesù». Marta fugge da quella cresima e va verso il mare, in un finale straniante, triste, sospeso.
Una sottile ferocia e un grande vuoto cadenzano questo film di formazione, nel quale la ragazzina si taglia da sola i bei capelli in un gesto di ribellione silenziosa, vive il suo menarca nello squallore dei bagni di un ristorante, sorride e piange con la medesima tenace dignità, accarezza un antico crocifisso come fosse un suo coetaneo. C’è in tutto questo un bisogno di religiosità quasi mistico che viene ottusamente e banalmente distrutto dai riti di un cattolicesimo tutto sociologico e televisivo, squallido e decadente.
Alice Rohrwacher racconta una storia delicata e crudele ispirandosi ai canoni formali del gruppo danese Dogma -macchina a mano in movimento intorno agli attori, addosso ai loro corpi; luoghi reali; nessun effetto speciale-, disvelando con pacato disprezzo e con partecipe ironia la menzogna dei sacramenti svenduti, di una fede fasulla. Ogni scena è intrisa di un simbolismo profondo, come se si trattasse di palinsesti da decifrare. Dietro la superficie di una modernità volgare traluce un antico bisogno di grazia, di un corpo celeste.
[Una recensione più ampia è stata pubblicata sul numero di giugno 2011 di Vita pensata]
1 commento
diegob
recensione perfetta, sia per l’aspetto cinematografico, sia per i significati più ampi, il film è proprio come descritto
sulla questione della «scuola danese», direi che è esatto il riferimento anche se in alcune sequenze c’è un respiro più aperto, e sicuramente l’autrice ha studiato anche il cinema di wenders