Mente & Cervello 58 – Ottobre 2009
Una delle ragioni di dolore dell’esistenza umana consiste nella innata fiducia ed empatia che nutriamo verso i nostri simili e che viene di continuo tradita e smentita, sino a produrre inevitabili sentimenti di disincanto, malinconia o anche cinismo. Su tale fiducia si fondano fenomeni assai diversi tra di loro come la finanza, la guerra e la magia. Alle prime due è dedicato un articolo molto interessante che mostra come anche un eccesso di fiducia nelle proprie capacità sia all’origine dei recenti tracolli finanziari e di molte imprese belliche iniziate perché certi di vincerle e sfociate in gravissime sconfitte (dalla battaglia anglo-turca di Gallipoli del 1915 alle imprese statunitensi in Vietnam e nel Vicino Oriente). Magia e illusionismo utilizzano anch’esse la predisposizione a ingannare e a farsi ingannare; «dato poi che le tecniche dei prestigiatori sulla forzatura somigliano in modo inquietante a quelle usate in pubblicità e nella propaganda politica, una loro migliore comprensione e la consapevolezza della loro esistenza, sostiene Kuhn, potrebbero costituire una specie di utile immunità» (C. Palmerini, pag. 37).
La fiducia non è certo il solo atteggiamento innato. Il gusto, la capacità di distinguere i sapori ha avuto e ha una funzione evolutiva fondamentale, «nasciamo odiando l’amaro e amando il dolce e certe concentrazioni di sale» perché tale capacità è essenziale per evitare l’ingestione di sostanze nocive (F. Sgorbissa, 64). Più in generale, «è possibile che l’organizzazione funzionale del cervello umano sia fortemente vincolata da fattori innati» (L. Gabaglio, 24).
Innato è indubbiamente il bisogno di generare altre entità simili a sé, le quali facciano durare i propri geni più a lungo. Figli, in altri termini. E tuttavia «non c’è donna che non provi sentimenti ambivalenti nei confronti del suo bambino; ogni madre sente talvolta il suo corpo invaso da un “alieno”, da qualcuno che dipende interamente da lei, la assedia, tutto pretende in ragione del suo bisogno assoluto, le toglie il tempo, la vita, la libertà» (S. Argentieri, 11). Anche da tale peso, e soprattutto da una incapacità di sostenerlo (che in molti giovani genitori mi sembra evidente), nasce la rinuncia all’educare, cioè a dire anche di no ai propri figli. Daniele Novara (intervistato da M. Barberi a proposito del “vizio” dell’ira) sostiene giustamente che «se il bambino potesse ridurre le sue frustrazioni a momenti di autocompiacimento narcisistico, cioè se fosse sempre assecondato, non imparerebbe mai a gestire lo stress, non saprebbe integrare queste parti di sé con la vita di relazione» (42). Vita tanto bella e gratificante quanto difficile e sempre aperta al conflitto e al fallimento. Anche sul bisogno di socialità la televisione affonda il proprio potere, sulla sua funzione sostitutiva di rapporti reali, sulla illusione di poter fare dei personaggi delle serie televisive i propri «amici immaginari» (F. Butler e C. Pickett, 106).
Che «la mente e il corpo [siano] in un’intima unità» (S. Ayan, 93) è evidente e fondante l’umano. Di questa identità molteplice, e non solo della sua espressione somatica, si può dire quanto sostiene Laura Della Ragione: «non c’è nulla di così intimo e nello stesso tempo così ambivalente per noi stessi come il nostro corpo» (108).
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