di Clint Eastwood
Usa, 2010
Soggetto e sceneggiatura di Peter Morgan
Con: Matt Damon (George Lonegan), Cécile de France (Marie Lelay), Frankie McLaren (Marcus), George McLaren (Jason)
Trailer del film
All’improvviso può accadere che, mentre va a prendere qualcosa in farmacia per la madre, Jason -11 anni circa- venga investito da un furgone su una strada di Londra e lasci nella più completa desolazione il fratello gemello Marcus. All’improvviso può accadere che, mentre si trova in vacanza, Marie -un’affermatissima giornalista televisiva francese- venga travolta dallo tsunami che ha colpito l’Indonesia nel dicembre del 2004. L’acqua la circonda, la sovrasta, entra in lei. Con uno sforzo istintivo e assoluto, Marie riesce a risalire in superficie ma la carcassa di un’automobile la colpisce e torna a fondo. Diventa una delle migliaia di vittime, che i soccorritori tentano invano di rianimare. Un singulto però la scuote, l’acqua esce dai polmoni. È viva, torna a vivere. In quell’intervallo -secondi, minuti?- è rimasta sospesa e ha visto.
Ha visto ombre sullo sfondo di una luce abbagliante ma serena, ha visto qualcosa che non sta in un luogo, in un tempo, qualcosa che esiste Hereafter. Incapace di tornare al suo normale lavoro, Marie scrive un libro sulla condizione di quanti si vengono a trovare tra la vita e la morte. È invitata a presentare il suo libro a Londra e in questa occasione incontra George Lonegan, un sensitivo di San Francisco che sentendosi schiacciato dal peso del suo dono – «dono? In realtà la mia è una condanna»- ha rinunciato a ogni guadagno e fa l’operaio precario. Anche Marcus incontra Lonegan, al quale chiede di metterlo in contatto col fratello.
Il film è un azzardo non riuscito poiché l’argomento è ai limiti del dicibile ma soprattutto è ai limiti del rappresentabile. Eastwood cerca di adottare una tonalità sobria; le raffigurazioni dell’oltre sono le stesse che da sempre le testimonianze dei quasi morti presentano: un candore abbagliante ma sereno dentro il quale si muovono ologrammi somiglianti a dei corpi. La soluzione narrativa dalle tre storie che procedono parallele e alle fine si incontrano rende il film scorrevole ma anche assai prevedibile. La maggiore perplessità riguarda naturalmente il tema stesso, l’ipotesi del tutto improbabile -per non dire impossibile- di un qualche contatto reale tra gli umani che sono viventi e coloro che viventi sono stati. La materia è eterna ma non lo sono i suoi aggregati, tanto meno quelli consapevoli di sé e dunque estremamente complessi. Complessità che una volta dissolta non può ricomporsi. Lo vietano le leggi dell’entropia e della fisica. Per quello che ne sappiamo, certo, ma è a partire da ciò che sappiamo che possiamo parlare. In realtà, questo è un territorio nel quale sguazzano quei ciarlatani e truffatori che alcune scene del film mettono alla berlina. Senza che però tale consapevolezza impedisca a Hereafter di cadere in un deludente e banale clima New Age.
[Una versione più ampia di questa recensione si può leggere sul numero 8 – Febbraio 2011 del mensile Vita pensata]
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7 commenti
Adriana Bolfo
Commenti molto interessanti davvero. Li godo tanto che mi manca il tempo di rammaricarmi di non averne uno mio.
Laura Caponetto
Sono d’accordo con il prof. Biuso riguardo la prevedibilità dell’intreccio. Sin dall’inizio del film, risulta scontato l’incontro tra i 3 personaggi protagonisti (Lonegan, Marie e Marcus), così come ci si aspetta quanto il piccolo Jason (o meglio lo spettro di Jason, ciò che di lui si suppone rimanga nell’aldilà) riferirà, per mezzo di Lonegan, al fratello gemello. E, con uno sforzo neanche troppo elevato, la storia d’amore finale si intuisce.
Tuttavia, che la regia sia di Clint Eastwood si nota. Lo si nota nella delicatezza del racconto: ad esempio, la storia d’amore finale, di cui dicevo poc’anzi, è solo lasciata intravedere allo spettatore, tramite un’immagine, a mio avviso, molto bella (Lonegan capisce di poter finalmente “dare la mano” a quella che sarà la sua compagna, senza doverle riferire cosa ha visto e senza l’ossessionante timore che lei non capirebbe).
Interessante anche il rapporto tra i due fratelli gemelli e la madre, tratteggiato in maniera ironica e commovente.
Riguardo alla possibilità di provare una sensazione di “tempo fermo”, ritengo (temendo anch’io di apparire banale) che possa essere possibile nel caso di “imminente morte consapevole” (il caso del condannato calza a pennello). Una prova potrebbe essere la diversa percezione del tempo che abbiamo a seconda delle situazioni. Banalmente, diciamo che il tempo vola quando vorremmo che non passasse e quando invece ci annoiamo il tempo sembra scorrere lentissimo. Se la percezione del tempo cambia di circostanza in circostanza, prima di morire il tempo potrebbe apparentemente dilatarsi. (Non ritengo, però, che quest’attimo “fermo” possa configurarsi come “ponte” tra un aldiquà e un ipotetico aldilà).
diegob
confermo, caro prof., sul sito dell’editore è disponibile, in effetti
agbiuso
La letteratura ci dice da sempre moltissimo sull’umano e sulle cose, caro Diego, anche se non può avere lo stesso rigore scientifico di altri saperi.
Definire il mio saggio “importantissimo” è un gesto di cortesia del quale la ringrazio. Da quello che so, l’editore ha ancora delle copie disponibili. Provi ad acquistare il testo sul sito della Guida e poi mi faccia sapere, magari con una mail.
diego b
caro professore, mi rendo conto d’aver ripescato, senza rendermente conto, l’inizio di cent’anni di solitudine di marquez, che lessi molti anni fa
corpo e tempo sono una sola realtà
questo è un importante concetto da lei espresso con chiarezza ne la mente temporale
——
professore, mi permetta un’osservazione, da lettore, su un problema editoriale (mi scuso se è avulso al tema in oggetto, ma forse interessa i suoi lettori)
l’importantissimo saggio contro il ’68 non è più disponibile all’editore, così almeno mi hanno detto in libreria, e il brano presente su google book è molto parziale
potrebbe, quando ne ha il tempo, o la voglia, indicare a noi che la seguiamo come lettori, un link dove leggerne almeno un estratto esauriente?
è prevista una riedizione presso l’editore?
mi scuso per la digressione
agbiuso
Le sue congetture non sono per nulla “esigue”, caro Diego.
Per quanto riguarda l’ipotesi dell’attimo finale nel quale si ricapitola l’intera vita, mi sembra comunque che manchino evidenze empiriche -o almeno io le ignoro- anche perché non sarebbe facile ottenerne. Si muore, poi, in tanti modi e nella maggior parte dei casi le funzioni corporee sono talmente compromesse da rendere impossibile qualunque memoria, persino quella a breve termine.
La percezione del tempo è certamente anche soggettiva ma se riferita a situazioni estreme -come il morire- io credo che semplicemente il tempo si dissolva insieme al corpo, visto che corpo e tempo sono una sola realtà.
diegob
da sempre la morte ha un grande fascino, e quindi l’industria culturale, da sempre, ne trae spunti, materiali, soggetti
La materia è eterna ma non lo sono i suoi aggregati, tanto meno quelli consapevoli di sé e dunque estremamente complessi.
giustamente, caro prof. biuso, noi siamo fatti di materia, che non è di per sè viva, e quel che definiamo vita, non è che una forma, per quanto così sofisticata da incorporare anche l’autocoscienza, della materia
ma questa serena accettazione, a quanto pare non alberga in molte umane coscienze; io credo che molti, anche se non lo ammettono, credono davvero nell’al di là
certamente sono solo sensazioni, ma mi permetta di esporre la mia ipotesi al riguardo: esiste la famosa questione dell’ attimo del condannato, che mentre il plotone fa fuoco, in quell’attimo ricorda tutta la sua vita passata; effettivamente la nozione, la percezione, del tempo è sempre fortemente soggettiva, dunque azzardo l’idea che in punto di morte, in quel momento si possa provare una sensazione di eternità, di tempo fermo
chiedo pazienza per le mie esigue congetture