Il Curioso Caso di Benjamin Button
(The Curious Case of Benjamin Button)
di David Fincher
USA, 2008
Con: Brad Pitt (Benjamin Button), Cate Blanchett (Daisy), Taraji P. Henson (Queenie), Tilda Swinton (Elizabeth Abbott), Julia Ormond (Caroline)
1918. Una donna muore nel partorire un bambino assolutamente deforme, che mostra tutti i sintomi di un ottantenne. Abbandonato dal padre, viene raccolto da una giovane che gestisce una casa di riposo per anziani. Mentre in questo luogo tutti invecchiano, Benjamin ringiovanisce anno dopo anno, diventando bellissimo, vivendo un intenso legame con una donna che aveva conosciuto bambina, tornando all’infanzia prima di morire, ormai neonato.
Mark Twain scrisse che «la vita sarebbe infinitamente più felice se solo potessimo nascere ad 80 anni e gradualmente raggiungere i 18». Scott Fitzgerald ne trasse spunto per il racconto che ispira (con notevoli differenze, comunque) questo film. Il tema -pur se qui declinato in modo fantastico- è di quelli fondamentali: il tempo e la sua incarnazione nei corpi. È infatti inutile dire a Benjamin che lui ha sette anni quando il corpo che egli è lo costringe su una sedia a rotelle, altrettanto inutile chiederglieli maturità quando ormai il suo corpo è quello di un infante. È il nostro corpo l’orologio più fedele, il più implacabile.
Questa favola sul tempo e sulla vecchiaia viene da David Fincher stiracchiata all’inverosimile, resa (da lui e suppongo dalla produzione) dolciastra sino all’indigeribilità, intessuta (anche dallo sceneggiatore Eric Roth) di banalità sentimentali e di proclami patriottici, di paesaggi languidi e crepuscolari. Nessuna riflessione -invece- su temi come l’identità, la differenza (la “mostruosità” del protagonista), l’enigma del tempo (se non nella scena forse più riuscita, quella che incrocia caso e necessità nell’incidente che Daisy subisce a Parigi). Se delle quasi tre ore di durata se ne fosse tagliata una, il film ne avrebbe forse tratto giovamento. Così è un’operazione fallita.
1 commento
Dario Sammartino
Secondo me il film propone anche il tema della morte e del modo in cui si affrontano i casi della vita.
Si vedono tanti personaggi morire, ed anzi la vecchiezza del personaggio bambino pare un escamotage per farlo vivere in un ospizio, dal quale la morte è l’unico modo di uscire.
In questo modo affronta subito l’inevitabilità della morte e, di conseguenza, di tutto ciò che accade agli uomini.
Le scene delle morti sono le più sobrie e meno melense.
E’ raro che in un film hollywoodiano si tratti in modo tanto diffuso sullo scandalo del moderno mondo consumistico, e cioè la morte.
Tutti i personaggi accettano – serenamente o dopo un percorso sofferto – il bene ed il male che la vita propone loro, il più delle volte casualmente, o per la combinazione di miriadi di comportamenti.
Sono d’accordo che la sequenza migliore è quella dell’incidente di Daisy, per la coincisione del linguaggio grazie al montaggio ed alle inquadrature oblique.
Nel complesso, gli avrebbe giovato una messa in scena più aspra.