Lavr Divomlikoff
(L’enfant posthume, 1972)
Ege. Edizioni generali europee, 1973
Pagine 164

Rakie è la protagonista, è lei il figlio postumo del titolo originale. Rakie fa parte di una gagne/gang canadese. Ragazzi e ragazze diversi tra di loro, che cercano di divertirsi conciliando whisky e minestra. Rakie è la più enigmatica, tranquilla, silenziosa e sprezzante. È lei che comanda. Helm, un montanaro che vive da vent’anni in solitudine la incontra per caso in un pub. Cerca di sapere chi sia. La rivede nello chalet vicino al suo mentre nella notte di capodanno si sta esibendo su un tavolo allo scopo di «demistificare lo strip-tease» (pag. 75). Il giorno dopo Rakie è da lui. Helm «imparava a sostenere la sua presenza, che gli era infinitamente dolce e quasi intollerabile (…) Sapeva che ogni compiacimento verso la donna è mortale per il maschio (…) ma il destino lo aveva aggredito alle spalle, e lottare contro il destino è indegno di un uomo» (107-108). Sembrano fatti l’uno per l’altra, nonostante i venti anni di vita che li separano. Per entrambi l’esistere o è eroico o non è: «gli dèi di ieri sono tutti morti. Gli dèi di domani nasceranno da noi» (114). Ma c’è qualcosa di totale e di antico che separa questi due umani. Qualcosa che emerge, alla fine.

La scrittura è limpida, sobria. La trama abile nell’andare di continuo dalla gagne a Helm, due mondi distanti che toccandosi si annullano reciprocamente. L’agnizione finale riesce a oltrepassare di slancio tragedie, pregiudizi e orrori nel semplice gesto di una donna più forte di qualunque eroe, di qualunque crimine. Una lettura coinvolgente, un autore sconosciuto, una storia che non si dimentica.