Mente & Cervello 63 – Marzo 2010
Quando muore una persona che ci è cara si attiva in noi un meccanismo identificativo che ci induce ad assumere alcuni dei suoi tratti caratteriali. L’ho visto e vissuto di persona; ne dà conferma anche Simona Argentieri, poiché «diventare l’altro significa che non ce ne siamo separati del tutto, perché lo teniamo vivo dentro di noi» (pag. 8).
Anche in questo modo l’esperienza e il carattere si coniugano all’abitudine, componendo una sorta di triade della natura umana. “Abitudine” che dal punto di vista neurobiologico può essere definita come «una via neuronale breve, che consente di ottenere un risultato con maggiore rapidità e senza richiedere energia ai sistemi di elaborazione cosciente: una sorta di programma “ecologico” che risparmia benzina cognitiva» (D.Ovadia, 79). Una definizione più ampia della ricchezza di contenuti e di forme che chiamiamo abitudine è data da Davide Dell’Ombra, per il quale essa «è quel flusso che riconduce al naturale le escursioni culturali dell’umano e le rende stabili, fisse – ma per poi essere rimesse in circolo. Un processo naturale per la fissazione del progresso culturale, un progresso inarrestabile (non teleologico), semplicemente vitale – nietzscheanamente respiratorio. Per rimettere in circolo l’acquisizione culturale (nuovo pensiero) è necessaria l’Abitudine (corporea). Quando “non ci si abitua mai” a una cosa non la si capisce e quindi non la si supera – non la si apprende, non la si incorpora, quindi non la si trascende. L’abitudine è il rapporto che il corpo (il cuore) intrattiene con l’ambiente tecnico ossia con l’ambiente umano, per lui naturale solo perché “abituato” ad esso, il suo “habitat”, il suo “abito”, tutto ciò che “ha” – dove “abita” ». (Abitudine e Natura. Lineamenti di una filantropia teoretica, Tesi di Laurea Magistrale, 2009, inedita, p. 122).
L’abitudine al potere plasma, a quanto pare, delle personalità «scorrette e immorali», permeate di ipocrisia e con la tendenza «a predicare bene e razzolare male, mostrando indulgenza nei propri confronti e severità riguardo agli errori altrui» (S.Pisani, 19). E anche il potere è forma ed espressione di quell’angoscia che intride le vite umane, che nel tempo ha assunto nomi diversi -melancolia, colpa, nausea- e che oggi viene chiamata per lo più depressione, «una malattia mentale la cui diffusione, con tutto il suo enorme carico di sofferenza personale e costi sociali, è in continuo e drammatico aumento in tutto il mondo» (S.Inglese, 22).
Altri articoli di questo numero di Mente & cervello riguardano le tendenze complottistiche, l’orientamento nello spazio, il sequestro di persona, il rapporto tra comportamenti e chirurgia cerebrale, con conseguenze a volte drammatiche come il caso di una persona tranquillissima che dopo un intervento per curare l’epilessia cominciò ad avere tendenze pedofile. L’unità della persona umana è davvero radicale.
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2 commenti
Triad
La ringrazio molto, Prof. Biuso, per la citazione.
Un cordiale saluto.
Mariella Catasta
il potere , la mente e l’abitudine …
la mancanza di libertà e di possibilità come alternative di percorsi esistenziali , direi-
Oggi il potere è occulto e non tutti hanno coscienza della mancanza di alternative.
La libertà è sregolatezza è trappola che ci irretisce spesso in noi stessi .L’abitudine è la cristallizzazione dello spirito è la stereotipia meccanica al di fuori della coscienza , è l’automazione degli atti e la potenziale perdita della creatività quale espressione di un libera e consapevole scelta tra alternative e variabili.
Ma forse il tentativo costante di fuggire agli schemi comporta un continuo investimento di energia psichica , è il piacere di strutturare e ristrutturare il campo della percezione in un fluido e complesso ricostruire un modo funzionale per rispondere ai nostri obblighi sociali .
Ma quando il potere incombe e uccide la coscienza avvertiamo la tendenza ad abbassare la spinta al cambiamento , perdiamo l’energia necessaria per cambiare schema di comportamento e ci omologhiamo al sistema, risparmiamo tempo ed energia e pensiero . Il gioco è fatto siamo tutti omologati nella routine del quotidiano . i giorni si assommano veloci e tutti uguali nel grigiore dell’inerzia che i rende stanchi e abitudinari.