di Vladimir Majakovskij
Teatro Strehler – Milano
Traduzione Fausto Malcovati
Con: Francesca Ciocchetti, Francesco Colella, Pierluigi Corallo, Giovanni Crippa, Massimo De Francovich, Gianluigi Fogacci, Melania Giglio, Marco Grossi, Sergio Leone, Bruna Rossi, Paolo Rossi
Regia Serena Sinigaglia
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Sino al 24 maggio 2009
Nel 1928 Prisypkin è stufo di essere un operaio, ritiene di aver fatto il suo dovere di proletario e ora intende sposarsi con la figlia di una parrucchiera. Lui porterà in dote il titolo di “compagno”, lei i rubli. Durante la festa di matrimonio scoppia un incendio. Muoion tutti, tranne Prisypkin che viene ibernato nel ghiaccio della cantina, da dove è resuscitato nel 1979. Si ritrova in un un mondo nel quale il comunismo ha vinto, tutti sono uguali, asettici e felici. Prisypkin e la cimice che con lui era stata ibernata diffondono in questa perfezione malattie che sembravano scomparse: l’avidità, l’arrivismo, l’ipocrisia. Solo che la Cimex lectularius succhia il sangue di un individuo alla volta mentre il Burgensis vulgaris incarnato da Prisypkin succhia quello dell’umanità intera…
Gli sforzi del traduttore e della regista sono tutti volti a rendere comprensibile e attuale l’opera, anche a costo di consistenti interventi testuali e di un complessivo tono didascalico. E tuttavia La cimice è datata nelle tematiche e nei riferimenti, il suo autore sconta l’irresoluta contraddizione tra l’adesione alle avanguardie e quella alla famigerata RAPP (Associazione degli scrittori proletari) il cui scopo fu quello di censurare ogni dissenso dal Partito. Una contraddizione che contribuì a condurre il poeta al suicidio.
La prima parte del dramma si articola come un fumetto alla Grosz. La seconda sembra ispirata alle significative utopie tecnobiologiche di Trockij, il quale riteneva che con l’avvento del comunismo «l’uomo comincerà a essere una creatura armonica. Dominerà i processi inconsci del suo organismo, il respiro, la circolazione del sangue, la digestione, la riproduzione, a subordinarli al controllo della ragione e della volontà. (…) La specie umana, il pigro homo sapiens, sarà sottoposta a una radicale ristrutturazione, diventerà nelle sue stesse mani l’oggetto dei più complessi metodi di selezione artificiale. (…) Nascerà un tipo sociobiologico migliore, più forte, più saggio» (Letteratura e rivoluzione).
Nella messa in scena di Sinigaglia tutto è eccessivo, grottesco, ruotante in un movimento infantile e insensato. Nel ruolo di Prisypkin, Paolo Rossi mostra i limiti di una recitazione cabarettistica (e con accento fortemente milanese…). Il programma di sala e le diapositive finali sembrano attribuire a Stalin ogni responsabilità per il “tradimento” degli ideali rivoluzionari. Ma il comunismo è un’idea antropologicamente errata, volta a raddrizzare col terrore quel «legno storto dell’umanità» del quale Kant era invece consapevole. Il resto ne consegue.
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