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Severino e The Innate Mind

Recensioni a:

Marco de Paoli
Furor logicus. L’eternità nel pensiero di Emanuele Severino

Aa. Vv.
The Innate Mind. Structure and Contents
Edited by Peter Carruthers, Stephen Laurence, Stephen Stich

in Giornale di Metafisica
n. 32
2/2010 – Dicembre 2010
Pagine 479-482 e 504-507

 

7 commenti

  • roberto fiaschi

    Agosto 25, 2011

    Egr. Prof. Biuso,
    ho poc’anzi letto la Sua recensione al Libro del Prof. de Paoli sul pensiero severiniano, e volevo esporle i miei punti di disaccordo con quanto Lei afferma. Quanto al libro stesso, non ho avuto modo di leggerlo, ma spero che alcune mie modeste osservazioni possano indirettamente rispondere, diciamo così, anche al Prof. de Paoli stesso.

    Nella sua recensione, Prof. Biuso, comincia la critica affermando che Severino commetterebbe la celebre “confusione categoriale” tra senso esistenziale e senso predicativo del verbo essere: subito dopo precisa che “Nel secondo senso, il non essere non risulta affatto un nulla assoluto ma, più semplicemente, un modo diverso di essere.” Ma quando il giallo della foglia non è più, si deve parlare necessariamente del nulla assoluto riguardo all’esser giallo, SE non si ammette che lo scomparire del giallo è lo scomparire di un eterno. Questo diventar nulla, assolutamente nulla di tutta o di parte di una determinazione è l’implicito costante di tutto il pensiero occidentale. Lei prosegue poi dicendo che la foglia, col suo esser gialla, “si trasforma in altro, in terra, azoto, elementi”. Ma questa non può esser considerata una risposta all’affermazione severiniana, poiché è precisamente proprio QUESTA sua risposta ad esser criticata dal pensiero severiniano perché essa è esattamente quanto sottintende il pensiero occidentale quando ritiene che gli enti si trasformino e dunque implicando che in tali trasformazioni le determinazioni divengano nulla, e una volta divente, SIANO ormai nulla.

    Lei prosegue dicendo : “E qui interviene una seconda constatazione. È vero che noi non vediamo mai gli oggetti e gli eventi sorgere dal nulla e nel nulla ricadere ma ne percepiamo con evidenza il continuo trasformarsi. Tale trasformazione è l’altro nome della realtà. Se la filosofia non vuole diventare un tracotante imporre al mondo degli schemi soltanto logico-mentali ma – come è nella sua natura – intende rimanere uno sguardo volto a comprendere ciò che si dà e che appare, allora identità e differenza, permanenza e alterazione, stasi e divenire emergono spontaneamente e veritativamente dal mondo stesso, non come imposizione nichilistica della mente ma – al contrario – come rispettoso risultato del guardare” .
    La trasformazione delle cose è però un’interpretazione, intendendo per trasformazione il venire dal nulla e l’andare altresì nel nulla di alcune determinazioni, e non è una evidenza fenomenologica. Quando si parla di trasformazione in questo ultimo senso, che poi è quello dominante, noi immettiamo un certo logos nella lettura del divenire, cioè una certa ragione, che diventa, come dice Lei, un tracotante imporre schemi logico umani alla realtà soltanto quando accettiamo una consuetudine interpretativa senza darsi la pena di metterla criticamente in discussione. Ho la sensazione che Lei, Prof. Biuso in questo caso faccia proprio così, cioè accetti una presunta evidenza fenomenologica scambiandola per realtà veritativa mentre sembra non avvedersi che trattasi di interpretazione, poiché fenomenologicamente gli enti che appaiono e scompaiono non mostrano di sé che ne è di loro prima e dopo l’apparire.

    Continua poi affermando: Ma, facile e tuttavia decisiva obiezione, noi sappiamo che il Sole continua a esistere perché ce lo assicurano l’osservazione empirica e i calcoli matematici congiunti.
    Bene, ma allora, di ciò di cui l’osservazione empirica non mostra evidenze, si deve ricorrere all’argomentazione ontologica, cioè all’incontraddittorietà dell’eternità di ogni essente, cioè alla contraddittorietà che un essente sia il contrario di sé, cioè sia nulla.

    Ancora, Lei sostiene che un altro limite dell’ontologia severiniana sarebbe la riduzione degli eventi ad una serie di immagini … reversibili. Reversibili??? Questo è una vera e propria invenzione, poiché negli scritti severiniani mai e poi mai si sostiene che gli eventi siano reversibili nel tempo; non capisco donde derivi questa strana convinzione attribuita a Severino.
    Aggiunge : Ne discende con logicissima necessità che Severino debba negare la realtà del tempo
    MAI Severino nega la realtà del tempo, MAI, bensì nega l’aspetto nichilistico della concezione comune e dominante del tempo, cioè quella che afferma l’esser nulla delle determinazioni che scompaiono o che ancora non sono.

    A conclusione del Suo post, Prof. Biuso, afferma : Anche se fosse vero che tutto è eterno -tutto, l’intero e le sue più minuscole parti spaziotemporali- questo non sarebbe affatto, come pur pretende il filosofo neoeleatico, un pensiero di salvezza, di pace e di raggiunta serenità. Perché a essere eterno sarebbe l’orrore.

    Anche qui le cose non stanno come Lei sostiene, infatti basterebbe rinviarLa allo scritto di Severino La Gioia, Adelphi, il cui titolo direbbe già tutto, ma sarebbe meglio addentrarvisi, perché troppo spesso le critiche a Severino sono dovute più al sentito dire che all’effettivo averle studiate.

    Grazie per la pazienza ed inoltro con stima cordiali saluti
    Roberto Fiaschi

    Piccola aggiunta: l’orrore, di cui Lei parla alla fine del suo post, è certamente un eterno, ma è quell’eterno che compare al seguito della volontà di potenza che vuole che le cose siano altro da ciò che sono, cioè di quella volontà che vuole l’infinita violenza degli essenti, in quanto intende farli oscillare dal nulla per poi riconsegnarveli, e come l’impotente volontà di potenza è un eterno destinato a tramontare, poiché ogni errore ( quindi ogni orrore ) è una contraddizione ed ogni contraddizione è destinata ad eclissarsi, così anche gli orrori che appaiono al suo seguito sono destinati a tramontare, che non significa annullarsi, ma scomparire dall’orizzonte trascendentale dell’esistenza…

  • diego b

    Gennaio 30, 2011

    cari prof. biuso e de paoli, la mia era solo una battuta, e come tale va rubricata

    però un pò il problema di come accostarsi a filosofi più difficili esiste, per chi non va più al liceo o all’università

  • marco de paoli

    Gennaio 30, 2011

    L’apprezzabile intervento di Diegob suscita alcune riflessioni, che cerco di enucleare in breve.
    La nostra cultura (che si è formata sgretolando, sia pur non in un sol colpo, il sapere tradizionale) è da secoli caratterizzata da un individualismo (che, sua croce e grandezza, nasce sostanzialmente in certa cultura rinascimentale e poi romantica) infine divenuto perenne e ansiosa ricerca di novità. A chi scrive, chiunque sia, sempre si pone (direttamente o indirettamente) la domanda: “dicci qual è la novità, la cosa assolutamente originale e del tutto nuova ed inaudita che tu proponi al mondo e che rovesci tutto quanto detto finora”.
    Da qui un certo possibile fastidio per chi parla di altri autori: non è o-ri-gi-na-le! costui “è solo uno storico!”.
    Ma in realtà il patrimonio di sapienza (nel senso proprio del termine) non è prerogativa di questo o quel cervello originale e stravagante, perché essa nel suo nucleo è quella che è. Per questo è imprescindibile il confronto con i grandi del passato e (in certi casi) anche con autori contemporanei. Certo, bisogna andare per la propria strada in un cammino molto solitario, e tuttavia in certi frangenti occorre questo confronto. Lo hanno fatto anche i più grandi: Parmenide contro Eraclito, Platone contro Gorgia, Schopenhauer che scrive molte e molte pagine sull’etica di Kant, Nietzsche che scrive su Schopenhauer, Heidegger che scrive su Nietzsche, etc.
    Diceva Salvador Dalì (con legittimo orgoglio, nel suo caso): “Ho voluto imitare Raffaello, Meissonier, Vermeer, e ne è venuto fuori Dalì. Da chi non vuole imitare nessuno, non viene fuori nulla”.
    Nessun pensiero nasce dal nulla, senza padri né maestri.
    Peraltro, scrivere su un autore non significa ancora limitarsi ad un lavoro storico: nella fattispecie, il mio confronto con Severino è anzitutto teoretico, come chiunque può vedere anche solo ad un rapidissimo sguardo al testo.
    Da un autore si può prendere lo spunto. Poi, si prosegue da soli.

  • agbiuso

    Gennaio 30, 2011

    Caro Diego, come sa tra i diversi campi del sapere ci sono la Storia della filosofia e la Storiografia filosofica, che si occupano più o meno di quanto lei ha sintetizzato.
    Sono ambiti certamente non sufficienti -e forse sin troppo praticati in Italia, a danno della teoresi- ma sono anch’essi necessari per chi si occupa di filosofia. Conviene quindi coltivarli nel modo migliore che si può.

  • diegob

    Gennaio 30, 2011

    non posso permettermi alcun giudizio su ciò che è oltre la mia modesta attrezzatura culturale, chiedo anticipatamente scusa al prof. biuso se mi azzardo in una battuta ironica:

    io credo che un filosofo debba scrivere soprattutto ciò che pensa, e meno scrivere ciò che pensa di cosa pensa un altro filosofo, e ancor meno di cosa pensa su ciò che un filosofo dice di pensare di un altro filosofo

    altrimenti chi non c’è dentro non ci capisce nulla

    naturalmente scherzo

  • marco de paoli

    Gennaio 29, 2011

    In realtà la “critica” riguarda il mio libro assai più che non il secondo, e devo dire che in questo caso mi è financo tornata alla mente la frase di Kant: “Dio mi salvi dai miei amici, ché dai miei nemici mi guardo io”.
    Nessun linguaggio “troppo colorito”, come mi si rimprovera, ma un linguaggio volutamente antiaccademico. La conclusione “antifilosofica” riflette la convinzione che la filosofia (come dice l’etimo) non è ancora la “sapienza”, ma soltanto “ricerca” (spesso vana) della stessa (v. Colli). Infine, non essendo io fra coloro che avendo sbattuto la testa contro Nietzsche non si sono più riavuti dal colpo, dico che non vi è nessun eterno ritorno in senso ontologico, e che auspicare di rivivere tutto è cosa stupida, non certo da UberMenschen. Soprattutto, la mia critica a Severino non consiste affatto nell’opporre all’eternità degli enti il tempo come divenire (questa concezione del Tempo è la più povera in assoluto).
    Certo le critiche sono lecite e anche ben accette quando fanno pensare, ma come autore del libro devo precisare che questa recensione ne costituisce un sostanziale fraintendimento.

  • Augusto Cavadi

    Gennaio 29, 2011

    Grazie Alberto per le due recensioni che consentono di farsi un’idea adeguata – e critica – di altrettanti libri di cui sconoscevo (come suppongo molti altri lettori) l’esistenza.

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