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Mente & cervello 77 – Maggio 2011

Il corpo è anche la relazione con lo spazio, la struttura prossemica che segna le diverse distanze alle quali permettiamo agli altri di incontrarci, la «bolla virtuale che circonda ciascuno di noi e dove la gente non penetra abitualmente, salvo per gesti sociali ammessi, come la stretta di mano» (N. Guéguen, p. 27). Penetrare con maggiore o minore facilità nello spazio altrui, permettere che altri entrino nel nostro o proibirlo è una delle manifestazioni più chiare -perché in gran parte involontarie- della “dominanza”, di quel legame di ciascuno con ogni altro umano fatto anche di autorità e che sembra davvero non risparmiare «né le relazioni tra amici né quelle tra familiari o di coppia» (Id., 28).
La “chimica del maschio dominante”, alla quale questo numero di Mente & cervello dedica alcuni articoli, arriva al parossismo storico nel potere totalitario esercitato da alcuni gruppi, come quello nazionalsocialista. Della personalità di Hermann Goering si occupa lo psichiatra Douglas Kelley con il resoconto degli incontri che ebbe col vice di Hitler e Maresciallo del Reich, prima e durante il processo di Norimberga. Le conclusioni a cui Kelley pervenne furono che «Goering e i suoi accoliti fossero persone comuni, e che le loro personalità “potevano ripetersi oggi in qualsiasi paese del mondo”» (J. El-Hai, 53). Questo conferma che spiegare il nazionalsocialismo o qualsiasi altro fenomeno politico con la categoria della “pazzia” è del tutto privo di senso. Gli eventi storici hanno cause economiche, sociali, antropologiche e nessuna interpretazione soltanto psicologica e privata può darne conto.
La tristezza della storia collettiva ha il suo riflesso in quella delle vite individuali. Anche per questo la medicalizzazione della tristezza sotto il nome di “depressione” è in gran parte scorretta e frutto degli interessi delle case farmaceutiche e di alcuni psichiatri, come documenta il libro di Gary Greenberg dedicato alla Storia segreta del male oscuro, recensito da M. Capocci (pp. 104-105). Ai «problemi difficili della vita» si può rispondere, certo, anche con dei farmaci -visto che siamo chimica che cammina- ma soprattutto con quell’«esercizio della saggezza» che aiuti a «fare pace con il proprio passato e a proiettarsi verso il futuro» (K. Baumann e M. Linden, pp. 84-89), visto che siamo tempo che cammina.

 

2 commenti

  • Paolina Campo

    Maggio 25, 2011

    Condivido assolutamente, professore Biuso.La tristezza è ormai diventata un grande affare per psicologi, psichiatri e case farmaceutiche. “Bisogna avere un caos dentro, per partorire una stella danzante”. Credo che Nietzsche scrivesse proprio queste parole per affermare che l’uomo è capace di grandi cose, a patto che riconosca in quel “caos” una forza generatrice, che non tralasci nulla di sè. A patto che non abbia paura di quel “caos” e non lo lasci sopire, chiudendo le porte ad una “vita viva” e, quindi, al senso della propria vita.
    Delle vite individuali che non si lascino frammentare dal potere dominante, possono rendere un grande servizio alla collettività. Quando mia figlia, guardia ecozoofila e studente alla facoltà di scienze naturali, scrive della gioia che prova ad ascoltare chi può farle scoprire un mondo sempre nuovo e ricco, degno di grande attenzione,penso che qualcuno stia davvero perdendo la sua battaglia nefasta.

  • antonella

    Maggio 24, 2011

    Sono particolarmente d’accordo con te nel non poter definire fenomeni come il nazismo, e gli altri sistemi totalitari sotto la categoria della pazzia. La spiegazione più consona ha, come hai giustamente rilevato, delle concause e il fatto aberrante è che questo stato di cose potrebbe sempre ripetersi. Allora se la tristezza e la depressione che sembra derivarne è sempre in agguato quale potrebbe essere la scelta che l’uomo può fare perché la storia non si ripeta con gli stessi meccanismi che lo fanno degenerare ad ente passivo del suo stesso tempo che cammina? Rispondi anche a questo è vero: riappacificarsi con il proprio passato ed esercitare la saggezza, ma davvero oggi, mi sembra il pensiero più utopico che si sia mai indicato, nel momento in cui vediamo l’essere umano sempre più spostato dal suo centro e frammentato in una serie di azioni e di accumulo di cose nelle quali non riesce più a trovare il suo senso. Forse la formula potrebbe essere ancora quella nietzschiana del “vivere ancora per poter pensare ancora”, ormai eliminato un cielo divino che sostenga la nostra stessa infondatezza? (Pardon per la cripticità, riflessione sentita e ancora non risolta!)

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