Mente & Cervello 53 – Maggio 2009
L’utilizzo del lettino sul quale far stendere i pazienti fu suggerito a Freud non da un’esigenza intrinseca all’analisi ma solo dal fatto -assai più banale- che «non sopportava di dover guardare in faccia il paziente e di essere osservato per tante ore al giorno»; e anche questo conferma il sostanziale disinteresse del fondatore della psicoanalisi «per gli aspetti specificamente terapeutici, a fronte di un’attrazione per le questioni teoriche» (A. Castiello d’Antonio, pp. 46-47).
Alcune delle più recenti ricerche in ambito evoluzionistico sembrano dar ragione a Lamarck rispetto a Darwin, all’ipotesi cioè che i caratteri indotti dall’ambiente siano poi ereditati dalla prole. Nel caso delle giraffe, ad esempio, «il lungo collo sarebbe stato un risultato diretto dell’interazione di una giraffa con l’ambiente. La teoria di Darwin, al contrario, prevede che i caratteri si evolvano secondo un processo graduale e casuale (…) Poiché la mutazione dava un vantaggio specifico alle giraffe con il collo lungo, il tratto si conservò nelle generazioni successive. (…) Una recente ricerca di Junko Arai, Shaomin Li e colleghi della Tuft University indica però non solo che l’ambiente in cui cresce un animale ne influenza la capacità di apprendere e ricordare, ma anche che questi effetti sono ereditati dalla prole» (J.L. Barredo e K.E. Deeg, p. 102).
In un libro recensito da M. Barberi, la psicologa Susan Pinker sostiene la radice biologica e non soltanto culturale delle differenze di comportamento tra maschio e femmina della nostra specie, a partire dal fatto che «mentre si trovano nella pancia materna, i maschi sono esposti ad alti livelli di testosterone, che sviluppa in loro maggiore competitività, personalità dominante, propensione agli atteggiamenti audaci e vendicativi. Al contrario, le donne ricevono dosi massicce di ossitocina già a livello fetale, che facilita in loro la comprensione delle emozioni altrui e la tendenza ad aiutare il prossimo» (105).
Discutendo del film di J.P. Shanley Il dubbio Simona Argentieri ricorda la gravità dell’accostamento -del tutto assurdo- tra omosessualità e pedofilia, confusione implicita nel “provvedimento” vaticano che per contrastare la presenza di pedofili tra il clero cerca di escludere dai seminari «coloro che hanno latenti o palesi tendenze omosessuali»; in questo modo, infatti, «si pretende di scambiare la causa con l’effetto», quando semmai «vivere e crescere in un ambiente chiuso, tutto maschile o tutto femminile, dominato dalle regole della castità, della repressione sessuale e del peccato non può che favorire uno sviluppo psicologico malsano, sempre inibito, talora distorto in direzione delle forme più malefiche della perversione, pedofilia compresa» (9).
Tra gli altri sempre numerosi argomenti affrontati anche in questo numero di maggio della Rivista è interessante dal punto di vista della filosofia della mente che una sindrome quale la eminegligenza visuo-spaziale (un disturbo che consente di esser coscienti solo di una metà del campo visivo) confermi la «distinzione fra percezione e attenzione, [che] è sottile ma essenziale» (P. Verstichel, 58). La fenomenologia e la Gestalt, infatti, sanno bene che la semplice registrazione visiva del percepito non fa ancora la visione, la quale è un fenomeno di estrema complessità, come si vede (è il caso di dire) anche dal bel libro che a questo argomento ha dedicato Paola Bressan.
2 commenti
Alberto G. Biuso
Caro Dario,
ti ringrazio del commento e del chiarimento.
In realtà, gli studiosi della Tuft University hanno compiuto i loro esperimenti su dei ratti. Nell’articolo di M&C si ricorda l’esempio lamarckiano delle giraffe solo per inquadrare la questione. Barredo e Deeg, infatti, riconoscono quanto tu hai ricordato e cioè che «le teorie di Lamarck sull’influenza dell’ambiente furono abbandonate quasi del tutto dopo la scoperta che i tratti ereditabili sono trasmessi dai geni del nostro DNA» e concludono il loro articolo -che porta il significativo titolo di Un punto per Lamarck– scrivendo che «Detto questo, però, lo studio offre una qualche giustificazione postuma alle idee di Lamarck. La teoria darwiniana dell’evoluzione è ancora indiscussa, ma si sta scoprendo che in una ricostruzione completa dei meccanismi dell’ereditarietà c’è posto anche per alcune delle intuizioni di Lamarck» (pp. 102-103).
Dario Generali
Caro Alberto,
nella sintesi che hai fatto del fascicolo n. 53 di “Mente & Cervello” riporti la tesi della ripresa di temi lamarckiani da parte di Junko Arai, Shaomin Li e colleghi
della Tuft University, i quali, però, da quello che vedo dalla tua scheda,
ripropongono l’esempio del collo delle giraffe, che è stato largamente
dimostrato falso sul piano sperimentale. La nascita e lo sviluppo della
genetica ha poi chiarito la questione anche sul piano teorico.
Diverso è il caso che poi ricordi della capacità dell’ambiente di modificare
dei comportamenti, che poi passano nel patrimonio culturale dei discendenti.
Il lamarckismo sembra infatti funzionare benissimo sul piano culturale, ma
certo non su quello fisiologico, dove appaiono ancora assai convincenti gli
aggiornamenti contemporanei (vedi, per esempio, Stephen Jay Gould)
dell’evoluzionismo darwiniano.
Un caro saluto.
Dario