«L’uomo al quale la città doveva soccombere viveva già fra di noi quando non gli facevamo ancora caso. Lo notammo solo quando cominciò a dare nell’occhio con un comportamento che ci parve ridicolo, tanto è vero che in quei tempi ci si burlava parecchio di lui: eppure, quando divenimmo attenti, aveva già la direzione del teatro. Non ridevamo di lui come si ride di persone buffe per ingenuità o arguzia, bensì come a volte si ride di cose sconce. Tuttavia è difficile dire cosa ci inducesse a ridere nei primi tempi della sua comparsa, tanto più che in seguito lo trattammo non solo con rispetto servile -e questo ci era ancora comprensibile, quale segno di timore- ma anche con franca ammirazione. Singolare era soprattutto il suo aspetto. Era piccolo di statura. Aveva un corpo che sembrava senz’ossa, tanto che emanava da lui un che di viscido. […]..] Però è incerto quando presagimmo per la prima volta in lui la possibilità del male […]..] pensavamo allora a una mancanza di gusto piuttosto, oppure ridevamo della sua supposta stupidità»
(“Il Direttore del teatro” [1945] in Racconti, trad. di U. Gandini, Feltrinelli 1996, p. 29)
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7 commenti
agbiuso
Il silenzio dell’informazione, della politica e dei cittadini sul mafioso Graviano che ammette quello che tutti sanno, che Silvio Berlusconi è stato ed è l’uomo della mafia dentro la Repubblica, è il silenzio dei complici.
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Graviano vs Berlusconi in un Paese (sempre più) narcotizzato
di Lorenzo Baldo – Antimafia Duemila, 8.2.2020
agbiuso
Era la nipote di Mubarak
di Norma Rangeri
Non sarà lo statista che in Europa e nel mondo ci invidiavano, ed è pur sempre un imprenditore pregiudicato per reati di frode fiscale, oltre che un ex presidente del consiglio a processo per la compra-vendita di parlamentari. Ma con l’assoluzione pronunciata dai giudici della corte d’appello di Milano, oggi Silvio Berlusconi conquista l’invidiabile status di anziano miliardario a tal punto credulone da scambiare Ruby per la nipote di Mubarak.
Quelle sei telefonate in una notte, alla questura di Milano, mentre era a Parigi per un importante vertice internazionale, erano semplicemente un gesto umanitario verso una ragazza reclutata in una casa-famiglia dai suoi amici, malauguratamente finita in questura per furto. E come avrebbe potuto un presidente del consiglio, privo di collaboratori e informatori, immaginare che l’oggetto delle sue paterne cure fosse una minorenne in cerca di protezione e denaro in cambio di sesso?
Del resto c’è una legge che per questo tipo di reati, tra adulti e minori, prevede “l’ignoranza inevitabile”, cioè la possibilità, nel caso nostro, che l’anziano benefattore ignorasse l’anagrafe dell’ospite delle sue cene eleganti. I magistrati che lo avevano condannato a sette anni e all’interdizione perenne dai pubblici uffici, non potevano pretendere che l’uomo più potente del paese fosse informato dell’età di ogni singola passeggera di quella carovana di donne pagate per esclusivamente per l’amabile conversazione come, al di là di ogni sospetto, spiegava l’affidabile Minetti, maestra di burlesque («c’è la disperata, c’è quella che viene dalle favelas, c’è la zoccola…»). Né c’è chi possa legittimamente sospettare che lo spacchettamento del gravissimo reato di concussione, con l’introduzione della fattispecie di “indebita induzione”, sia stato congegnato per offrire ai magistrati la formula legale per ripulire l’immagine dell’imputato eccellente. Evidentemente la sentenza di primo grado aveva completamente travisato la realtà dei fatti.
Del resto questo non è il paese divorato dal conflitto di interessi fino al punto di cancellare i confini e i conflitti tra destra e sinistra a favore di quell’amalgama, riuscitissimo, delle larghe intese, oggi brillantemente ribattezzate come il patto costituente del Nazareno. Così come in nessun modo il nuovo potere renziano, artefice del patto, può aver influito sul giudizio di assoluzione che ha graziato Berlusconi. La realtà supera sempre la fantasia, e dice che non c’era bisogno di questa assoluzione per ridare a Berlusconi il ruolo di partner privilegiato nella revisione delle regole democratiche. Come si diceva una volta, il problema è politico.
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Fonte: il manifesto, 19.7.2014
agbiuso
Era un bandito prima della condanna, rimane un bandito dopo questa assoluzione.
Il resto è propaganda dei suoi servi e degli amici.
Giacomo
Buongiorno Prof!
Dopo tanto tempo sono tornato sul suo sito: apprezzo il passaggio al cosiddetto web 2.0
Il nostro Iper-losco non è un tipo umano raro né nuovo, a giudicare dalle numerose descrizioni ante-litteram che si offrono ogni giorno a chi ancora legge…
Ho trascritto, qualche mese fa, queste poche righe, colpito dalla puntuale descrizione del nostro primo ministro.
Con gli ultimi sviluppi dello scandalo, pare ancora più appropriato.
Eccole, a chi interessa.
A presto,
Giacomo
“La nave dei folli che guidava l’impero non era diversa da una remota periferia; anzi, era il ricettacolo naturale dei miasmi che da questa sprigionavano, in un reciproco meccanismo di contaminazioni dove l’immondo gioco della politica, la superstizione delle masse, la volgarità triviale dell’opinione pubblica si fondevano in un’intruglio di marci sapori.
Il pessimismo della ragione individuale si rivolta contro l’ottimistica palude dell’idillio pubblicitario. Quali erano i decantati vantaggi della pace universale, se a reggere l’animo degli uomini erano pur sempre gli eterni moventi della speranza e della paura: se la collettività non era in grado di confidare il proprio futuro all’energia di meditate convinzioni, ma lo abbandonava ai miserabili trucchi di un ciarlatano da strapazzo?
Un addomesticatore di serpenti mansueti fin dalla nascita, un abile artigiano di ordigni ingegnosi quanto elementari: ecco chi era l’eletto divino dei nuovi tempi. Tanto era bastato per assoggettare le folle, per sedurre i potenti del regno: un mannello di infime competenze aveva garantito a quest’uomo una celebrità indecorosa quanto proficua lungo un immenso territorio, aveva riempito i suoi archivi con i segreti più gravi della cosa pubblica, conferendo un terribile potere alle sue scellerate macchinazioni.
E lo scopo di tutto ciò non era altro che il denaro, da profondere nei vizi meschini di una privata depravazione. Il passato aveva prodotto manigoldi altrettanto spregiudicati: ma grandiosi nel male, smisurati nelle ambizioni. Questo era il marchio dell’epoca, la sua irreparabile degradazione: l’assenza di grandezza, il letargo banale e pestifero di ogni tensione, fosse pure rivolta verso i trionfi della violenza e del sopruso.”
Dario Del Corno, prefazione all’Alessandro o il falso profeta di Luciano di Samosata; Adeplhi 1992, p. 17
Biuso
Come dico da qualche tempo ai miei amici, ciò che sta accadendo è pericoloso ma è anche liberatorio. Lo conferma il breve ma significativo editoriale di Ezio Mauro sulla Repubblica di oggi: Minacce e disperazione.
Per quante risorse insospettate abbia mostrato negli anni s.b., costui sta adesso svelando il suo vero volto, il suo impulso profondamente dispotico e totalitario, quello che fu sin dall’inizio palese a chi sapesse vedere, a chi avesse un minimo di conoscenze psico-politiche. Attaccando tutto e tutti in modo così scomposto e furibondo, conferma di aver imboccato il proprio tramonto. A meno che -come conclude il racconto di Dürrenmatt (leggetelo!)- non utilizzi direttamente l’esercito e le armi. Un’ipotesi che questo personaggio sono sicuro non esclude dai propri strumenti ma spero che il resto dell’Europa e i timori dei suoi stessi alleati di partito ci salvaguardino da tale rischio.
Biuso
Un Direttore di teatro è anche un intrattenitore. E proprio in questo modo s.b. ha definito ieri se stesso: «Io sono fatto così. E gli italiani così mi vogliono. Ho il 61 per cento. Io sono buono, generoso, leale, sincero, mantengo le promesse, sono un mattatore, un intrattenitore” (Ansa, 25 giugno)»
Un intrattenitore che «ha prostitute nel suo letto, ma legifera per punire chi frequenta le prostitute; invoca per sé la privacy ma vuole scrivere le norme della nostra privacy, dalla procreazione al “fine vita”» (G. D’Avanzo, Repubblica oggi).
D’Avanzo ricorda anche il modo in cui s.b. intende il corpo delle donne: «Le aspettative di Noemi, sollecitate dalle promesse di Berlusconi, sono in linea con le riflessioni critiche della signora Lario (“Ciarpame senza pudore”). E’ documentata, allora, anche la seconda accusa che colpiva il capo del governo: per lui il corpo delle donne è “un gingillo” utile per “proiettare una (falsa) immagine di freschezza e rinnovamento” politico” (…) Il capo del governo vive un clima psichico alterato. E’ la terza accusa della moglie: “[Silvio] non sta bene” (Repubblica, 3 maggio). La patologica sexual addiction di Berlusconi si sfoga in festicciole viziose. Anima “spettacolini” affollati da venti, trenta, quaranta ragazze: “farfalline” coccolate mentre il “sultano” indossa un accappatoio di un bianco accecante; “tartarughine” travestite da Babbo Natale; “bamboline” che mimano, in villa e tra i fiori, il matrimonio con “papi” (Repubblica, 12 giugno) Frequente la presenza di “squillo”, “escort”, “ragazze immagine” abituate a incontrare sceicchi sulle rive del Golfo Persico» .
È addirittura Giuliano Ferrara a parlare della «licenziosità» di s.b, di «scelta sciagurata degli amici di bisboccia, la sciatteria in certe relazioni e soprattutto la caratterizzazione ostentatoria di tutti i suoi comportamenti privati» (Panorama, 26 giugno).
Ed è a tali amici e amiche di bisboccia che s.b. offre la carica di parlamentare della Repubblica o d’Europa. A tanto è ormai ridotta la vita politica in quest’Italia «non donna di province, ma bordello!» (Purgatorio, VI, 78). La citazione dalla Commedia è banalissima, lo so. Ma è anche descrittiva dello stato di cose.
Biuso
Ieri avevo ricordato lo sguardo inconsapevole e dunque profetico di Dürrenmatt sul pericolo che il “Direttore del teatro” rappresenta per tutti noi. Su Repubblica leggo oggi un articolo che conferma quella intuizione.
Giuseppe D’Avanzo vi scrive, tra l’altro, che «acconciata così la sua esistenza che il più benevolo oggi definisce al contrario “licenziosa”, chi la racconta in altro modo non può essere che un “nemico”. Da un’inimicizia brutale sono animati i giornali che, insultati ma non smentiti, raccontano quel che accade nelle residenze del presidente. Antagonisti malevoli, prevenuti o interessati sono quegli editori che non azzittiscono d’imperio le loro redazioni. C’è qualcosa di luciferino (o di vagamente folle) nella pretesa che l’opinione pubblica -pur manipolata da un’informazione servile- s’ingozzi con questo intruglio»