di Bahman Ghobadi
(Kasi Az Gorbehaye Irani Khabar Nadareh)
Iran, 2009
Con Negar Shaghaghi, Ashkan Koohzad, Hamed Behdad, Ashkan Koshanejad, Hichkas
Trailer del film
A Teheran una giovane coppia di musicisti cerca di costituire una band e di trovare i passaporti per andare a suonare in Europa. Un loro coetaneo fa di tutto per aiutarli, muovendosi nell’intrico di un potere inflessibile e insieme corrotto, come tutte le tirannidi. Tra mucche che, stordite dall’heavy metal, non fanno più latte, rapper che chiedono conto ad Allah, feste clandestine a base di tekno, ascoltiamo l’intenso rock persiano che la Legge vieta di suonare, dimenticando che nulla diventa più attraente di ciò che è proibito.
Un film che non è soltanto una testimonianza politica ma è anche e soprattutto un atto d’amore verso la musica e la sua potenza. Molto bravi gli attori, che in gran parte interpretano se stessi. Ottimo il montaggio, che alterna lo svolgersi della vicenda con veloci sequenze a base di rock, capaci di descrivere l’Iran quale probabilmente in gran parte è: una società giovane, colta, estremamente vivace.
- Tags:
- Bahman Ghobadi,
- I gatti persiani,
- Iran,
- rock,
- XXI secolo
3 commenti
Giusy Randazzo
Immaginavo avresti risposto così. Conosco le motivazioni per cui ti piacciono i gatti. Tu conosci le mie, d’altronde. Pascal docet…
Ovviamente concordo con la tua ipotesi. A parte l’allusione esplicita ai “persiani”, come si diceva oggi.
Comunque, grazie, andrò certamente a vederlo.
Un abbraccio,
Giusy
PS
Sei sempre il migliore. La tua cifra? Sapienza e intelligenza. In poche parole: vita pensata! 😉
agbiuso
Ciao Giusy!
Le vicende che hanno accompagnato il film sono quelle che tu riassumi. Alcuni poteri -come quelli religiosi- sembrano non cambiare mai, non si evolvono, non comprendono che il pensiero non può essere totalmente represso e che più lo perseguiti più fa proseliti.
Sono più furbi i poteri mediatici di casa nostra, che formalmente concedono a chiunque la libertà di dire, salvo poi vanificare tale possibilità con il silenzio su ciò che dici, con l’emarginazione dai luoghi della comunicazione che conta, con l’insignificanza.
Credo che il titolo abbia almeno due significati. Uno letterale, in quanto si vedono dei (deliziosi) gatti in scena, durante uno degli incontri nei quali si tenta di organizzare la band; un altro più metaforico: questi ragazzi hanno, infatti, la dolcezza ma anche la fierezza dei gatti.
Giusy Randazzo
Ciao Albert,
mi spieghi perché, secondo te, si intitola “I gatti persiani”?
Sembra che il regista e l’intero staff abbiano dovuto fare i salti mortali per girarlo, addirittura in clandestinità. A quanto pare persino la compagna del regista (di origine americana) -che ha contribuito alla stesura della sceneggiatura- è stata arrestata dalle autorità iraniane con false accuse ed è stata liberata soltanto due giorni prima della proiezione a Cannes.
Un abbraccio,
Giusy