di Brian De Palma
Con Kel O’Neill (Gabe Blix), Ty Jones (Jim Sweet), Izzy Diaz (Angel Salazar), Rob Devaney (L’avvocato Mccoy), Patrick Carroll (Reno Flake), Mike Figueroa (Il sergente Vazques)
USA 2007
Trailer del film
Sito del film
In occasione delle presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2007, Natalia Aspesi così sintetizzava la vicenda che ha ispirato il film: «quel giorno del marzo 2006 quando a Mahmoudiyah, a 30 km da Bagdad, cinque soldati americani ubriachi irruppero in una poverissima casa e stuprarono a turno una ragazzina di 14 anni, poi le spararono in faccia e le diedero fuoco, dopo aver sterminato tutta la sua famiglia compresa una sorellina di 6 anni». Un episodio, tra i tanti di questa guerra, intorno al quale De Palma costruisce un film unico. Si tratta di una fiction che sembra un documentario costruito con filmati amatoriali girati dagli stessi soldati, spezzoni di telegiornali, video da siti islamici, conversazioni in chat tra i militari e i loro familiari a casa, l’inchiesta di una televisione francese. E tutto è insensatezza, noia, sadismo, crimini efferati contro le persone più indifese perpetrati in nome dei Diritti dell’Uomo e di «Grimilde, statua della Libertà» (De André). Esplicito l’omaggio a Kubrick, con lo «Yes, Sir!» dei soldati, la funebre Sarabanda di Haendel che intesse Barry Lindon, il profondo disincanto sulla ferocia umana.
A due anni di distanza, il “rinnovatore” che oggi siede alla casa bianca fa molte chiacchiere ma sull’Iraq i fatti sono gli stessi della precedente amministrazione. In Italia, intanto, per questo film nessuna distribuzione nelle sale, nessuna recensione nei liberi telegiornali, nessuna indignazione dei moralisti democratici; solo la propaganda dei terroristi statunitensi e dei loro accoliti, solo la verità stuprata. E nessuna lapide, nessuna retorica, nessuna “Giornata della memoria” ricorderà le migliaia di vittime civili massacrate nei checkpoint, violentate nelle proprie case, bombardate nella loro terra. Lo farà -se sarà visto- questo film asciutto, coraggioso e terribile, che si chiude proprio con una sequenza di foto intitolata Collateral Damage. Gli effetti collaterali della hybris statunitense, della tracotanza del potere.