Genova – Palazzo Ducale
Sino al 13 giugno 2010
Sito e video della mostra
Più di trenta artisti contemporanei affrontano in forme diverse il mito dell’isola. Territorio, viaggio, solitudine, metafora, mare, approdo, naufragio, differenza, utopia, distacco, spazio, parola.
L’Arco mediterraneo di Richard Long -fatto di pietre disposte ad angolo- sembra accogliere la malconcia nave di Anselm Kiefer. I nomadi fotografati da Danica Dakić dialogano con gli autoritratti di Orlan in figura di capo indiano. La Catasta di vetro trasparente di Tony Cragg è posta su un equilibrio luminoso e instabile come la collina di sabbia -che dei ventilatori sembrano poter a ogni istante cancellare- di Alice Aycock. Il Grande Pozzo di Michelangelo Pistoletto restituisce al visitatore/narciso la propria inconsistenza, destinata in ogni caso a quell’Esodo verso il nulla ben espresso da Gloria Friedmann e dal platonico e bellissimo Gioco d’ombre di Hans Peter Feldmann. La Vision di Maurizio Nannucci condensa in un filo di neon illuminato il titolo dell’opera e l’opera stessa. Alle isole geografiche si ispirano le tre installazioni poste nel Salone del Doge; la più riuscita mi è sembrata la barca di Barthélémy Toguo che naviga su un mare di bottiglie di vodka.
La mostra conferma la vitalità dell’arte concettuale, oggi. Pochissimi sono infatti i dipinti. Si tratta soprattutto di installazioni e poi di fotografie e filmati. Alcuni di essi mostrano: Kimsooja attraversare lentamente Parigi su un carro colmo di Bottari, copriletto della tradizione indiana; tre uomini addormentati su un’isola/scoglio che al risveglio si chiedono quale mai sia l’arida terra che li accoglie (opera di Stefanos Tsivopoulos); Jean Fabre che insieme ai filosofi Dietmar Kamper e Peter Sloterdijk spinge davanti a sé nella campagna tedesca delle sfere che hanno lo stesso colore e forma di quelle che lo Scarabeo stercorario trasporta verso il proprio nido. Nel frattempo i tre uomini discutono sulla condizione umana, esprimendo mediante l’unità totale del gesto/significante con le parole/significato la faticosa solitudine di ciascuno in questo mondo.
Entro i confini dell’isola, lambiti dal mare dell’irrazionale, le contraddizioni si conciliano accogliendo le differenze e rifiutando ogni facile soluzione di superamento degli opposti. L’Isola è il luogo ultimo dell’impegno, dell’azione, del fare, cifra peculiare dell’umano e del suo irriducibile esserci.
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1 commento
mariella Catasta
Nessuno di noi è un’isola ognuno di noi è un’isola . Sono simultaneamente vere le due affermazioni .
Il desiderio di oltrepassare i confini nasce dopo la sperimentazione della delimitazione della nostra coscienza .
L’arte ,veicola traghetta il desiderio di spaziare nel mare della possibilità della forma , della molteplicità delle determinazioni che toccano i confini dell’irrazionale senza avvertire l’esigenza del superamento di ciò che appare contrapposto o negato
il fluttuare continuo , il dilatarsi e il contrarsi esprimono i ritmi della vita che forse tendono verso quel punto fermo per trovare l’attimo e prendere fiato per immergersi ancora nell’oceano della propria anima e sentire il brivido della possibilità di naufragare ma nel contempo la certezza di potersi salvare.